sabato 11 luglio 2015

pc 11 luglio - In Italia i padroni possono inquinare e uccidere impunemente


Brindisi, lo studio: “Centrale Enel di Cerano provoca fino a 44 morti l’anno”
Tre ricercatori del Cnr di Lecce e Bologna pubblicano gli esiti del loro lavoro sui decessi nella zona della centrale a carbone: nella Puglia meridionale ogni dodici mesi ben 44 decessi sarebbero da collegare all'inquinamento. L'Enel: “Non c'è pericolo”. Ma anche la procura inizia a muoversi
di Tiziana Colluto | 11 luglio 2015 
La centrale Enel di Cerano provocherebbe “fino a 44 decessi” l’anno nella zona di Brindisi, Taranto e Lecce. In altre parole, fino a un massimo di quattro morti ogni 100mila abitanti si potrebbero evitare, se non ci fossero le emissioni inquinanti della centrale termoelettrica a carbone Federico II, tra le più grandi d’Europa. Questo dice uno studio che ora ha tutti i crismi scientifici, dato che è stato pubblicato dalla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health . “Fuorviante”, secondo Enel che, riferendosi ad una relazione di Arpa Puglia-Asl-Ares, ribadisce: “non c’è pericolo per la salute”. Quella ricerca, tuttavia, è destinata ad approdare subito in Procura, a Brindisi, dove è già in corso un processo per la dispersione delle polveri di carbone e dove si sta affinando la lente sugli effetti dell’inquinamento industriale sui cittadini. Ecco perché non passerà inosservato lo studio choc elaborato da Cristina Mangia, Marco Cervino ed Emilio Gianicolo, ricercatori del Cnr di Lecce e Bologna. Le conclusioni a cui sono giunti sono dure: “Emerge in modo inequivocabile – scrivono – come in presenza di emissioni provenienti da installazioni industriali che portano alla formazione di particolato secondario, questo debba essere considerato nelle valutazioni di impatto ambientale e sanitario. L’indagine condotta nel caso di studio specifico della centrale di Brindisi ha evidenziato, infatti, che ignorare il ruolo del particolato secondario conduce ad una sottostima notevole dell’impatto che la centrale ha sulla salute delle popolazioni”. Qual è la novità più importante? Per la prima volta, si indaga, appunto, il ruolo del particolato secondario, la miscela frutto di reazioni chimiche fra ossidi di azoto e ossidi di zolfo emessi dopo il processo industriale con altre sostanze presenti nell’atmosfera. A ciò si associa, soprattutto, l’insorgenza di tumori al polmone e di malattie dell’apparato cardiovascolare e respiratorio. Tutte patologie che attribuiscono al Salento tristi primati . Finora, si era pensato che questa sostanza si formasse in quantità trascurabili in area locale. Invece? “Se viene considerato anche il particolato secondario – spiegano dal Cnr – aumenta l’area geografica interessata dalle ricadute e dunque la popolazione esposta all’inquinamento originato dalla centrale termoelettrica. Aumenta, conseguentemente, il numero dei decessi a questa attribuibile”. A quanto ammontano? Sarebbero mediamente quattro all’anno, se si considera solo il particolato primario, che ha il suo massimo di concentrazione ad una distanza di circa sei chilometri dalla fonte. Se si esplorano anche gli effetti del particolato secondario, i cui picchi si registrano ad una distanza tra i dieci e i trenta chilometri, il numero delle morti oscilla da un minimo di 7 ad un massimo di 44. Impatto che, anche tenendo conto dell’incertezza fisiologica delle stime, “emerge come non trascurabile”. Le zone a sud-est di Cerano sono quelle più esposte tra i 120 comuni indagati delle tre province della Puglia meridionale (popolazione di circa 1 milione e 200 mila abitanti).  Sono dati elaborati avendo come anno di riferimento il 2006, intermedio del periodo totale di funzionamento. La centrale Enel, infatti, è stata costruita su 270 ettari di Lido Cerano, a 12 chilometri a sud di Brindisi, alla fine degli anni Ottanta. Le quattro sezioni a vapore a ridosso della costa sono entrate in servizio tra l’ottobre del ’91 e il novembre del ’93, per un totale di 2.640 mw installati. Solo di recente sono stati avviati i lavori di ambientalizzazione con la copertura dei parchi minerari. Cosa sarebbe successo nel frattempo lo ricostruisce questo studio sull’impianto che è in cima alle classifiche dell’agenzia europea per l’Ambiente per emissioni di sostanze inquinanti. Non un dettaglio, si diceva. Come confermano al fattoquotidiano.it fonti della procura di Brindisi, è certo che la pubblicazione sarà studiata dagli inquirenti. Porto Tolle e Vado Ligure non sono poi così lontani.

