giovedì 31 dicembre 2015

pc 31 dicembre - FORMAZIONE OPERAIA: Quando e come nasce il capitale?… “Il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.” La violenza come levatrice della storia!

CON QUESTA ULTIMA PARTE DE IL CAPITALE DI 

MARX CONCLUDIAMO IL 4° CICLO DELLA 

FORMAZIONE OPERAIA. ARRIVEDERCI AL 2016! 

BUON ANNO A TUTTI!


Il “mistero” dell'accumulazione originaria del capitale.

“Abbiamo visto” dice Marx, “come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale. Ma l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione «originaria» che precede l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.”
“Nell’economia politica” continua Marx “quest’accumulazione originaria fa all’incirca la stessa parte del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il
genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più.” Ma “la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare.” Ma tant’è! Così l’élite diligente ha accumulato ricchezza e “gli altri non hanno avuto all’ultimo altro da vendere che la propria pelle. 
E da questo peccato originale data la povertà della gran massa che, ancor sempre, non ha altro da vendere fuorché se stessa, nonostante tutto il suo lavoro, e la ricchezza dei pochi che cresce continuamente, benché da gran tempo essi abbiano cessato di lavorare.” E Marx ci riporta anche come la raccontano i potenti di allora, un politico di alto rango francese: “Il signor Thiers per esempio sminuzza ancora ai francesi che una volta erano così intelligenti, tali insipide bambinate con tutta la serietà e solennità dell’uomo di Stato, allo scopo di difendere la p r o p r i é t é.” Oggi di insipide bambinate a proposito dell’economia ne sentiamo ancora parecchie ma nessuno parla più di questa origine del capitale. “Nella storia reale” afferma Marx: “la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza.” Invece “Nella mite economia politica ha regnato da sempre l’idillio. Diritto e «lavoro» sono stati da sempre gli unici mezzi d’arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per «questo anno». Di fatto i metodi del l’accumulazione originaria sono tutto quel che si vuole fuorché idillici.

“Denaro e merce” continua Marx “non sono capitale fin da principio, come non lo sono i mezzi di produzione e di sussistenza.” Occorre invece “che siano trasformati in capitale. Ma anche questa trasformazione può avvenire soltanto a certe condizioni” che in sintesi sono queste: “debbono trovarsi di fronte, e mettersi in contatto due specie diversissime di possessori di merce, da una parte proprietari di denaro e di mezzi di produzione e di sussistenza, ai quali importa di valorizzare mediante l’acquisto di forza-lavoro altrui la somma di valori posseduta; dall’altra parte operai liberi, venditori della propria forza-lavoro e quindi venditori di lavoro. Operai liberi nel duplice senso che essi non fanno parte direttamente dei mezzi di produzione come gli schiavi, i servi della gleba ecc., né ad essi appartengono i mezzi di produzione, come al contadino coltivatore diretto ecc., anzi ne sono liberi, privi, senza. Con questa polarizzazione del mercato delle merci si hanno le condizioni fondamentali della produzione capitalistica. Il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro. Una volta autonoma, la produzione capitalistica non solo mantiene quella separazione, ma la riproduce su scala sempre crescente. Il processo che crea il rapporto capitalistico non può dunque essere null’altro che il processo di separazione dalla proprietà delle proprie condizioni di lavoro, processo che da una parte trasforma in capitale i mezzi sociali di sussistenza e di produzione, dall’altra trasforma i produttori diretti in operai salariati.” E quindi: “la cosiddetta accumulazione originaria non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione. Esso appare «originario» perché costituisce la preistoria del capitale e del modo di produzione ad esso corrispondente.”

E in breve Marx riepiloga il lungo processo storico che ha portato a questo, dice Infatti: “La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla struttura economica della società feudale.” E la dissoluzione della società feudale ha liberato gli elementi della società capitalistica.
L’operaio, spiega Marx, è stato libero di “disporre della sua persona soltanto dopo aver cessato di essere legato alla gleba” cioè alla terra che lavorava come servo del padrone feudale. E ancora: “Per divenire libero venditore di forza-lavoro, che porta la sua merce ovunque essa trovi un mercato, l’operaio ha dovuto inoltre sottrarsi al dominio delle corporazioni, ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro. Così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall’altro lato questi neo affrancati diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco.”

