lunedì 12 settembre 2016

pc 12 settembre - "LA BREXIT NON COSTA AI FINANZIERI DI LONDRA", MENTRE "COSTA" TANTO AGLI IMMIGRATI, AI LAVORATORI

Avevamo scritto nel n. 11 del giornale proletari comunisti (di luglio-agosto), a proposito di certe posizioni pro brexit nel campo della "sinistra" nostrana, che:

"...Dopo una certa turbolenza dei mercati, il capitale troverà la sua strada per uscire dalle attuali difficoltà: né i capitalisti inglesi potranno essere minimamente frenati dal loro andare dovunque c'è profitto, né le grandi aziende straniere non adotteranno subito scelte, per non subire effetti “sgraditi” (come il possibile pagamento di dazi per entrare ora nel mercato europeo, perdita di alcuni benefici fiscali, ecc. Marchionne ha lanciato subito l'avviso: posso chiudere qui e andare in un altro paese...). Poi, l'eventuale perdita da un lato, verrebbe compensata dall'aumento dei prezzi, intensificazione del lavoro, attacco ai salari, dall'altro.

La grande finanza non si fa chiudere nelle frontiere nazionali! Il capitale per forza è globale, non vede frontiere, rompe le frontiere. “Tornare alle frontiere, ai confini”, vale per i popoli, non certo per i capitali e la finanza...".

E questo puntualmente si sta verificando.
Scrive Daniel Gros su Sole 24 ore dell'11 settembre in un articolo intitolato: Brexit costerà a Londra meno delle previsioni": 
"... l'uscita dal mercato unico... si trasforma in un processo lungo dieci anni, le perdite ammonterebbero circa allo 0,2-o,3% del Pil all'anno, in media. Con una valuta più debole, il Paese beneficerà di un aumento della competitività delle esportazioni che potrebbero compensare tali perdite...
...il valore aggiunto nelle esportazioni delle merci britanniche verso UE rappresenta solo il 5% del Pil... (mentre) verso i paesi non comunitari rappresentano circa il 7% del Pil...
(non solo)... l'approvazione degli accordi commerciali sarà molto più facile per il Regno Unito di quanto lo sia per l'Unione Europea, che richiede il via libera di 30 parlamenti...
...Allo stesso modo, il RU non deve temere grandi cambiamenti nelle sue capacità di (continuare) ad esportare servizi verso la UE che rappresenta circa il 40% del totale nel Regno Unito... i servizi finanziari rappresentano circa un terzo... 
Il settore finanziario ha una naturale tendenza a formare gruppi, e Londra ha offerto notevoli vantaggi... La maggior parte dei vantaggi che hanno fatto di Londra un centro dei servizi finanziari resteranno anche dopo la Brexit. E la perdita del passporting potrebbe essere compensato dalla creazione di filiali o "teste di ponte" all'interno della Ue, come Dublino, Francoforte o Parigi..."

E CONCLUDE L'ARTICOLO:
"...La questione è se i cambiamenti derivanti da Brexit produrranno benefici per i lavoratori, come ha promesso la campagna per il "leave". La risposta rimane tutt'altro che chiara"

NO, INVECE, E' MOLTO CHIARA...

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