mercoledì 1 giugno 2016

pc 1 giugno - Boccia, il nuovo capo di Confindustria, vuole un “capitalismo moderno” e una “democrazia moderna” per un paese al pieno servizio dei padroni che stronchi definitivamente gli ultimi diritti dei lavoratori

Il nuovo presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, ha fatto il suo primo discorso ufficiale il 26 maggio scorso all’assemblea dei padroni privati (ma anche pubblici, non dimentichiamo che esiste questa assurdità della presenza di aziende pubbliche che versano soldi pubblici nelle casse private di Confindustria) e ha detto chiaro e tondo quali sono i suoi obbiettivi e come li vuole raggiungere. E soprattutto che li vuole raggiungere!

Boccia ha detto che ha una fissazione e vuole che sia di tutti: quella della “crescita”, intende economica, e questa passa per un’altra “fissazione” quella dello scambiosalario/produttività”, e anche questo vuole che sia un problema di tutti! E intende padroni, sindacati e governo.
Partiamo, quindi, da ciò che è stato detto chiaro e tondo rispetto agli operai, come dice Boccia “da quello che conosciamo meglio e che sappiamo fare meglio: la nostra industria”: “La variabile decisiva per le nostre imprese è la produttività”. Per i padroni produttività significa che gli operai devono produrre di più, in tempi più brevi, affinché con prezzi più bassi delle merci e pagando meno salari, possano affrontare meglio la concorrenza, cioè strappare mercati agli altri capitalisti vendendo di più e, quindi, facendo più profitti! 


E come un’ossessione appunto, sulla produttività Boccia torna più volte, in un altro passo per esempio dice: “Consideriamo da sempre lo scambio ‘salario/produttività’ una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio.”
Ma per riuscire a fare tutto questo Boccia individua nel suo discorso degli “ostacoli” da superare e cioè l’esistenza di “relazioni industriali”, e cioè i rapporti con i sindacati, non ancora “moderni” e l’esistenza del contratto nazionale che deve essere sostituito, appunto, dal contratto aziendale, quello cosiddetto di secondo livello.

I padroni, dunque, sono chiamati da Boccia a “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, di apertura ai capitali e di investimenti nell’industria del futuro.” Alcuni padroni, secondo Boccia, sono già su questa strada, sono riusciti a rimanere a galla, “hanno superato la crisi. L’hanno superata perché hanno innovato. Hanno esportato. Perché hanno modernizzato la governance. (cioè il modo di dirigere l’azienda)… Hanno aperto il capitale dell’impresa” (cioè, rispetto a come facevano in passato, hanno accettato che altri capitalisti mettessero soldi nell’azienda diventando anche loro padroni senza più paura di perderne il “controllo”, “rischiando” di più e ammodernando le fabbriche con la nuova tecnologia). Quelli che invece non hanno fatto tutto questo hanno chiuso o
sopravvivono malamente.

Per “crescere” e stare sul mercato i padroni devono smetterla poi di chiedere soldi in prestito alle banche e invece devono raccogliere capitale tra chi è disposto appunto a rischiare nell’impresa. Anche a questo ha pensato Boccia, ad un aiutino a quelle imprese che non ce la fanno, dice infatti: “Lavoreremo affinché al programma “Elite” di Borsa Italiana partecipi un numero molto più ampio di imprese, un numero che deve passare da poche centinaia a diverse migliaia.”

Alle banche comunque Boccia chiede, quando è necessario, di prestare soldi alle aziende, di non essere diffidenti e, per verificare quanto queste siano solide, di non starsene negli uffici a controllare carte come dei burocrati, ma di “entrare nei capannoni” per vedere con i propri occhi cosa sanno fare.
E a proposito di burocrati Boccia tira dentro i rapporti con i sindacati che, se vogliono essere “moderni”, devono cambiare: “ ... Le relazioni industriali devono contribuire in maniera decisiva alla crescita della ricchezza e del benessere delle imprese e delle persone. Devono diventare rapporti tra soggetti consapevoli che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale.” E ancora: “Dobbiamo costruire la stagione della collaborazione per la competitività, sapendo che, ogni volta che non riusciremo a comprendere le ragioni dell’altro e a interpretare il futuro, sarà un fallimento di tutti: nostro, dei sindacati e del Paese.”

La “modernità”, quindi, sarebbe quella di non occuparsi degli interessi dei lavoratori ma condividere gli obbiettivi di sviluppo aziendale. Boccia qui gioca a fare il cretino smemorato, perché i sindacati confederali questo lo fanno da decenni!

Se da un lato, infatti, a questi sindacati viene riconosciuto il merito, insieme ai padroni, di aver “… messo in moto il cambiamento nella contrattazione con gli accordi interconfederali degli anni passati: questi devono costituire la base per andare oltre. Per questo motivo, avevamo chiesto ai sindacati di riscrivere insieme le regole della contrattazione collettiva.” Cioè, nella sostanza, quelle che aboliscono di fatto il contratto nazionale e i residui diritti dei lavoratori, e “Vi erano tutte le condizioni per farlo e favorire così un processo di decentramento della contrattazione, moderno e ordinato, come sta accadendo in Europa.” Ma, tra scioperi operai e richieste di aumenti, qualcosa è andato storto. È per questo che Boccia e i suoi padroni hanno accettato “a malincuore … la decisione delle organizzazioni sindacali di arrestare questo processo per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro delle vecchie regole, lasciando così ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire elementi di innovazione.” E purtroppo per loro “Adesso non si può interferire con i rinnovi aperti.” Ma “Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola lo scambio “salario/produttività” e sarebbe opportuno che le nuove regole fossero scritte dalle Parti Sociali e non dal legislatore.” Boccia è un immenso bugiardo visto che, grazie anche al Jobs Act passato con l’accordo sindacale, già tantissimi contratti nazionali sono stati firmati con le “nuove” regole e di fatto senza aumenti contrattuali. Ma per i padroni anche questa delle bugie è una “fissazione”!