Ma anche i capitalisti hanno dovuto lottare: “I capitalisti industriali, questi nuovi potentati, hanno dovuto per parte loro non solo soppiantare i maestri artigiani delle corporazioni, ma anche i signori feudali possessori delle fonti di ricchezza. Da questo lato l’ascesa dei capitalisti si presenta come frutto di una lotta vittoriosa tanto contro il potere feudale e contro i suoi rivoltanti privilegi, quanto contro le corporazioni e contro i vincoli posti da queste al libero sviluppo della produzione e al libero sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Tuttavia, i cavalieri dell’industria riuscirono a soppiantare i cavalieri della spada soltanto sfruttando avvenimenti dei quali erano del tutto innocenti. Essi si sono affermati con mezzi altrettanto volgari di quelli usati un tempo dal liberto romano per farsi signore del proprio patrono.”

Perciò “Il punto di partenza dello sviluppo che genera tanto l’operaio salariato quanto il capitalista, è stata la servitù del lavoratore. La sua continuazione è consistita in un cambiamento di forma di tale asservimento, nella trasformazione dello sfruttamento feudale in sfruttamento capitalistico.”

“Per comprenderne il corso” dice Marx non bisogna andare molto indietro. È vero che “i primi inizi della produzione capitalistica” si trovano sporadicamente fin dal 1300 e 1400 in alcune città del Mediterraneo, ma “l’era capitalistica data solo dal 1500”. In questa “storia dell’accumulazione originaria fanno epoca dal punto di vista storico tutti i rivolgimenti che servono di leva alla classe dei capitalisti in formazione; ma soprattutto i momenti nei quali grandi masse di uomini vengono staccate improvvisamente e con la forza dai loro mezzi di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come proletariato eslege” cioè non sottoposto più alle leggi di allora. Infine il fondamento di tutto il processo è costituito dalla “espropriazione dei produttori rurali, dei contadini e dalla loro espulsione dalle terre. La sua storia ha sfumature diverse nei vari paesi e percorre fasi diverse in successioni diverse e in epoche storiche diverse. Solo nell’Inghilterra, che perciò prendiamo come esempio, essa possiede forma classica.”

IL PUNTO 2 entra nel merito di questa espropriazione della popolazione rurale e della sua espulsione dalle terre attraverso la storia.

Intorno alla fine del 1300 l’enorme maggioranza della popolazione consisteva di liberi contadini autonomi, sotto qualunque insegna feudale potesse esser nascosta la loro proprietà. Questi contadini, cui veniva assegnato terreno arabile e una casa (cottage), lavoravano per se e nel loro tempo libero in parte come salariati per i grandi proprietari fondiari. “Inoltre” aggiunge Marx “essi godevano assieme ai contadini veri e propri, dell’usufrutto delle terre comunali, sulle quali pascolava il loro bestiame e che offrivano loro anche il materiale per il fuoco: legna, torba, ecc.” il paese si presentava quindi “disseminato di piccoli poderi di contadini, interrotti solo qua e là da fondi signorili di una certa entità.” Intorno alla fine del 1400 inizia “il rivolgimento che creò il fondamento del modo di produzione capitalistico” e cioè la messa in liberà di tutte quelle persone che erano al servizio dei feudatari che, segnala Marx “come nota esattamente Sir James Steuart, «dappertutto riempivano inutilmente casa e castello»,” e che gettò sul mercato del lavoro una massa di proletari eslege.” I grandi signori feudali in particolare scacciarono con la forza i contadini dalle terre sulle quali essi avevano lo stesso titolo giuridico feudale, usurpando le loro terre comuni.

In Inghilterra l’impulso a questa cacciata fu dato dalla fioritura della manifattura laniera e dal corrispondente aumento dei prezzi della lana. La nuova nobiltà feudale per la quale “il denaro era il potere dei poteri” per poter allevare pecore trasformò i campi in pascoli.

