sabato 18 giugno 2016

pc 18 giugno - IL BALLOTTAGGIO ELETTORALE: CONTIINUITA' IN PEGGIO

(Ripubblichiamo questo articolo già presente nel blog)

Il ballottaggio elettorale nelle diverse città sta offrendo una continuità in peggio della già ignobile campagna elettorale, conclusasi in generale con risultati assolutamente scontati. Il PD di Renzi ha perso una montagna di voti, ma nessuno di questi voti, e sottolineamo nessuno, è andato a sinistra di Renzi, rendendo ancor di più la contesa attuale, con l'eccezione di Napoli, quella che un tempo settori di sinistra, non necessariamente extraparlamentari, avrebbero considerato una “contesa tra due destre”. A Torino Fassino, che avrebbe fatto bene a collocarsi prima là dove Renzi lo vede meglio, su
uno scranno paraistituzionale del parlamento di 'nominati' che esiste e che ancor più si preannuncia, ha già fatto nel primo turno una figura di m..., ottenendo un voto “maggioritario”, per modo di dire, nettamente al di sotto della storia dei Chiamparino; e davvero rischia di essere impallinato nel ballottaggio da una delle oscure signore nominate da Grillo. Ma a Torino effettivamente nessun voto è andato a “sinistra”. E ne ha fatto le spese quell'Airaudo che pensa ancora di rappresentare operai e sinistra a Torino ma che in realtà ha ricevuto i voti, per così dire, che si merita. Comunque, Renzi si è già smarcato anche a Torino. Farebbe sicuramente più male a Renzi e agli interessi che rappresenta la perdita di Milano. Qui le due destre sono travestite da due manager, catapultati alla portone di sindaci direttamente dalla postazione di affari lucrosi di cui si sono occupati fino a ieri. Ma anche a Sala è andata molto peggio di quanto lui stesso temesse, perchè non solo Parisi l'ha quasi raggiunto, e non si vede dove Sala andrà a prendere altri voti, visto che Parisi ha già messo in cassa i voti di tutte le destre e aspetta “giulivo cantando” il voto dei grillini, per molti aspetti più a destra di lui. Per cui, con il prevedibile astensionismo che si allargherà, è possibile che sul filo di lana qui ci sia il ribaltone. Un inciso su Milano, perchè qui bisogna dire qualche verità che in generale viene taciuta. Dario Fo sta facendo una brutta vecchiaia. Noi tutti a sinistra amiamo Dario Fo, e ancor più amavamo Franca Rame, ma da tutto il periodo della fascinazione grillina, la mente di Dario è confusa, e non per l'età, ma per l'abbandono di ogni riferimento di sinistra e di classe nel suo modo di pensare, di esprimersi. Per cui, un po' sconcertati un po' no, abbiamo assistito all'apologia dell'oscuro reazionario Casaleggio, persona che in un qualsiasi contesto di sinistra non solo non avrebbe diritto di parola ma neanche diritto di presenza. Ed è di queste ore l'intenzione esplicita di Dario Fo di votare il candidato di destra, Parisi. A Bologna, invece, Renzi “se la sfanga”, perchè effettivamente l'avversario di Merola sono i leghisti. Certo, la Bologna di oggi ha, a parte la sovversione sociale molto attiva di cui abbiamo già parlato, una deriva umana e morale del consumarsi del modello emiliano, delle cosiddette “regioni rosse”, i cui sintomi sono molto appariscenti in ogni angolo di Bologna. Per cui Merola vincerà in un dilagare dell'astensionismo. Però, per favore, qualcuno ci risparmi gli insulti all'intelligenza che l'aspirante sindaco, Merola, sta producendo. Merola grida ora, anche lui: “Potere al popolo”, in una specie di macchiettistica imitazione del depositario del “logo”, De Magistris; parla di “sfruttati contro gli sfruttatori”, va al corteo dei metalmeccanici, dice che esentirà dalle tasse comunali i redditi fino a 15mila euro... C'è il rischio che però questo attivismo di Merola sia un boomerang per lui. Perchè finchè ne poteva parlare in televisione, tutto bene; ma alla prima uscita in periferia (scrive Il Manifesto) “ha dovuto affrontare i cittadini infuriati con l'amministrazione: “sei venuto qui perchè hai bisogno dei nostri voti. Dove sei stato finora?”