pc 11 luglio - I padroni italiani uccidono gli operai in trasferta



Eni, in Nigeria 12 morti per un’esplosione durante i lavori a un oleodotto
L'incidente è avvenuto durante i lavori di riparazione della linea Tebidaba-clough Creek, in precedenza danneggiata da anni di sabotaggio
di F. Q. | 10 luglio 2015 





pc 11 luglio - C'è del marcio a Bologna, ovvero il PD garante del malaffare delle COOP



People Mover, le mail della dipendente trasferita per essersi opposta alla coop rossa: “Non posso dare via libera”
Dalle carte della Procura della Repubblica di Bologna emergono le difficoltà della funzionaria comunale spostata ad altro ufficio dopo avere espresso riserve sull'ingresso di Atc (oggi Tper, azienda dei bus a maggioranza comunale) nella società di gestione del progetto della monorotaia. La dipendente segnalò possibili anomalie nel fatto che dopo pochi anni dalla concessione Ccc potesse lasciare tutta la gestione della grande opera, rischi compresi, ad Atc. Ma l'affare si fece comunque con un cda che i pm ora definiscono “acquiescente” alle pretese del consorzio
di David Marceddu | 11 luglio 2015 


Nonostante il parere negativo di una funzionaria, il comune di Bologna andò avanti a sottoscrivere quei patti che prevedevano “condizioni capestro” per Atc e “di tutto favore” per la coop rossa Ccc, il Consorzio cooperative costruzioni. Dalle carte della Procura della Repubblica emergono nuovi particolari sulla storia di Sonia Bellini, la funzionaria comunale trasferita ad altro ufficio dopo avere espresso riserve sull’ingresso di Atc (oggi Tper, azienda dei bus a maggioranza comunale) nella società di gestione del People Mover. La dipendente segnalò possibili anomalie nel fatto che dopo pochi anni dalla concessione Ccc potesse lasciare tutta la gestione della grande opera, rischi compresi, ad Atc. Ma l’affare si fece comunque con un cda di Atc che i pm ora definiscono “acquiescente” alle pretese del Ccc. Va premesso che queste sono solo accuse da dimostrare al processo in corso in Tribunale: mentre i cantieri della monorotaia Stazione Aeroporto non sono ancora partiti, per la vicenda sono infatti già finiti alla sbarra l’ex sindaco Pd Flavio Delbono, il suo assessore al bilancio Villiam Rossi, e poi Patrizia Bartolini, Cleto Carlini e Francesca Bruni, funzionari del Comune di Bologna, l’ex numero uno di Atc Francesco Sutti e Piero Collina, allora numero uno del Ccc. Un altro processo contro tutta la giunta Delbono partirà invece nel 2016 in Corte dei conti. La vicenda di Sonia Bellini è approfondita nelle pagine della richiesta di archiviazione (poi accolta) che i pm Antonella Scandellari e Giuseppe Di Giorgio avevano inoltrato a marzo al Gip per scagionare politici e funzionari della Provincia (azionista di minoranza di Atc). È il 13 ottobre 2009 quando Bellini, dirigente del Settore partecipazioni societarie del Comune scrive all’assessore Rossi e ad altri funzionari per porre alcuni quesiti. Ha appena ricevuto la proposta di patti parasociali che il cda di Atc dovrà approvare. I pm riportano i suoi dubbi per riassunto: 1) Bellini si chiede se possano partecipare alla società di progetto soggetti estranei a quelli che hanno partecipato alla gara d’appalto. A vincere la gara d’appalto in project financing per il People mover è stato infatti il solo Ccc. E qui va aperta una parentesi facendo un passo indietro: Atc, secondo i pm, entra nell’affare in base ad “accordi occulti” stretti nel 2008 tra Collina e Sutti, prima della stessa gara d’appalto. Questa a sua volta sarebbe stata preparata da alcuni funzionari comunali proprio in vista dell’ingresso successivo di Atc a fianco di Ccc.

pc 11 luglio - Expo 2015 regala 60mila euro per il Family Day

E si prepara ad accogliere  "WE Women for Expo"