“La legislazione” di allora, dice Marx “era spaventata dinanzi a questo rivolgimento.” E si cercò di arginare il fenomeno con delle leggi. Diversi re cercarono così di bloccare lo spopolamento delle campagne, la “decadenza della popolazione e di conseguenza un declino delle città, delle chiese, delle decime” come ricordano le cronache di allora. Ma per circa 150 anni i nuovi padroni dei fondi e i fittavoli riuscirono ad eludere queste leggi.

La Riforma protestante a sua volta con il suo “colossale furto dei beni ecclesiastici” della chiesa cattolica, dice Marx, con la soppressione dei conventi ecc. gettò gli abitanti nel proletariato. La situazione era così grave che la regina Elisabetta dopo aver fatto il giro dell’Inghilterra disse “Ci sono poveri dappertutto”! E “nel quarantatreesimo anno del suo regno, si fu costretti a riconoscere ufficialmente il pauperismo mediante l’introduzione della tassa dei poveri.” Intorno al 1750 i contadini indipendenti erano quasi scomparsi “e negli ultimi decenni del secolo XVIII era scomparsa l’ultima traccia di proprietà comunale dei coltivatori.”

“Sotto la restaurazione degli Stuart” continua Marx, “i proprietari fondiari riuscirono a imporre in forma legale” l’usurpazione delle terre.” Essi abolirono la costituzione feudale del suolo, cioè scaricarono sullo Stato gli obblighi di servizio che essa comportava, «indennizzarono» lo Stato per mezzo di tasse sui contadini e sulla restante massa della popolazione, rivendicarono la proprietà privata moderna su quei fondi, sui quali possedevano soltanto titoli feudali.”

Con la “rivoluzione gloriosa”, sotto Guglielmo III di Orange 1688, arrivano al potere “i facitori di plusvalore, fondiari e capitalistici, che inaugurarono l’era nuova esercitando su scala colossale il furto ai danni dei beni demaniali che fino a quel momento era stato perpetrato solo su scala modesta. I capitalisti borghesi favorivano l’operazione, fra l’altro allo scopo di trasformare i beni fondiari in un puro e semplice articolo di commercio, di estendere il settore della grande impresa agricola, di aumentare il loro approvvigionamento di proletari eslege provenienti dalle campagne, ecc. Inoltre, la nuova aristocrazia fondiaria era alleata naturale della nuova bancocrazia, dell’alta finanza, allora appena uscita dal guscio, e del grande manifatturiero che allora si appoggiava ai dazi protettivi.”
Ora, quindi “la legge stessa diventa veicolo di rapina delle terre del popolo … La forma parlamentare del furto è quella dei Bills for Inclosures of Commons (leggi per la recinzione delle terre comuni), in altre parole, decreti per mezzo dei quali i signori dei fondi regalano a se stessi, come proprietà privata, terra del popolo; sono decreti di espropriazione del popolo.”
Di fatto la condizione degli operai agricoli peggiorò tanto che “fra il 1765 e il 1780 il loro salario cominciò a scendere al di sotto del minimo e ad esser integrato mediante l’assistenza ufficiale ai poveri.”
Nel 1800, dice Marx, “s’è perduta naturalmente perfino la memoria del nesso fra agricoltura e proprietà comune. Per non parlare neppure di periodi posteriori” quale risarcimento ha mai ricevuto la popolazione rurale per le terre rubate?

Marx riporta tra gli altri uno di questi episodi di cacciata dalle terre, quello della “duchessa di Sutherland. Costei, istruita nell’economia, appena iniziato il suo governo, risolse di applicare una cura economica radicale e di trasformare in pastura per le pecore l’intera contea, la cui popolazione si era già ridotta attraverso precedenti processi del genere a 15.000 abitanti. Dal 1814 al 1820 questi 15.000 abitanti, all’incirca 3.000 famiglie, vennero sistematicamente cacciati e sterminati. Tutti i loro villaggi furono distrutti e rasi al suolo per mezzo del fuoco, tutti i loro campi furono trasformati in praterie. Soldati britannici vennero comandati a eseguire quest’impresa e vennero alle mani con gli abitanti. Una vecchia morì fra le fiamme della capanna che si era rifiutata di abbandonare. Così quella dama si appropriò 794.000 acri di terra che da tempi immemorabili apparteneva al clan…”
Alla fine però una parte dei pascoli per le pecore viene ritrasformata in riserva di caccia, dato che i nuovi ricchi sborsano un sacco di soldi per il loro divertimento.
Il furto dei beni ecclesiastici, l’alienazione fraudolenta dei beni dello Stato, il furto della proprietà comune, la trasformazione usurpatoria, compiuta con un terrorismo senza scrupoli, della proprietà feudale e della proprietà dei clan in proprietà privata moderna: ecco altrettanti metodi idillici dell’accumulazione originaria. Questi metodi conquistarono il campo all’agricoltura capitalistica, incorporarono la terra al capitale e crearono all’industria delle città la necessaria fornitura di proletariato eslege.

