martedì 22 novembre 2016

pc 22 novembre - LA CONDIZIONE E LA DENUNCIA DELLE BRACCIANTI SARANNO A ROMA IL 25 NOVEMBRE

Pubblichiamo una raccolta di inchieste tra le braccianti, soprattutto della Puglia, che mostrano l'intreccio quotidiano tra sfruttamento e oppressione/violenza. 
Una condizione che non può affatto essere cambiata dalle nuove norme del governo, ma da una ripresa della lotta, unitaria ed estesa, delle donne nei campi.

(Da GdM) - "Soprattutto in campagna le donne sono sfruttate. Paola (di S. Giorgio provincia di Taranto) è morta per sfamare la famiglia e crescere bene i figli, lavorava anche il pomeriggio al ritorno da Andria, qui nelle campagne di San Giorgio. Quelli che lavorano come lavorava Paola dovrebbero prendere 52 euro al giorno; mi disse che ne prendeva poco più della metà e arrotondava il pomeriggio per altri 15 euro... Paola lavorava anche 30 giorni in un mese. A giugno dello scorso anno sono segnate 25 giornate, di cui 21 consecutive. Chiaramente la busta paga di quel mese non corrisponde a quanto appuntato. Nonostante siano bollate da un'agenzia interinale.
Paola veniva pagata due euro per ogni ora di lavoro, nonostante però avesse un regolare contratto.
Venivano contabilizzate meno giornate di quelle effettivamente lavorate in modo da dribblare i controlli, come dimostrano i diari. E anche perché in busta spesso erano appuntati degli anticipi che in realtà la lavoratrice non aveva mai ricevuto.

Dall'opuscolo del Mfpr sulla "condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici":
"...Provate a chiedere l’età alle braccianti e l’80% delle volte, soprattutto tra le donne non giovanissime, diranno un’età che è inferiore a quella che sembra guardandole in faccia.
Alla fatica si aggiunge il sole o il freddo che rovina la pelle. Ma non basta, le lavoratrici rischiano
altre malattie, anche respiratorie, anche dell’apparato riproduttivo per le sostanze chimiche tossiche usate in agricoltura.
Queste operaie sono nella maggior parte dei casi capifamiglia, separate; altre hanno il marito disoccupato, o in famiglia ha un proprio caro da curare con terapie e visite specialistiche costosissime. Riguardo al loro stato di salute, ognuna di esse è affetta da patologie, chi soffre di artrosi, chi di vene varicose, chi di ernia, chi di cervicale.
Le ore di lavoro sono infinite, (dalle 12 ore, ma più frequentemente alle 14 ore), non hanno una vita sociale, la loro vita si svolge: lavoro-letto letto-lavoro, si lavora 7 giorni su 7.
Le ferie non esistono, andare in bagno è un lusso, non si deve sostare più di due minuti. Finanza e questura vanno per controlli ma le operaie giustamente sono indignate perchè sanno benissimo che le aziende non saranno mai colpite in prima persona, o al massimo pagheranno qualche multa.
In più aziende, oltre le condizioni di lavoro alcune operaie devono anche subire molestie verbali e bullismo dalle operaie più anziane.
Una denuncia che si aggiunge è quella dell'uso di casse denominate in gergo tecnico G.P.R. Questi sono dei contenitori in cui vengono poste cassette di frutta del peso di 2 kg l'una per un totale di 20 kg che vengono sollevate per svariate volte al giorno fino allo sfinimento del personale.

