lunedì 7 marzo 2016

pc 7 marzo - GUERRA IN LIBIA: I paesi imperialisti – ITALIA, FRANCIA, GRAN BRETAGNA, USA… si dividono il bottino della guerra, “almeno 130 miliardi”

È questo il contenuto dettagliato dell’articolo del giornale dell’imperialismo italiano, il Sole 24 Ore di ieri, che “dice la verità” preoccupato che gli altri paesi imperialisti possano avere una fetta più grande della Libia. “La grande spartizione della Libia: un bottino da almeno 130 miliardi” è il titolo.


E ci ricorda che domani Renzi e Hollande “si incontreranno … al palazzo Ducale di Venezia” e “guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?” Il giornalista ha voglia di scherzare, dato che Renzi e Hollande sanno benissimo perché fanno la guerra in Libia, ma anche in altre parti del mondo! Vediamo però dove ci porta il suo ragionamento. “La risposta più ovvia - il Califfato - è quella di comodo.”, dice. Quindi l’obbiettivo di questa guerra non è la “guerra al terrorismo” che questa volta veste i panni dell’Isis e che in questa “analisi” passa addirittura all’ultimo posto! 

La guerra di Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.” 

L’esito non poteva essere la “democrazia” visto che non è per questo che gli imperialisti fanno la
guerra, anzi. E veniamo al dunque: il bottino. “La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.

Il giornalista chiama regolamento di conti la guerra tra potenze imperialiste per la spartizione del mondo con le sue materie prime! E infatti, continua: “Qui si possono liberare alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.” 


Il giornalista soffre per il proprio imperialismo e attacca, e se la prende con gli Stati Uniti: “Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza.”

L’imperialismo italiano sarà “irrilevante” come pensa il pennivendolo ma “La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica - dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi - gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.” 

Come si vede ogni paese imperialista ha i suoi motivi ben fondati per tenere gli artigli ben piantati sul suolo libico. Perfino i russi e l’Egitto…! “Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la secca risposta del premier britannico. Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.”
Ed ecco la spartizione: “Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica.”

E la parte finale dell’articolo riepiloga gli interessi in campo di questa “guerra mondiale in piccolo”, come qualcuno ha chiamato quella in Siria, dei paesi imperialisti e dei loro lacchè, usando però parole piene di comprensione e di “democrazia” per le vite dei libici e di tante altre vite che purtroppo per loro si trovano ad abitare sul petrolio! “Rivelando” i motivi urgenti dell’attacco della Francia nel 2011, e cioè la necessità di mantenere le proprie “colonie” che sono l’altra faccia della medaglia dell’imperialismo.
“Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. E insieme ai litigi libici ci sono le trame delle potenze arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro fazioni favorite: l’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa nella Sirte.”
“La lotta al Califfato è solo un aspetto del conflitto, anzi l’Isis si è inserito proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi.”

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-06/la-grande-spartizione-114530.shtml?refresh_ce=1

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