IL PUNTO 3 esamina la legislazione sanguinaria contro gli espropriati dalla fine del 1400 in poi e le leggi per l’abbassamento dei salari.
All’inizio la produzione manifatturiera non riusciva ad assorbire la quantità di proletari con la stessa velocità con cui venivano cacciati dalle terre. E d’altra parte, neppure era facile per quegli uomini “lanciati all’improvviso fuori dall’orbita abituale della loro vita adattarsi con altrettanta rapidità alla disciplina della nuova situazione. Si trasformarono così, in massa, in mendicanti, briganti, vagabondi … Alla fine del secolo XV e durante tutto il secolo XVI si ha perciò in tutta l’Europa occidentale una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio. I padri dell’attuale classe operaia furono puniti, in un primo tempo, per la trasformazione in vagabondi e in miserabili che avevano subito. La legislazione li trattò come delinquenti «volontari» e partì dal presupposto che dipendesse dalla loro buona volontà il continuare a lavorare o meno nelle antiche condizioni non più esistenti.”
In Inghilterra questa legislazione cominciò sotto Enrico VII. Riportiamo solo qualche passo del lungo elenco che prevede carcere, torture, tagli di orecchi, marchi a fuoco, impiccagioni ecc. ecc.
Enrico VIII, 1530: i mendicanti vecchi e incapaci di lavorare ricevono una licenza di mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta invece e prigione. Debbono esser legati dietro a un carro e frustati finché il sangue scorra dal loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e « mettersi al lavoro » ... Edoardo VI: uno statuto del suo primo anno di governo, 1547, ordina che se qualcuno rifiuta di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona che l’ha denunciato come fannullone ... Elisabetta, 1572: i mendicanti senza licenza e di più di 14 anni di età debbono essere frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni; in caso di recidiva e quando siano al di sopra dei diciotto anni debbono esser giustiziati, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni; ma alla terza recidiva debbono essere giustiziati come traditori dello Stato, senza grazia. Statuti simili: 18, Elisabetta, c. 13.”

Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla sua terra, e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema del lavoro salariato.”
Ma nemmeno tutto questo basta a costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Nel tempo subentra un altro fatto fondamentale. Dice Marx. “Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di lavoro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale; la silenziosa coazione dei rapporti economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio. Si continua, è vero, sempre ad usare la forza extraeconomica, immediata, ma solo per eccezione. Per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle «leggi naturali della produzione», cioè alla sua dipendenza dal capitale, che nasce dalle stesse condizioni della produzione, e che viene garantita e perpetuata da esse.” In tutt’altro modo invece “vanno le cose durante la genesi storica della produzione capitalistica. La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello Stato, e ne fa uso, per «regolare» il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di dipendenza. È questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria.”

“La legislazione sul lavoro salariato, che fin dalla nascita mira allo sfruttamento dell’operaio e gli è sempre egualmente ostile man mano che progredisce” dice Marx “viene inaugurata in Inghilterra dallo Statute of Labourers di Edoardo III 1349.” Che cosa prevedeva questo Statuto dei Lavoratori?