. Poi Merola non sottovalutasse l'alleanza di ferro, non dichiarata, tra leghisti e grillini; questi ultimi con l'ignobile Bugani che è molto tentato dal segreto dell'urna, come dice lui, “dalla possibilità di mandare a capo il tanto odiato “Pdmenoelle””. Veniamo, quindi, a Roma che non è mai stata come oggi 'capitale' della “cattiva politica”. Qui la Raggi si appresta a raccogliere il plebiscito di ogni tipo di destra reazionaria e Renzi e tutti i suoi potentati diversamente collocati cercano di buttarla in caciara, chiamando a fare del voto un referendum se Roma deve fare o non fare le olimpiadi – stiano tranquilli... non le avranno, comunque – chiamando a raccolta innanzitutto il mondo dello sport, i palazzinari di ogni ordine e grado, ecc. ecc. Ma si tratta di un agitarsi inutile. A Roma la cosa più interessante non è chi farà il sindaco, ma come queste elezioni abbiano certificato come tutto ciò che appare di “sinistra” o che rivendica di essere tale, al di fuori delle lotte sociali, sia sub degradato a elettoralismo cialtrone, sia se si tratti di professori universitari, sia se si tratti di quegli attivisti permanenti del “sociale” quasi sempre para assistiti alla grappia delle pubbliche amministrazioni e dell'imponente apparato parassitario del sistema dei partiti vecchi e nuovi, del sistema delle associazioni, comprendente anche una fetta di ex centri sociali. Non vale la pena sprecare parole per Fassina e fassiniani vari, che dopo l'ignominiosa fine elettorale si scannano tra Giacchetti e Raggi, sempre con la disgustosa boria di voler rappresentare il nuovo inizio della “sinistra”. Ma guardiamo a Il Manifesto che ospita nelle sue pagine di sabato 11 giugno, due lunghi editoriali, uno invitando al voto PD, l'altro invitante al voto 5 Stelle. Durante la campagna elettorale, Il Manifesto, sia con l'autorevole voce di Norma Rangeri, sia con vari articoli, appelli, aveva invitato con enfasi a votare oltre che Fassina anche nominativamente questo o quel candidato, presentato come il più nobile delle persone. Spariti dalla contesa come non pervenuti tutti questi nomi, ora tutti gli argomenti sono sprecati per stare “con un piede in due staffe”, o, “più nobilmente”, per tenere aggrappati lettori e redattori al carro della più degradante della campagna elettorale che Roma abbia vissuto. E, quindi, Floridia in un editoriale ci spiega che Renzi ha già avuto il colpo (con la precedente votazione) ma che, appunto per questo “Renzi sta cominciando a normalizzarsi e quindi anche l'atteggiamento nei suoi confronti potrebbe anche uscire da una logica che in definitiva rischia di apparire subalterna, valutato sempre e solo in funzione di quello che lui fa, dice o pensa di fare”. Quindi, conclude “... non può essere considerata un'eresia il voto al candidato che esprime comunque un'opzione democratica”. Il linguaggio contorto del signore che scrive, e che in un giornale di “sinistra” non avrebbe spazio neanche nella parte delle lettere, è sostanzialmente: non teniamo conto di quello che Renzi dice e pensa di fare e votiamo Giacchetti, chiamato, qui, “opzione democratica”! Più articolato, meno obnubilato, ma molto peggiore, è il lungo editoriale a firma di Guido Liguori che invita a votare i 5 stelle “a piccoli passi”. E per convincere della bontà di questa scelta, deve fare il pieno delle “stronzate”. Parte dal dire che “le altre liste più di sinistra o più di movimento non hanno vantato risultati significativi”, aggiunge che ormai i 5 stelle sono “vincitori e primo partito”, anzi, sono sempre meglio, ecc. Una cosa sembrava assodata in questa campagna elettorale, e all'inizio tutti l'hanno detto, che Virginia Raggi era telecomandata da Grillo; la Raggi non aveva negato questo, anzi l'aveva giustificato come “competenze e ruolo istituzionale” del Grillo stesso. Arriva invece questo Liguori e dice che “il movimento di Grillo ottiene oggi il suo lusinghiero risultato, introducendo forse a sorpresa un elemento di controtendenza con la personalizzazione della politica, largamento diffusa: chi conosceva Virginia Raggi e Chiara Appendino prima che iniziassero le comunali? E' un fatto su cui riflettere. Esso