lunedì 7 dicembre 2015

pc 7 dicembre - Il lavoro sporco della Turchia con i soldi dell’Europa - un intervento

stefano galieni

La decisione della Commissione europea è stata presa il 24 novembre, l’accordo con il governo di Erdogan è stato firmato 5 giorni dopo, ma l’efficienza trionfa e già dal 30 novembre sembra scattato il blocco su tutti i punti di imbarco dei profughi che dalla Turchia cercano di raggiungere le coste greche. In 752 sono stati intercettati e riportati indietro al largo delle coste di Canakkale, a poche miglia marine da Lesbos. Durante l’operazione della marina turca che ha fermato cittadini afghani, iracheni, iraniani e siriani, almeno un profugo è morto annegato, in circostanze ancora non chiarite.
Quello che si è realizzato con la decisione della Commissione è un vero e proprio Fondo per i rifugiati per la Turchia . Il punto di partenza è ovvio. In Turchia ci sono oggi oltre 2 milioni di profughi, in gran parte, ma non solo, siriani, che vorrebbero entrare in Europa e la Turchia dichiara di avere già speso per loro circa 7 miliardi di euro. Si è elaborato un piano di azione congiunto basato
sulla “condivisione delle responsabilità”, L’UE ha già dato ad Ankara 1,6 mld di euro, e altri 2,0 mld sono stati dati complessivamente dai singoli Stati membri. Il nodo chiave, come strumento di finanziamento, è il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) che riguarda la cooperazione interregionale di sviluppo con i paesi terzi e gli aiuti umanitari. La Turchia è inclusa nella lista ufficiale del “Development Assistance Committee dell’OCSE fra i Paesi beneficiari di aiuto allo sviluppo, come paese a reddito “medio alto”.
L’intervento previsto per il prossimo anno è di 2.500 milioni di euro, garantiti dagli Stati membri e altri 500 milioni da parte dell’UE, per un totale di 3 mld. Il Fondo, secondo gli accordi firmati mira, come strumento, a coordinare e razionalizzare le azioni finanziate dall’Unione e dei contributi bilaterali garantiti dai singoli Stati membri. Questo non esclude affatto ulteriori aiuti esterni, anche da parte degli Stati membri, che però saranno ritenuti, complementari al piano. Il fondo dovrebbe garantire aiuti umanitari direttamente ai profughi, alle autorità locali e a quelle nazionali impegnate nell’accoglienza. Di fatto significa che, considerando il regime turco, sarà il governo centrale a decidere la destinazione dei beni e anche delle sovvenzioni. Ci sono garanzie di principio secondo cui i soccorsi verranno garantiti senza discriminazione di genere o di origine etnica (ahinoi nel documento ufficiale si utilizza ancora il termine “razza”) di religione, convinzioni personali, disabilità, e orientamento sessuale.
I singoli Stati membri hanno garantito diverse quote. Il primo contribuente sarà la Germania, con 534.384.810 euro, al secondo il Regno Unito con 409.538.796 e al terzo la Francia con 386.518.273 e al quarto l’Italia con 281.139.943 euro.
Per gestire i fondi resi disponibili viene costituito un Comitato direttivo del Fondo che deve controllare l’utilizzo delle erogazioni e che sarà composto da due rappresentanti della Commissione Europea e da un rappresentante per ciascun Stato membro. La Turchia sarà membro di questo direttivo a titolo consultivo al fine di “garantire il pieno coordinamento delle azioni sul terreno, ad eccezione delle azioni che forniscono assistenza umanitaria immediata”. Entro due mesi la Commissione, che resterà alla guida del Fondo, dovrà definire un regolamento interno e dovrà informare, ex post il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa, in merito all’andamento dei lavori. Lo farà annualmente, questo significa che ci si predispone ad una azione lunga nel tempo e pensata per riconfermare il ruolo chiave della Turchia nell’area.
Ma a cosa servirà questo fiume di denaro?
In parte su ADIF lo abbiamo già enunciato.
Servirà a rendere ancora più forte la fase di esternalizzazione dei confini UE, avendo presenti alcuni elementi che hanno mutato lo scenario rispetto a poche settimane fa. L’allarme terrorismo è divenuto alibi per l’egoismo dei singoli paesi che non stanno più accettando la ricollocazione dei pochi profughi previsti, neanche il 5% di quelli presenti nella sola Turchia. Il vertice de La Valletta, dell’11e 12 novembre è di fatto fallito e i tentativi di esternalizzazione nei paesi africani procederanno a rilento, nonostante si continui a lavorare per mantenere vivo il percorso creato con il Processo di Rabat (2006) e di Khartoum (2014). Per il continente africano 3,6 miliardi in due tranche sono poca cosa e ne hanno ben donde gli Stati africani visto che l’impegno finora garantito dagli Stati membri UE è. A fronte di una richiesta di 1,8 mld di euro di soli 86 milioni. Quindi mentre in Africa si continua a sostenere regimi come quello di Al Sisi in Egitto, Isaias Afawerke in Eritrea, Al Bashir in Sudan e mentre si aspetta di capire come potrà evolvere l’esplosiva situazione libica, ci si protegge al confine orientale, quello che rischia di continuare a portare profughi nel cuore dell’Europa, verso Germania, Austria e Italia Orientale. Quindi risorse a palate con un regime che eufemisticamente non si oppone al passaggio di armi per il Daesh in Siria e Iraq anche in funzione anti kurda. Contro la resistenza delle forze democratiche kurde che combattono i fondamentalisti vengono usate le armi fornite infatti dalla stessa UE, senza contare che in quanto membro della NATO il regime di Erdogan gode di una sorta di immunità. In pratica può ricattare l’Europa con la minaccia dei profughi che è in grado di controllare, come faceva la Libia di Gheddafi ma avendo un potere contrattuale infinitamente maggiore e potendo giocare un ruolo predominante in una vasta area geopolitica.
Difficile prevedere se questo velocizzerà l’ingresso della Turchia nell’U.E. (rischiano poi di saltare i confini che permettono di trattenere i profughi) molto più probabile ipotizzare il ruolo di esecutore del lavoro sporco non solo verso i siriani, con cui magari si troveranno per ora forme di accoglienza, ma per cittadini del Pakistan, del Bangladesh e dell’Afghanistan che verranno rispediti nei loro paesi ritenuti “sicuri” magari con i fondi dell’UE, magari anche con i mezzi di Frontex. Il percorso è quello delle espulsioni sommarie, che avverranno senza interferenza di chi si occupa di diritti umani e contemporaneamente questo faciliterà i processi di repressione già in atto in Turchia. Alcune associazioni, fra cui l’Agenzia Habeshia, Progetto Diritti, il Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos stanno già chiedendo che le procedure illegali di blocco in Turchia vengano annullate e non vengano anzi estese nel continente africano, così come si sta tentando di ottenere la riapertura della Rotta Balcanica per garantire a chi è rimasto, con l’avvicinarsi dell’inverno, in condizioni disperate, di trovare realmente rifugio. Servono corridoi umanitari e canali di ingresso legali in Europa altrimenti si consegnano centinaia di migliaia di persone nelle mani di tiranni senza pietà e di questo l’Europa porterà la responsabilità nei secoli a venire

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