Esso fu richiesto dai deputati della Camera dei Comuni, perché “«Prima», dice ingenuamente un tory, «i poveri esigevano un salario così alto da minacciare l’industria e la ricchezza. Ora il salario è così basso da minacciare ancora l’industria e la ricchezza, ma in maniera diversa e forse più pericolosa di prima».” E così “Venne stabilita una tariffa legale dei salari per la città e per la campagna, per il lavoro a cottimo e per quello a giornata. Gli operai rurali devono impegnarsi per un anno, quelli di Città «a mercato aperto». Viene proibito, pena la prigione, di pagare un salario più alto di quello statutario, ma è punito più gravemente chi riceve il salario più alto che non chi lo paga. Così, ancora nelle sezioni 18 e 19 dello statuto degli apprendisti di Elisabetta viene punito con dieci giorni di prigione chi paga un salario più alto, ma è punito con ventuno giorni chi l’accetta. Uno statuto del 1360 aggravava le pene e autorizzava addirittura il padrone a estorcere lavoro alla tariffa legale mediante costrizione fisica. Tutte le combinazioni, i contratti, giuramenti ecc. coi quali muratori e falegnami si vincolavano reciprocamente vengono dichiarati nulli.” E sentiamo come venivano trattati gli operai se si organizzavano: “La coalizione fra operai viene trattata come delitto grave a partire dal secolo XIV fino al 1825, anno dell’abolizione delle leggi contro le coalizioni. Lo spirito dello statuto operaio del 1349 e dei suoi rampolli risplende chiaro nel fatto che viene imposto in nome dello Stato un massimo di salario, ma non, per carità!, un minimo.” E infatti, continua Marx: “Nel secolo XVI la situazione degli operai era, come si sa, molto peggiorata. Il salario in denaro saliva, ma non in proporzione del deprezzamento del denaro e del corrispondente aumento del prezzo delle merci. In realtà dunque il salario calava. Tuttavia le leggi miranti a tenerlo basso perduravano, e perdurava il taglio dell’orecchio e il bollo a fuoco per coloro «che nessuno voleva prendere a servizio». Con lo statuto degli apprendisti 5, Elisabetta, c. 3, i giudici di pace ebbero il potere di stabilire certi salari e di modificarli a seconda delle stagioni e dei prezzi delle merci. Giacomo I estese questo regolamento del lavoro anche ai tessitori, filatori e a tutte le possibili categorie di operai … Giorgio II estese le leggi contro le coalizioni operaie a tutte le manifatture.”
“Finalmente nel 1813 vennero abolite le leggi sulla regolamentazione dei salari. Esse erano un’anomalia ridicola, da quando il capitalista regolava la fabbrica con la sua legislazione privata e faceva integrare con la tassa dei poveri il salario dell’operaio agricolo fino al minimo indispensabile.”

“Le atroci leggi contro le coalizioni sono cadute nel 1825 di fronte all’atteggiamento minaccioso del proletariato. Però caddero solo in parte. Alcuni bei residui dei vecchi statuti sono scomparsi solo nel 1859. E finalmente l’Atto del parlamento del 29 giugno 1871 pretende di eliminare le ultime tracce di quella legislazione di classe con il riconoscimento legale delle Trades’ Unions. Ma un Atto del parlamento della stessa data (An act to amend the criminal law relating to violence, threats and molestation) ristabiliva di fatto la vecchia situazione in nuova forma. Con questo giuoco di prestigio parlamentare i mezzi dei quali gli operai possono servirsi in uno sciopero o in un lock-out (sciopero dei fabbricanti coalizzati con contemporanea chiusura delle fabbriche) venivano di fatto sottratti al diritto comune e posti sotto una legislazione penale eccezionale, la cui interpretazione spettava ai fabbricanti stessi nella loro qualità di giudici dì pace. La stessa Camera dei Comuni e lo stesso signor Gladstone avevano con la nota onestà presentato due anni prima un disegno di legge per l’abolizione di tutte le leggi penali d’eccezione contro la classe operaia. Ma il disegno non fu fatto arrivare oltre la seconda lettura. … Si vede dunque che il parlamento inglese ha rinunciato solo di controvoglia e sotto la pressione delle masse alle leggi contro gli scioperi e le Trades’ Unions, dopo aver tenuto esso stesso, per cinque secoli, con egoismo spudorato, la posizione di una Trade Union permanente dei capitalisti contro gli operai.”