Ma Boccia sa bene che se lui e la sua Confindustria riescono davvero a realizzare i loro “sogni”, nasceranno altri problemi “altrettanto importanti”, e ne cita due in particolare: “La bassa crescita e le trasformazioni del tessuto produttivo determinano disallineamenti tra domanda e offerta di lavoro, livelli di disoccupazione giovanile tragicamente elevati, carriere lavorative e percorsi professionali frammentati.” E cioè, visto che tante fabbriche chiudono e quelle che restano aperte devono sostituire gli operai con mezzi di produzione più moderni, e i posti di lavoro persi con i licenziamenti non saranno rimpiazzati, ci sarà un aumento della disoccupazione, quella giovanile in particolare, e l’aumento della precarietà! E allora per Boccia qui è necessario l’intervento del governo con le sue “politiche attive” che devono “funzionare al meglio” perché “Non basta prevedere risorse, bisogna mettere in funzione un sistema che l’Italia non ha mai avuto. Il funzionamento efficace di questo sistema richiede un interesse fattivo e creatività delle parti sociali.” E anche i padroni faranno uno sforzo mettendo, se necessario dei fondi, daranno “un contributo concreto, anche attraverso i fondi interprofessionali.” E i problemi non finiscono qui, dato che “Vi è poi la grande sfida dell’invecchiamento attivo.” Cioè gli operai licenziati sono ancora troppo giovani. E poi: “I mutamenti degli ultimi decenni sono evidenti a tutti: gli italiani sono sempre più anziani, i nuclei familiari più fragili, le esigenze di salute in aumento”. Qui uno si aspetta che Boccia chiami il governo a dare una mano almeno alle “esigenze di salute” e invece con una certezza piuttosto arrogante Boccia dice che è consapevole “lo Stato andrà via via restringendo il proprio raggio di azione nelle politiche sociali” che dovrebbero essere sostituite dal “welfare aziendale”. Come sta infatti accadendo con alcuni contratti, invece di aumentare il salario si propone ai lavoratori di accettare qualche “bonus” come asili nido, buoni pasto ecc. che il padrone si può pure scaricare dalle tasse!

Per commuoverci e convincerci che ha ragione su questo raccontino e che per questo dobbiamo stare tutti insieme Boccia ci presenta una situazione economica mondiale e nazionale da brivido, lo vediamo quasi piangere:
“Viviamo tempi difficili, con un quadro mondiale caratterizzato da incertezza e instabilità senza precedenti. Il terrorismo internazionale e le forti ondate migratorie sono ormai caratteristiche permanenti della nostra epoca. L’aumento delle disuguaglianze dentro i paesi avanzati è una delle cause ultime della crisi. La crescita globale non si consolida. Il Fondo Monetario Internazionale ha da poco abbassato ulteriormente le proprie stime. Gli esperti parlano di “stagnazione secolare”. È una diagnosi che riporta indietro le lancette dell’orologio a un’era che non vogliamo rivivere: gli anni Trenta e il mondo aveva davanti a sé scenari tetri.”

Questo a livello mondiale, passiamo all’Italia:

“La nostra economia è senza dubbio ripartita. Ma non è in ‘ripresa’. È una risalita modesta, deludente, che non ci riporterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione. Le conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono ancora molto profonde. Per risalire la china dobbiamo attrezzarci al nuovo paradigma economico.”
E quale sarebbe questo nuovo paradigma? Come abbiamo visto significa “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, di apertura ai capitali e di investimenti nell’industria del futuro.” E visto che “Lo stallo non è soltanto economico, è anche politico. Soprattutto politico.” Bisogna che ad un capitalismo moderno segua una “democrazia moderna” delle “Istituzioni moderne”. È per questo che bisogna “proseguire con forza sulla strada delle riforme”. E per Boccia “le riforme non hanno un nome, ma un oggetto. Non conta chi le fa, ma come sono fatte.” Perché “Le riforme possono inaugurare una grande stagione della responsabilità, nella quale chi governa sceglie e prende decisioni e il consenso si misura sui risultati.” “Una democrazia moderna prevede che chi si oppone a una riforma, a un governo o a una misura avanzi proposte alternative subito praticabili e non usi l’opposizione solo per temporeggiare.” Boccia, per non essere frainteso, vuole una “democrazia moderna” in tutti i campi: “Vogliamo che fin dalle scuole si insegnino, con l’educazione civica, il valore del fare, i principi dell’economia, il ruolo dell’impresa e dell’industria.”; “Vogliamo che non ci sia più contrapposizione tra Istituzioni e imprese; che la cultura dello sviluppo economico contamini l’amministrazione pubblica, la giustizia.” E servono le riforme importanti come quelle in corso di tipo costituzionale: “Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di mano.” Perché è vero che “Molto è stato fatto, a cominciare dal mercato del lavoro, dal fisco, dalla scuola, dalla Pubblica Amministrazione ... Ma – soprattutto – le nuove leggi devono diventare comportamenti, per ottenere i quali serve coerente e perseverante applicazione.” E in questo “Il tempo è cruciale”! Il governo Renzi quindi è avvertito e chiamato a non deludere su questi punti i padroni di Confindustria. Il “traguardo è a portata di mano” cioè per Boccia finalmente la possibilità che questo paese faccia ancora passi avanti verso un paese moderno fascista con un governo al servizio completo dei padroni e che possa decidere rapidamente, senza opposizione.

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