Da inchieste di giornaliste
Inizia a parlare Maria, cinquantadue anni, un matrimonio naufragato alle spalle, senza figli. Lavora in campagna da quando era poco più che una bambina, aveva tredici anni. “Per poter andare avanti e sopportare i soprusi subiti ogni giorno in campagna prendo gli antidepressivi. Due gocce quando iniziano a insultarmi e ho di nuovo la forza di sopportare e guadagnarmi da vivere”.
“Prima si lavorava meglio, i sindacati erano dalla parte dei braccianti. Bastava una parola ed era sciopero. Altri tempi, c’erano grandi sindacalisti; ci tutelavano e potevamo incrociare le braccia, dire no al padrone e ai caporali. Oggi il sindacato dovrebbe tornare alle origini e non aver timore di farci fare le vertenze. Dei caporali non bisogna aver paura né si può pensare di dialogare con loro. Dovreste vederli quando gridano: più in fretta, più in fretta; mentre ci rompiamo la schiena” continuano nel loro racconto corale le braccianti: “Lavoriamo tutti i giorni, anche la domenica che non è considerata straordinario. Possiamo prendere un giorno di pausa, avvisando il caporale con due settimane di anticipo. Lavoriamo dalle 7 ore in poi, senza una pausa per mangiare il panino.”
In molti casi sono loro a mantenere la famiglia: i figli, i loro mariti disoccupati. Sono loro a mostrare una forza capace di sfidare tutto, soprattutto la solitudine.
Possono fare i propri bisogni solo sotto l’albero più vicino. Intimità zero: “Non possiamo allontanarci, altrimenti viene il caporale e si arrabbia perché abbiamo impiegato troppo tempo”. Il tempo in campagna e nelle aziende dove si confezionano i prodotti della terra si è trasformato in un demone. La bilancia su cui le donne pesano il raccolto è sincronizzata: se non viene utilizzata per più di cinque minuti, si spegne. “E se passano cinque minuti arriva la capo squadra a sbattere sul banco di lavoro il cestino con la frutta. Un gesto che brucia”. In campagna come sotto i tendoni “non possiamo portare più di una bottiglietta d’acqua. E’ vietato e non sono ammesse eccezioni, non si può discutere”, il sole è alto e anche nei magazzini di confezionamento la temperatura è elevata, insopportabile.
A comandare le braccianti (il lavoro al femminile è più richiesto perché, ricordano le donne: “Costiamo meno”) non ci sono solo i caporali, ma anche le “vice-caporali”. Sono donne, a detta delle braccianti, capaci in poco tempo di “far carriera con successo”. Sono una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. “Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti. Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione”. Le lavoratrici sono sotto il loro controllo e non c’è ombra di solidarietà femminile. La solidarietà è quasi impossibile anche fra braccianti: “Non possiamo aiutare le ultime arrivate. Il caporale non vuole. Chi è veloce e sveglia e impara subito il lavoro va avanti, altrimenti viene sostituita dal giorno dopo”.
Il salario è di 5.60 euro netti all’ora, “ma quasi la metà la trattiene il caporale. Così loro possono comprarsi il fuori strada, mentre noi non riusciamo ad arrivare a fine mese. Non sempre riusciamo a pagare tutte le bollette.”
“In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ‘ufficiale’ di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata. L’azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L’autista del pullman risulta essere un dipendente dell’agenzia di viaggio”. I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull’assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero.
“Ora si raccoglie l’uva, quindi c’è lavoro per tutti, ma tornate d’inverno quando da raccogliere ci sono solo le arance, fa freddo, c’è il ghiaccio, e rischiamo di scivolare e romperci una gamba per 27 euro lordi al giorno”.
(da Emanuela Carucci)

Braccianti pugliesi raccontano la loro vita, tra campi e magazzini - di Francesca Buonfiglioli

ISPEZIONATE SOLO IL 4,5% DELLE AZIENDE. Rischio che, in Puglia, è basso. Nel 2014 i controlli sono stati 1.818 su 40 mila imprese. Nel 55% dei casi è stata denunciata una qualche inadempienza. E di questi l'80% era per lavoro nero.
«Ci svegliamo alle 2 di notte. La caporale passa con il bus alle 3», il luogo di lavoro che spesso viene comunicato la sera prima. Finite le ore, si riprende il pullman: un'ora e mezzo, due di strada e si torna a casa. «Dove cerco di sbrigare le faccende domestiche, solo l'essenziale», dice Maria, quasi giustificandosi.