IL PUNTO 4 tratta della GENESI DEI FITTAVOLI CAPITALISTI.

Abbiamo visto come nascono gli operai, ma di dove vengono originariamente i capitalisti? Si tratta di un processo lento che si svolge attraverso molti secoli.
Il fittavolo sfrutta una maggiore quantità di lavoro salariato. Poi diventa mezzadro. “Egli fornisce una parte del capitale agricolo, il landlord ne fornisce l’altra, ed entrambi si spartiscono il prodotto complessivo in una proporzione fissata per contratto. In Inghilterra questa forma scompare rapidamente per far posto al vero e proprio fittavolo, che valorizza il proprio capitale adoperando operai salariati e paga al landlord una parte del plusprodotto in denaro o in natura quale rendita fondiaria.”
La rivoluzione agricola della fine del 1400 e che dura per quasi tutto il 1500 aiuta questo nuovo padrone ad arricchirsi “con la stessa rapidità con la quale impoverisce la popolazione rurale. L’usurpazione dei pascoli comunali ecc, gli permette di ottenere un grande aumento del proprio bestiame quasi senza spese, mentre il bestiame gli fornisce più abbondante concime per la lavorazione della terra.” Nel 1500 si aggiunge inoltre un elemento d’importanza decisiva. La svalutazione del denaro abbassò il salario lavorativo e l’aumento dei prezzi agricoli fece arricchire ancora di più il capitalista agrario.

Nel PUNTO 5 Marx parla della ripercussione della rivoluzione agricola sull’industria e della creazione del mercato interno per il capitale industriale.
I miglioramenti nell’agricoltura e gli altri fenomeni, come la distruzione dell’industria domestica rurale, che abbiamo visto fornivano all’industria operai e materia prima in abbondanza. I proletari cacciati dalle terre dovevano adesso comprare dall’industriale i propri mezzi di sostentamento. L’insieme di questi fatti creano adesso il mercato interno.
“Tuttavia” dice Marx, “il periodo della manifattura in senso proprio non conduce a una trasformazione radicale … Solo la grande industria offre, con le macchine, il fondamento costante dell’agricoltura capitalistica, espropria radicalmente l’enorme maggioranza della popolazione rurale e porta a compimento il distacco fra agricoltura e industria domestica rurale strappando le radici di quest’ultima... la filatura e la tessitura. Quindi solo essa conquista al capitale industriale tutto il mercato interno.”

NEL PUNTO 6 vediamo come nasce il CAPITALISTA INDUSTRIALE.

“La genesi del capitalista industriale non è avvenuta nella stessa maniera graduale di quella del fittavolo”  dice Marx “il passo di lumaca di questo metodo non corrispondeva in nessun modo ai bisogni commerciali del nuovo mercato mondiale, creato dalle grandi scoperte della fine del secolo XV. Il Medioevo però aveva tramandato due forme di capitale, che maturano nelle più svariate formazioni sociali economiche e che prima dell’era del modo di produzione capitalistico sono considerate come capitale quand même — il capitale usurario e il capitale commerciale. «Oggi tutta la ricchezza della società va per prima cosa in possesso del capitalista... è lui che paga il fitto al proprietario fondiario, il salario all’operaio, al collettore delle imposte e delle decime quel che loro è dovuto; e serba per sè la parte maggiore, che cresce di giorno in giorno, del prodotto annuo del lavoro. Ora il capitalista può essere considerato come proprietario di prima mano di tutta la ricchezza sociale, benché nessuna legge gli abbia trasferito il diritto su questa proprietà… e per mezzo di quale legge o di quale serie di leggi è stata attuata questa rivoluzione?»” si chiedeva uno studioso dell’epoca, e Marx risponde: “L’autore avrebbe dovuto dirsi che le rivoluzioni non si fanno con le leggi.”

“La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti fondamentali dell’accumulazione originaria. Alle loro calcagna viene la guerra commerciale delle nazioni europee, con l’orbe terracqueo come teatro. La guerra commerciale si apre con la secessione dei Paesi Bassi dalla Spagna, assume proporzioni gigantesche nella guerra antigiacobina dell’Inghilterra e continua ancora nelle guerre dell’oppio contro la Cina, ecc.”
“I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.”