(da "percorso storico e bilancio del MFPR") "c'è un femminismo borghese, piccolo borghese e un femminismo rivoluzionario - che spetta alle proletarie comuniste raccogliere e rappresentare - Ciascuno di questi femminismi formula le proprie rivendicazioni in modo diverso. La donna borghese solidarizza, nel femminismo, con l'interesse della classe conservatrice. La doma proletaria identifica la forza del suo femminismo con la fede delle moltitudini rivoluzionarie della società futura. La lotta di classe si riflette anche nel campo femminista.
Le donne, così come gli uomini, sono reazionarie, centriste o rivoluzionarie. Di conseguenza non possono combattere insieme la stessa battaglia. Nell'attuale panorama umano, la classe differenzia gli individui più del sesso".

(Da infoaut) - La segnalazione è partita dalla rete ed è quanto emerge dagli atti pubblicati sul sito di Expo Milano 2015. Nel 2012 l'Expo ha donato 60mila euro alla curia arcivescovile di Milano per l'organizzazione del “Family Day”.
Un altro esempio di come, all'ombra del grande evento, avvenga una spartizione di denaro pubblico tramite una fitta rete di soggetti connessi da rapporti clientelari e interessi economici. Tra questi figura anche la curia arcivescovile di Milano, che, tra l'altro, non ci pare un'ente sprovvisto di lauti introiti e buoni agganci.
Come se non bastassero i miliardi di euro buttati nei mille rivoli di questa grande opera inutile, scopriamo che, di questi, 60mila sono finiti al finanziamento di un evento come il “Family Day”. Expo 2015 quindi a sostiene un evento reazionario dietro al quale, oltre ai peggiori discorsi della destra omofoba, si gioca una partita riguardante interessi economici e influenza sociale.
Il paradigma delle grandi opere/grandi eventi non conosce austerity o spending review, ma opera a tutto tondo a sostenere gli interessi economici e politici del blocco sociale al potere (a cui appartiene anche la Chiesa).

pc 11 luglio - Un nome una garanzia di impunità: si chiama “Familiarmente” il patto di benevolenza nei confronti di stupratori, assassini e torturatori della NATO