IL TRASPORTO A CARICO DELLA LAVORATRICE. E con i chilometri, aumenta anche il prezzo del passaggio. Dai 5, 10 euro arrivano fino a 10, 15, detratti naturalmente dalla paga giornaliera di 36 euro circa. Si lavora sodo, fino a 10 ore al giorno, contro le 6 e mezzo contrattuali. Di straordinari nemmeno l'ombra
IL RICATTO QUOTIDIANO. Lamentarsi, o solo chiedere chiarimenti su orari, contratti e buste paga non conviene: «La caporale trova il modo di punirti. Per esempio non ti fa lavorare per due, tre giorni di fila». Si vive quotidianamente sotto ricatto. Per questo «è quasi impossibile che una bracciante italiana denunci una caporale», precisa Maria, «la voce si spargerebbe in giro, e per lei non ci sarebbe più lavoro».

Solo in Puglia sono tra le 30 e le 40mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno “procurato”. Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. “Mentre lavorano le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene ‘punita': per qualche giorno non la fanno lavorare”. E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in camion telonati. Per questo trasporto bestiame ogni lavoratrice paga fino a 7 euro a viaggio.

STRONCATE DALLA FATICA. «Sotto i tendoni a 50 gradi senza acqua». «Se finisce l'acqua», spiega Maria, «nessuno te la dà. Non si beve e basta». Una vita dura, durissima. Che lei ha cominciato a fare a 11 anni. «Allora le condizioni erano anche peggiori, soprattutto per il trasporto. Negli Anni 80 molti braccianti sono morti in incidenti per arrivare sul posto di lavoro». Le cose sono poi migliorate, ma per poco. «Adesso siamo tornati indietro”
Paradossalmente, in passato si lottava di più. «C'era un maggiore senso del gruppo, più solidarietà. Adesso ognuna pensa a se stessa, a portare a casa la pagnotta. Se puniscono una di noi lasciandola a casa per due o tre giorni, le altre si voltano dall'altra parte». La crisi, soprattutto al Sud, ha giocato un ruolo importante.
A fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno si ferma al 35,6%. Le percentuali sono più preoccupanti se si considerano le under 34: l'occupazione al Sud si ferma al 20,8% contro una media nazionale del 34% (il Settentrione segna un 42,3%) ed europea del 51%. Per le donne del Sud non ci sono molte alternative. «Siamo costrette ad accettare quello che troviamo, anche a condizioni disumane».

«LO STATO SI È DIMENTICATO DI NOI». «Ogni notte partono centinaia di bus dai paesi della Puglia, e ogni pomeriggio fanno rientro, proprio nell'ora della pennichella, quando tutti - carabinieri e polizia compresi - possono vederci. Ma nessuno alza un dito, nessuno fa qualcosa per fermare questa piaga. Siamo come dei fantasmi». E si arrabbia anche quando sente il presidente del Consiglio Matteo Renzi accusare i meridionali di piangersi addosso. «Che venisse a fare il mio lavoro», lo invita, «ma alle stesse condizioni. E anche solo per una settimana».
Per mascherare di legalità il caporalato, l’intermediazione illecita avviene usando importanti agenzie di somministrazione del lavoro.

LE BRACCIANTI STRANIERE schiavizzate in agricoltura sono 15mila (contro i 5mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere.
Ad Amina hanno raccontato che tutti i soldi guadagnati in un mese servono per pagare il viaggio, gli spostamenti, l’acqua, il vitto. E che, anzi, è lei ad essere in debito. E che deve continuare a lavorare fino a quando non sarà saldato. Altrimenti niente paga e niente documenti. “Fai quello che ti diciamo, oppure ti ammazziamo”. Si è dovuta anche prostituire in cambio della libertà. Molte altre restano a spezzarsi la schiena fino a 14 ore al giorno.
Ragazze reclutate in Romania. I caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania. Qui non si tratta di caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori escono addirittura su un giornale romeno.
In Campania ad essere schiavizzate sono le donne africane. “Se non accettano di avere rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr) non vengono pagate. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo clandestine sono le più ricattabili”.

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