Marx cita altri studiosi che hanno analizzato il sistema: “Un uomo che si è fatto una specialità del cristianesimo, W Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: «Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata» …. Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento. Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti, nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce!”

“La colonia assicurava alle manifatture che sbocciavano il mercato di sbocco di un’accumulazione potenziata dal monopolio del mercato. Il tesoro catturato fuori d’Europa direttamente con il saccheggio, l’asservimento, la rapina e l’assassinio rifluiva nella madre patria e qui si trasformava in capitale. L’Olanda, che è stata la prima a sviluppare in pieno il sistema coloniale, era già nel 1684 all’apogeo della sua grandezza commerciale. Era «in possesso quasi esclusivo del commercio delle Indie Orientali e del traffico fra il sud-ovest e il nord-est europeo. Le sue imprese di pesca, la sua marina, le sue manifatture superavano quelle di ogni altro paese. I capitali della repubblica erano forse più importanti di quelli del resto d’Europa nel loro insieme». Il Gillich dimentica” afferma Marx “di aggiungere che la massa popolare olandese era già nel 1648 più logorata dal lavoro, più impoverita e più brutalmente oppressa di quella del resto d’Europa nel suo insieme.”

“Oggigiorno la supremazia industriale porta con sé la supremazia commerciale. Invece nel periodo della manifattura in senso proprio è la supremazia commerciale a dare il predominio industriale.”
“Il sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli servì da serra.  … Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.”

“Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poichè la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti.”
“Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694).”  

“Con i debiti pubblici è sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in Inghilterra.”

“Poichè il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d’interessi, ecc., il sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte. D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall’accumularsi di debiti contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente, ma anzi è il principio. Questo sistema è stato inaugurato la prima volta in Olanda, e il gran patriota De Witt l’ha quindi celebrato nelle sue Massime come il miglior sistema per render l’operaio sottomesso, frugale, laborioso e... sovraccarico di lavoro.”

“Il sistema protezionistico è stato un espediente per fabbricare fabbricanti, per espropriare lavoratori indipendenti, per capitalizzare i mezzi nazionali di produzione e di sussistenza, per abbreviare con la forza il trapasso dal modo di produzione antico a quello moderno. Gli Stati europei si sono contesi la patente di quest’invenzione e, una volta entrati al servizio dei facitori di plusvalore, non solo hanno a questo scopo imposto taglie al proprio popolo, indirettamente con i dazi protettivi, direttamente con premi sull’esportazione, ecc., ma nei paesi da essi dipendenti hanno estirpato con la forza ogni industria; come per esempio la manifattura laniera irlandese è stata estirpata dall’Inghilterra.”

Insomma: “Sistema coloniale, debito pubblico, peso fiscale, protezionismo, guerre commerciali, ecc., tutti questi rampolli del periodo della manifattura in senso proprio crescono come giganti nel periodo d’infanzia della grande industria. La nascita di quest’ultima viene celebrata con la grande strage erodiana degli innocenti. Le fabbriche reclutano il proprio personale, come la regia marina, attraverso l’arruolamento forzoso.”  
“Le belle e romantiche vallate del Derbyshire, del Nottinghamshire e del Lancashire, lontane dall’occhio del pubblico, divennero raccapriccianti deserti di tortura... e spesso di assassinio!... I profitti dei fabbricanti erano enormi. Ma questo non faceva che acuire la loro fame da lupi mannari, ed essi dettero inizio alla prassi del «lavoro notturno», cioè dopo aver paralizzato col lavoro diurno un gruppo di braccia, ne tenevano pronto un altro gruppo per il lavoro notturno; il gruppo diurno entrava nei letti che il gruppo notturno aveva appena lasciato, e viceversa. È tradizione popolare nel Lancashire che i letti non si raffreddavano mai»”.