Per i soldati americani in Italia un regime d’eccezione che li rende impuniti
(da Osservatorio Repressione) - Disastri, stupri e sequestri: gli impuniti a stelle e strisce. Dal Muos alle violenze nelle basi passando per gli incidenti stradali: perché non pagano mai.
Un militare statunitense incarcerato in Italia su 200 accusati. La statistica arriva dagli stessi americani, dal giornale Stars & Stripes, Stelle e Strisce, distribuito tra i militari Usa: “Negli ultimi cinque anni ci sono state 200 indagini per accuse che vanno dall’aggressione, allo stupro fino all’omicidio colposo, ma solo una persona è stata incarcerata in Italia”, scrive la giornalista Nancy Montgomery in un articolo dal titolo “Le truppe americane sotto accusa in Italia spesso sfuggono la pena”.
Un fenomeno noto da decenni e, però, taciuto: in Italia la giustizia per i militari americani è meno uguale. Quando compiono reati in servizio, ma anche quando si rendono responsabili di reati comuni: incidenti stradali, botte e stupri. E oltre le statistiche emergono storie dolorose. Una in particolare è diventata un simbolo: quella di Jerelle Lamarcus Grey, un ragazzone americano di 22 anni che prestava servizio presso la base a stelle e strisce di Vicenza, la Del Din (ex Dal Molin) nota per le proteste dei vicentini.
È il 9 novembre 2013, al Disco Club Cà di Denis alla periferia della città è in programma una festa: musica reggae, champagne e porchetta. Ci sono giovani del posto e militari americani reduci da missioni di guerra. Magari vogliono sfogare la tensione pazzesca che si portano dentro. Quando una ragazzina sudamericana di 17 anni esce dal locale si trova davanti un soldato che la spinge in un angolo buio. La stupra.
I carabinieri sono convinti di averlo identificato: è Jerelle. L’accusato resta a piede libero – non ci sarebbe pericolo di reiterazione del reato – finché pochi mesi dopo ecco un altro stupro: una prostituta incinta di sei mesi viene aggredita e violentata. E l’indagine porta di nuovo a lui, a Jerelle e a un suo commilitone: Darius Mc-Cullough. Sarebbero loro i responsabili. Ma com’è possibile, si chiedono in tanti a Vicenza, che Jerelle sia libero?
La Procura intanto dispone per lui gli arresti domiciliari. Dove? Nella base Del Din, dove pare girasse indisturbato. Ma la storia non è ancora finita: una notte del dicembre scorso, Jerelle riempie il suo letto di stracci, per far credere di dormire. E senza difficoltà scappa. Viene infine arrestato vicino a un residence frequentato da prostitute: ne avrebbe picchiato un’altra, sempre incinta, pretendendo prestazioni sessuali. Jerelle alla fine riesce a finire nelle galere italiane. “Mi risulta che siano i primi, lui e il suo complice”, non nascondono la loro soddisfazione Alessandra Bocchi e Anna Silvia Zanini, avvocati delle presunte vittime.
Oggi Jerelle attende il processo per il primo stupro, mentre per il secondo è stato condannato (sei anni in primo grado, come il suo presunto complice Darius Mc-Cullough). E i casi non si contano. Spesso sono reati di violenza. L’ultimo è di pochi giorni fa: un parà di 22 anni accusato di violenza sessuale nei confronti della figliastra di sette anni. Militari, ma non solo. C’è un civile americano, Mark Gelsinger, tra gli otto indagati nell’inchiesta per reati ambientali relativi alla costruzione del Muos, l’impianto satellitare della Marina Usa di Contrada Ulmo a Niscemi (Caltanissetta). Le autorità americane hanno chiesto subito che sia sottoposto alla loro giurisdizione.
I pm italiani indagano, le autorità americane chiedono di sottoporre i loro cittadini alla giurisdizione statunitense. E la risposta finora era quasi sempre scontata: 91 sì su 113 domande in quindici mesi fino al marzo 2014. Perché? Pesava una sudditanza dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti, ma contano anche i tempi della giustizia.
“Nelle more del processo i militari vengono rispediti a casa. E addio”, racconta l’avvocato vicentino Paolo Mele. Alla base di tutto la Convenzione di Londra ratificata nel 1956, quella chiamata “familiarmente” patto di benevolenza. Prevede che per i reati commessi dai militari Nato si tenda a concedere la giurisdizione del Paese d’origine. In pratica un accordo ricamato addosso ai soldati americani.
Per decenni a migliaia si sono sottratti alla nostra giustizia. Con due casi clamorosi: “Il 3 febbraio 1998″, racconta Mele, “due avieri americani – il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer – volando come Top Gun tranciarono i cavi della funivia del Cermis. Venti persone morirono. I due militari furono sottratti alla giustizia italiana e processati in America dove vennero assolti per l’incidente. Furono radiati e condannati a pochi mesi solo perché distruggendo il video del volo avevano ostacolato la giustizia”, conclude Mele.
Poi ecco il caso Abu Omar, l’imam egiziano sequestrato dalla Cia nel centro di Milano e portato nel suo paese dove fu incarcerato e torturato. Il pm Armando Spataro e la Digos di Milano arrivarono a identificare i responsabili: 23 agenti condannati in Cassazione. Ma tutti si sottraggono alla giustizia italiana. E il responsabile della struttura Jeff Romano ottiene la grazia dal presidente Giorgio Napolitano. Se non ci pensano gli americani, facciamo noi. Nessuno dei nostri governi ha mai chiesto l’estradizione per le spie condannate.
Violenze, disastri e spionaggio. Ma anche marines in fuga dai loro impegni familiari. Già, perché in Italia ci sono 59 installazioni militari americane. Solo a Vicenza una persona su dieci vive nella base. Nel 1959 ogni mese si celebravano dieci matrimoni misti. Poi qualcosa è cambiato: divorzi, mariti in fuga, irrintracciabili che lasciano le compagne sole e senza un soldo. Un reato, ma nessun militare paga: l’America li tutela a qualunque costo.
“Qualcosa, però, negli ultimi mesi sembra cambiato, non so se per merito dell’Italia o dell’amministrazione Obama”, sostiene Alessandra Bocchi. Conclude: “Noi non ce l’abbiamo con gli americani, anzi. Ma dobbiamo tutelare le vittime”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando nel luglio 2014 ha twittato: “I due militari americani accusati di stupro saranno processati in Italia”. Jerelle e Darius per il momento sono in carcere. Si capirà presto se è un primo passo.
Ferruccio Sansa da  Il Fatto Quotidiano