martedì 28 luglio 2015

pc 28 luglio - Attacco moderno fascista del governo Renzi al diritto di sciopero


Il governo si prepara a cancellare il diritto di sciopero

Il governo si prepara a cancellare il diritto di sciopero
stralci da contropiano

Il fascismo aveva vietato gli scioperi. La Costituzione repubblicana ne ha fatto un diritto individuale (non delle organizzazioni sindacali), riconoscendo che i rapporti di forza sul luogo di lavoro sono troppo sproporzionati e che il lavoratore, in qualche modo si deve poter difendere.
Il governo Renzi punta a ripristinare la situazione fascista, con lo sciopero vietato nei fatti ma formalmente – solo formalmente – ancora possibile.
La quadratura del cerchio – cancellare un diritto individuale facendo finta di mantenerlo – è affidata a due esperti del contro-diritto del lavoro. Due che hanno fatto dello smantellamento delle tutele una missione – ben retribuita, bisogna dire – e possono vantare una comune militanza giovanile nelle fila della Cgil: Maurizio Sacconi, ex socialista craxiano ed ex ministro del lavoro berlusconiano, e Pietro Ichino, giuslavorista per vent'anni punta di lancia dell'abolizione dell'art. 18.
Coordinatore dell'offensiva per conto del governo è Graziano Delrio, peraltro ministro delle infrastrutture e quindi senza delega specifica. ...

Vediamo le prime mosse dell'attacco. Il ministro Delrio, seguendo Renzi che aveva strepitato su Pompei e l'Alitalia, ha deciso che: "Una cosa è chiedere un contratto collettivo che non venga rinnovato ogni dieci anni senza dover aspettare la Corte costituzionale, un'altra è timbrare il cartellino e poi non lavorare come il contratto impone. Chi non rispetta le regole non sta protestando ma sta facendo un atto di sabotaggio, di spregio verso il bene pubblico. Con loro si deve essere molto duri, nessuna timidezza". Licenziarli, insomma, per aver seguito il regolamento di lavoro.
Non solo. Sta meditando di rendere obbligatorio il referendum tra i dipendenti per poter indire uno sciopero nei “servizi pubblici essenziali”. Naturalmente occorrerà anche una definizione molto larga di quali servizi siano essenziali, in modo da allargare al massimo la platea dei settori in cui – di fatto – lo sciopero diventerà una eventualità alquanto improbabile.
Per delineare una normativa ad hoc sono stati fatti i nomi dei due “super esperti” di cui sopra.
E Sacconi esordisce subito con una vera e propria capriola “culturale”, arrivando a definire beni comuni una serie potenzialmente infinita di “servizi”, compresi quelli museali, archeologici, ecc. Del resto, andando di questo passo, il turismo culturale sarà una delle poche “industrie” ancora attive in questo paese; dunque va tutelato rendendo schiavetti obbedienti tutti quelli che ci lavorano, come anche quelli debbono trasportare i “clienti” sui siti.

I due campioni del padronato hanno presentato in parlamento due proposte leggermente diverse ma ampiamente sintetizzabili. Una parte dall'idea secca di referendum tra i dipendenti: si può indire uno sciopero solo se dà il proprio consenso il 50% più uno dei lavoratori.
L'altra è più corporativo-fascista: può indire uno sciopero solo l'insieme dei sindacati che superi il 50% in azienda. In pratica, il diritto di sciopero – individuale, per Costituzione – verrebbe sequestrato e affidato a Cgil-Cisl-Uil. Che be farebbero certamente un utilizzo intensivo...
Come con l'accordo del 10 gennaio 2014, insomma, si punta a ripristinare il patto di Palazzo Vidoni, con cui il fascismo eliminò in un colpo solo il sindacato, il diritto di sciopero e la contrattazione.
Per chi ne ignora il contenuto, eccone qui il testo risalente al 2 ottobre 1925:
«La Confederazione generale dell'industria riconosce nella Confederazione delle corporazioni fasciste e nelle Organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva delle maestranze lavoratrici.La Confederazione delle corporazioni fasciste riconosce nella Confederazione generale dell'industria e nelle Organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva degli industriali.
Tutti i rapporti contrattuali tra industriali e maestranze dovranno intercorrere tra le Organizzazioni dipendenti della Confederazione dell'industria e quelle dipendenti della confederazione delle corporazioni.
In conseguenza le commissioni interne di fabbrica sono abolite e loro funzioni sono demandate al sindacato locale, che le eserciterà solo nei confronti della corrispondente Organizzazione industriale.

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