Con lo sviluppo della produzione capitalistica durante il periodo della manifattura la pubblica opinione europea aveva perduto l’ultimo resto di pudore e di coscienza morale. Le nazioni cominciarono a vantarsi cinicamente di ogni infamia che fosse un mezzo per accumulare capitale.”
“L’industria cotoniera, introducendo in Inghilterra la schiavitù dei bambini, dette allo stesso tempo l’impulso alla trasformazione dell’economia schiavistica negli Stati Uniti, prima più o meno patriarcale, in un sistema di sfruttamento commerciale. In genere, la schiavitù velata degli operai salariati in Europa aveva bisogno del piedistallo della schiavitù sans phrase nel nuovo mondo.”
“Tantae molis erat (di questa mole era) il parto delle «eterne leggi di natura» del modo di produzione capitalistico, il portare a termine il processo di separazione fra lavoratori e condizioni di lavoro, il trasformare a un polo i mezzi sociali di produzione e di sussistenza in capitale, e il trasformare al polo opposto la massa popolare in operai salariati, in liberi «poveri che lavorano», questa opera d’arte della storia moderna. Se il denaro, come dice l’Augier, «viene al mondo con una voglia di sangue in faccia», il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.”

7. TENDENZA STORICA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.

“A che cosa si riduce l’accumulazione originaria del capitale, cioè la sua genesi storica?” a questo, dice Marx: “l’accumulazione originaria del capitale significa soltanto l’espropriazione dei produttori immediati, cioè la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale.”
“La proprietà privata del lavoratore sui suoi mezzi di produzione è il fondamento della piccola azienda…” Ma “Questo modo di produzione presuppone uno sminuzzamento del suolo e degli altri mezzi di produzione; ed esclude, oltre alla concentrazione dei mezzi di produzione, anche la cooperazione, la divisione del lavoro all’interno degli stessi processi di produzione, la dominazione e la disciplina della natura da parte della società, il libero sviluppo delle forze produttive sociali. Esso è compatibile solo con dei limiti ristretti, spontanei e naturali, della produzione e della società. Volerlo perpetuare significherebbe, come dice bene il Pecqueur, «decretare la mediocrità generale». Quando è salito a un certo grado, questo modo di produzione genera i mezzi materiali della propria distruzione. A partire da questo momento, in seno alla società si muovono forze e passioni che si sentono incatenate da quel modo di produzione: esso deve essere distrutto, e viene distrutto. La sua distruzione, che è la trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi di produzione socialmente concentrati, e quindi la trasformazione della proprietà minuscola di molti nella proprietà colossale di pochi, quindi l’espropriazione della gran massa della popolazione, che viene privata della terra, dei mezzi di sussistenza e degli strumenti di lavoro; questa terribile e difficile espropriazione della massa della popolazione costituisce la preistoria del capitale. Essa comprende tutt’una serie di metodi violenti, dei quali noi abbiamo passato in rassegna solo quelli che fanno epoca come metodi dell’accumulazione originaria del capitale. L’espropriazione dei produttori immediati viene compiuta con il vandalismo più spietato e sotto la spinta delle passioni più infami, più sordide e meschinamente odiose. La proprietà privata acquistata col proprio lavoro, fondata per così dire sulla unione intrinseca della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui, ma, formalmente, è libero.

“Appena questo processo di trasformazione ha decomposto a sufficienza l’antica società in profondità e in estensione, appena i lavoratori sono trasformati in proletari e le loro condizioni di lavoro in capitale, appena il modo di produzione capitalistico si regge su basi proprie, assumono una nuova forma la ulteriore socializzazione del lavoro e l’ulteriore trasformazione della terra e degli altri mezzi di produzione in mezzi di produzione sfruttati socialmente, cioè in mezzi di produzione collettivi, e quindi assume una forma nuova anche l’ulteriore espropriazione dei proprietari privati. Ora, quello che deve essere espropriato non è più il lavoratore indipendente che lavora per sè, ma il capitalista che sfrutta molti operai.

“Questa espropriazione si compie attraverso il giuoco delle leggi immanenti della stessa produzione capitalistica, attraverso la centralizzazione dei capitali. Ogni capitalista ne ammazza molti altri. Di pari passo con questa centralizzazione ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale, combinato, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.

“Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.

“Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.
“La trasformazione della proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo, più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica, che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà sociale. Là si trattava dell’espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori, qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del popolo.”

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