mercoledì 18 novembre 2015

pc 18 novembre - Dal Medio Oriente alla Cina... Obama prepara l’altra guerra

Obama, non appena finita la conferenza del G20 tenutasi ad Antalya in Turchia, servita solo per “addolorarsi” per i morti in Francia, è corso a Manila, nelle Filippine dove si tiene la riunione dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation - Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica), una riunione alla fine della quale i due presidenti del Vietnam e delle Filippine si sono alleati contro la Cina, hanno fatto “fronte comune contro le rivendicazioni di Pechino sul Mar cinese meridionale”, come riporta Il Sole 24 Ore di oggi, firmando “un accordo di partenariato strategico per rafforzare la sicurezza congiunta sullo specchio d’acqua al centro di tensioni crescenti e delle principali rotte commerciali mondiali.” Alla Cina, presente al vertice, questo non piace dato che “vorrebbe evitare che il summit diventi un forum per mettere sotto accusa le sue ambizioni territoriali e preferirebbe portare avanti il proprio progetto di area di libero scambio nell’Asia-Pacifico, in modo da bilanciare la Trans-Pacific partnership d’impronta statunitense, firmata il 5 ottobre tra 12 parsi e dal quale la Cina è esclusa.”

(contestazioni popolari contro il summit)


Gli Stati Uniti, sotto il loro “ombrello”, stanno da tempo spingendo i diversi paesi dell’area a contrastare sempre più apertamente l’espansione in corso, innanzi tutto economica e poi militare, della Cina in tutta l’area del sud est asiatico.

La tensione è già altissima, come abbiamo scritto il primo giugno, e gli Usa continuano a sfidare la Cina con la presenza di navi da guerra nel Mar cinese come riportato dall’agenzia Agi il 27 ottobre scorso: “Gli USA sfidano la sovranità di Pechino, navi da guerra nel Mar Cinese - È durata poco più di tre ore la ‘prova di forza’ di una nave da guerra statunitense che, ignorando gli avvertimenti di Pechino, ha sfidato la sovranità rivendicata dalla Cina sulle isole del Mar Cinese Meridionale per dimostrare il principio della libertà di navigazione in quelle che considera acque internazionali.
“Pechino ha protestato con vigore, definendo l’azione come ‘un’illegalità ed un errore che non si dovrà più ripetere’, ma non ha comunque reagito aggressivamente all’ingresso del cacciatorpediniere – scortato dall’alto da due aerei per la ricognizione aerea, per registrare qualsiasi eventuale risposta ostile – nonostante il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, avesse ‘consigliamo agli Usa di ripensarci prima di agire, e di non agire ciecamente o creare problemi dal nulla’.

A queste finte esercitazioni nel Mar cinese gli Usa hanno associato la Corea del sud, infatti “Seul affianca gli Usa per contenere la Cina” come riporta ItaliaOggi dell’11 novembre scorso, che lo dice chiaramente: “È in gioco il controllo delle rotte dell'Oceano Pacifico… Per contenere le mire espansionistiche della Cina, gli Stati Uniti fanno leva anche sulla Corea del Sud”.

Le manovre degli Usa prevedono riunioni attorno a tavoli per trovare “intese”: “Una recente visita del segretario americano alla difesa Ash Carter – continua ItaliaOggi - ha consolidato l'asse con Seul, ma l'obiettivo era quello di mettere intorno a un tavolo anche cinesi e giapponesi per trovare un punto di intesa. Le posizioni, in realtà, non sono cambiate di molto se il ministro degli esteri di Pechino, Wang Yi, si domandava pubblicamente che cosa c'entrasse Tokyo con il Mar Cinese Meridionale.”
E quindi le rispettive posizioni non si sono spostate di un millimetro, tanto che Carter già che c’era “ha approfondito però anche un altro argomento: quello dell'eventuale trasferimento del comando operativo di migliaia di soldati americani sparsi sul territorio coreano alla Difesa di Seul in caso di guerra con Pyongyang. Infatti, stando agli accordi tuttora in vigore, Washington detiene il comando delle truppe sia americane sia coreane in caso di conflitto.” E questo comando non intende lasciarlo.

È anche per questo che l’articolo del Sole24Ore dice che “La presenza di Obama (alla riunione Apec, ndr) complica le cose” perché appena arrivato non solo ha benedetto l’accordo anticinese tra Vietnam e Filippine (queste ultime sono nella sostanza una immensa base navale degli Usa!) ma ha anche “annunciato l’imminente dislocamento di due navi militari statunitensi al largo del Paese”. Un’altra vera provocazione dato che già ci sono abbastanza navi americane in quella zona! E diverse volte si è sfiorato lo scontro militare. Sia detto en passant: le Filippine sono uno dei paesi più poveri al mondo… ma “Per garantire la sicurezza dei leader, il governo di Manila ha dispiegato oltre ventimila tra agenti di polizia e militari.”
È bene perciò ricordare ancora una volta che Barack Obama è l’attuale presidente degli Stati Uniti, il paese terrorista numero 1 al mondo, che attualmente occupa militarmente l’Iraq, l’Afghanistan, ha 716 basi e altre installazioni distribuite in 38 paesi, dodici dei quali europei e spende annualmente 680 miliardi di dollari in armamenti.
La sua presenza nel mondo è a dir poco asfissiante dato che possiede un tale «portafoglio globale di proprietà immobiliari»: 539mila edifici e altre strutture distribuite in 5579 siti militari. Lo possiede il Pentagono, il più grande proprietario immobiliare del mondo. Con questa statistica si apre l’ultimo inventario delle basi militari (Base Structure Report 2009), pubblicato dal dipartimento Usa della difesa… In Italia il Pentagono possiede 1430 edifici, con una superficie complessiva di 830 mila m2, più quasi altrettanti in affitto o concessione.

Il paese che vuole imporre la propria dittatura al mondo intero sostiene da sempre i propri simili, ha venduto, infatti, negli ultimi anni armi, tra cui bombe a guida laser ed elicotteri, all’Arabia Saudita per 12 miliardi di dollari, una vendita illegale secondo le stesse leggi della borghesia internazionale dato che l’Arabia non rispetta i diritti umani, senza contare che è il paese che ha sostenuto da sempre le guerre contro l’Iran, bombarda lo Yemen e contribuisce a finanziare a armare l’Isis in Siria...

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