giovedì 3 novembre 2016

pc 3 novembre - FORMAZIONE OPERAIA - LA CRITICA ALL'IMPERIALISMO SPIA DELLA CLASSE SOCIALE DI CUI SI E' ESPRESSIONE - Sul IX cap. de L'Imperialismo di Lenin - 1° parte

Riprendiamo il testo di Lenin, affrontando il IX capitolo "Critica dell'imperialismo"



Lenin segnala che per critica dell'imperialismo si deve intendere in senso ampio come critica all' “atteggiamento delle diverse classi sociali verso la politica dell'imperialismo in connessione con la loro ideologia generale”.
Questo è estremamente importante perchè individua chiaramente come l'atteggiamento verso l'imperialismo, e in particolare verso il proprio imperialismo, dipende o è una spia del tipo di classe sociale di cui si è espressione e si è al servizio, al di là della loro autodefinizione.
Questo vale in generale per i riformisti e i partiti di sinistra parlamentari.
L'imperialismo – continua Lenin – concentra nella proprie mani il potere economico e politico e
mette a sua dipendenza la media e piccola borghesia, legandone le sorti, nell'inasprirsi della lotta tra i diversi imperialismi, agli esiti della spartizione del mondo e del dominio sugli altri paesi.
Questo spinge i cantori dell'imperialismo e dei suoi sostenitori ad abbellire l'azione di esso e a difenderne gli interessi. Gli effetti di questo si manifestano nel fatto che “L'ideologia imperialista si fa strada anche nella classe operaia, che non è separata dalle altre classi da una muraglia cinese.”.
Ed è ben ragione, dice Lenin, che i capi della socialdemocrazia “vengono qualificati “social-imperialisti”, cioè socialisti a parole, imperialisti nei fatti”. Definizione che vale per l'intera area di riformismo socialdemocratico nei paesi imperialisti, alla cui categoria appartengono sicuramente tutti i partiti della sinistra parlamentare degli ultimi anni e ad essa va ascritta, con alcuni distinguo, tutta l'area, ad esempio in Europa, principalmente anti Usa, o, all'interno del blocco europeo, anti euro, Brexit, ecc.
Costoro difendono l'imperialismo, diremmo con Lenin “mettendo innanzi particolarità secondarie e distraendo l'attenzione dall'essenziale”. Della stessa natura sono le posizione di riforma dell'imperialismo fondata sul cosiddetto “controllo” dei trust e delle banche.
E' un'attitudine socialimperialista anche quella che ben descrive e spesso sostiene le lotte dei popoli oppressi ma quando sono lotte contro un altro imperialismo, diverso dal proprio. La stampa borghese spesso è il puro riflesso di questo tipo di attitudine; essa normalmente, nei diversi paesi, è molto attenta alle sfere di influenza del proprio imperialismo, amplifica i movimenti di lotta contro gli altri imperialismi, e copre, abbellisce e dissimula le nefandezze, i crimini, gli interessi del proprio imperialismo.

Lenin, poi, citando un rapporto inglese su una delle Conferenze internazionali avente come tema l'oppressione delle nazionalità e delle razze, con la partecipazione di rappresentanti di popoli di Asia, Africa e Europa, sottoposti a dominazione straniera, sottolinea come in queste Conferenze, in questi rapporti, vengano fatte grandi affermazioni “anti imperialiste”: “Gli Stati dominatori dovrebbero riconoscere il diritto all'indipendenza dei popoli soggetti, una Corte internazionale di giustizia dovrebbe vigilare sull'osservanza dei trattati conclusi tra le gradi potenze e i popoli più deboli”, ecc. ecc.
Ma quello che si nega è che l'imperialismo è indissolubilmente legato all'imperialismo nel suo assetto odierno, e quindi la lotta all'imperialismo se non tiene conto di questo, diventa una lotta contro “I singoli eccessi di nefandezza eccezionali”.
Lenin preferisce nettamente gli imperialisti cinici che parlano chiaro, piuttosto che i pii desideri dei riformisti.