indica che vi è un movimento di popolo che si esprime attraverso perfetti sconosciuti... con tanti saluti alla “democrazia del leader””. Neanche gli apologeti di Mussolini all'epoca riuscivano in questi lambiccati culti del movimento di popolo e del leader! Non solo, ma ormai Liguori cammina sicuro e recupera con un altro ragionamento abbastanza contorto, secondo cui un altro risultato dei pentastellari è riuscire sulle orme di Veltroni ad amputare le eccedenze, cioè a cancellare le “sinistre”, e quindi Grillo sta facendo uguale, ma lo sta facendo attivando “un fronte di lotta di difesa della democrazia”. Quindi, in un soprassalto aggiunge: “Rileggendo quanto ho scritto, mi accorgo di aver usato termini “classe politica”, “elites”, propri di quella teoria elitista che era sì una teoria reazionaria”, ma - poi prosegue inpunito - “con la quale già Antonio Gramsci aveva capito che si doveva fare i conti”. E, qui, parte filato per descrivere con ampie citazioni di politologhi che “il popolo dei 5 stelle ha riempito le piazze anche rispondendo a parole d'ordine demagogiche, alla famosa 'antipolitica'... Populismo si dirà. Certo. Ma non tutti i populismi sono uguali, vi sono populismi di destra e populismi di sinistra”. Quindi, dopo un richiamo a Podemos in Spagna, al Fronte ampio in Uruguay, tira nel suo campo: “populista è anche De Magistris”. Poi continua dicendo che De Magistris aveva alle spalle i ritratti di Che Guevara e Berlinguer (populisti anche loro, intende Liguori). Da tutto questo scaturirebbe che “è possibile un alleanza tra la sinistra e un partito populista per far saltare il tappo delle elites al potere... le condizioni in Italia non ci sono ancora, possiamo però provare a costruirle, iniziando da queste elezioni comunali”. Quindi, che indicazioni di voto dare? E qui sottolinea Liguori: “alle compagne e ai compagni, a questo 5% che ancora si raccoglie intorno alle bandiere rosse della sinistra? Nessuna indicazione? Tutti liberi di disperdersi... tra astensione, Pd, 5 stelle? Sarebbe solo la non scelta di chi ha paura di dividersi. Bisognerebbe, invece, con coraggio fare un passo. Offrire apertamente questi voti ai candidati 5 stelle... In cambio di cosa? Non di posti o di potere, certo. In cambio di gesti simbolici e politici... la collocazione a Strasburgo, per esempio, (Liguori sa bene che a Strasburgo il M5S è parte del gruppo delle destra con l'inglese Farage – ndr) che faccia intendere a noi e a tutti che i 5 stelle sono e vogliono essere, per dirne una, antifascisti e antirazzisti”. I 5 stelle sono il partito, compresi i deputati e larga parte dei suoi elettori, meno antifascisti e meno antirazzisti – a parte i leghisti dichiarati – che ci siano nel panorama politico italiano, e Grillo ha sempre avuto questa posizione di 'pancia' e di 'testa'. Ma, Liguori ben sapendo di aver scritto un insulto alla verità dice: “I 5 Stelle credo non accetterebbero oggi... ma non aspettiamo di subire gli eventi, prepariamoli... Da qui potrebbe partire un discorso nuovo per la sinistra in Italia”. Ma non c'era bisogno degli argomenti di Liguori. Larga parte dei seguaci della sinistra anti euro ha già votato al primo turno per il M5S; anche illustri studiosi di “sinistra” dello Stato hanno già sponsorizzato dalle pagine di Contropiano il M5S; a Torino Airaudo ha detto che “i nostri voti sono già andati a Grillo”. Mentre, chiaramente, tutti i rottami dell'ex sinistra, Rifondazione, Vendola, ecc., seguaci indiretti dell'ignobile carrierista Gennaro Migliore, ora urlano “la scheda bianca è un tragico errore. Votiamo Giacchetti”. Insomma, la misura è colma, diciamo noi. Come abbiamo scritto nel precedente testo e ultimo numero del giornale proletari comunisti: lavoratori, giovani, movimenti di lotta, devono non solo non partecipare a questo 'gioco', ma rafforzare la convinzione che lo scontro di classe con governo, padroni, poteri locali, domanda il liberarsi delle 'mosche cocchiere' e degli 'agenti nelle nostre fila', della cosiddetta “sinistra romana”.

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