Lenin ribadisce che la questione è semplice. Si possono mutare le basi dell'imperialismo mediante riforme? E a fronte dell'inasprimento degli antagonismi generati dall'imperialismo, bisogna puntare ad un'attenuazione di essi?
E' chiaro che una risposta positiva a queste due domande è ciò che caratterizza, l'opposizione democratica piccolo borghese.
Essa nasce dalle particolarità dell'imperialismo che consistono nella reazione politica su tutta la linea e intensificazione dell'oppressione nazionale, ma è, appunto, una opposizione che non riconosce la natura effettiva dell'imperialismo e ne vuole combattere gli effetti e non le cause.
A fronte di questo, i comunisti debbono contrapporsi a questa “opposizione”, invece i socialdemocratici, i revisionisti, gli opportunisti che si definiscono comunisti fanno come Kautsky. E alla sua epoca “Kautsky si è totalmente confuso con essa”.
Ogni guerra imperialista – qui Lenin cita quella degli Stati Uniti con la Spagna nel 1898 – vede in campo un'opposizione all'imperialismo che anche quando ne riconosce la inevitabilità, oppone ad esso delle politiche e proposte riformiste, e si appella alla “necessità di elevare (in regime capitalista!) la capacità di consumo della popolazione... critica... l'onnipotenza delle banche e dell'oligarchia finanziaria”. Unita alla pretesa di dimostrare che la pace sul piano economico per l'imperialismo sia più conveniente della guerra.
Lenin aggiunge che se per gli economisti borghesi una simile ingenuità non deve far meraviglia, bisogna invece indignarsi quando i presunti marxisti come alla Kautsky fanno propria questa visione e questa posizione e affermano che tutti alla fine sono d'accordo sulla questione della pace.

Quindi, invece che denuncia dei profondi antagonismi dell'imperialismo, troviamo, dice Lenin “il “pio desiderio” riformista di non sapere niente di tali antagonismi, di sbarazzarsene con un'alzata di spalle”.

Lenin affronta come i marxisti alla Kautsky analizzano i fatti economici in maniera deformata.
In particolare questi, prendendo ad esempio l'Egitto, mette in rilievo che il commercio tra Inghilterra e l'Egitto, paese imperialista l'uno, paese dominato l'altro, sarebbe andato meglio senza l'occupazione militare, lasciando andare avanti solo i processi economici. Anzi, Kautsky scrive esplicitamente “l'impulso del capitale ad ampliarsi può trovare la migliore soddisfazione non coi metodi violenti dell'imperialismo ma con una democrazia pacifica”.
Questa posizione è, allora come oggi, quella sostenuta dai pacifisti, riformisti, socialdemocratici, “socialisti” di ogni sorta, che pretendono di dire che i paesi imperialisti avrebbero più interesse ad una dominazione economica senza metodi violenti invece che condurre guerre, aggressioni, invasioni.
Quando si dice “penetrazione economica”, però, tutti costoro nascondono il fatto che essa è appunto la trasformazione del capitalismo che passa dalla libera concorrenza ai monopoli e da questa al dominio del capitale finanziario e, di conseguenza, alla spinta al possesso monopolistico delle colonie; e, quindi, dire che il capitalismo si sarebbe sviluppato più rapidamente significa non riconoscere che questo sviluppo rapido dipende dalla concentrazione della produzione del capitale che, a sua volta, genera il monopolio. Ed è questa trasformazione che rende necessario il dominio monopolistico dei paesi imperialisti verso i paesi oppressi. E siccome questo dominio assoluto è ciò che muove ogni imperialismo, ogni monopolio, è evidente che questo acutizza le contraddizioni in esso, che si traducono in necessità di guerre, occupazioni, invasioni, ecc.

Nello stesso tempo se si parla anche semplicemente sul terreno economico, è evidente che i cartelli monopolistici proteggono i prodotti che debbono essere esportati “il sistema, caratteristico dei cartelli e del capitale finanziario, di “esportare a basso prezzo” (fa sì che): all'interno il cartello vende le sue merci agli alti prezzi di monopolio, all'estero li dà a prezzi irrisori al fine di schiantare gli altri concorrenti, di accrescere la massimo la propria produzione”.
Di conseguenza, chi tra gli imperialisti è più in grado di fare questo, si afferma e si rafforza. Ma questo non dimostra affatto la superiorità del libero commercio, ma il fatto che ormai questa libera concorrenza si è trasformata in lotta di “un imperialismo contro un altro, di un monopolio contro un altro, e di un capitalismo finanziario contro un altro”.


Quindi, Lenin conclude che pretendere un commercio libero dai monopoli è una posizione reazionaria e che l'unica alternativa al monopolio è il superamento del capitalismo, il socialismo. 

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