martedì 2 giugno 2015

pc 2 giugno - LO STUDIO DE 'IL CAPITALE' SERVE PER SFATARE MITI E PREGIUDIZI PRESENTI ANCHE TRA GLI OPERAI

La Formazione operaia e, in particolare oggi, lo studio de Il Capitale di Marx devono aiutarci a sfatare certi miti e pregiudizi presenti nella società e in particolare tra la classe operaia.

Il modo di produzione capitalistico, in cui da un lato il capitalista possessore di denaro e dall’altro i proletari che posseggono solo la propria forza lavoro (merce) da vendere al capitalista, non è un sistema naturale ma sociale (o meglio socialmente affermato in una determinata fase storica) che come tutti gli altri ha avuto un inizio in un periodo storico determinato e avrà una fine checché ne dicano i “teorici” della borghesia che cianciano di “fine della storia” intendendo la società attuale come l’unica possibile ed il “migliore dei mondi possibili” a cui non ne seguiranno altre.

Il capitalista non detiene il denaro in maniera “legittima” (per legittimità “naturale”), infatti il plusvalore che incrementa il proprio capitale iniziale non deriva dal commercio ma dal pluslavoro fornito al capitalista dall’operaio.
Tornando all’ultima “puntata” della formazione online circa il valore di questa merce che è la forza lavoro, abbiamo visto: “1. che il valore della forza-lavoro è determinato dal tempo di lavoro necessario alla sua produzione; 2. che la sua produzione, e cioè la sua sopravvivenza, è data dai mezzi di sussistenza e quindi dal valore di cibo, vestiti, alloggio…; 3. che a questi mezzi bisogna aggiungere quelli per i figli, se questa classe si deve perpetuare e quelli della formazione perché sia sempre adatta a funzionare.”
A ciò si aggiunge che il lavoratore viene pagato sempre alla fine di un “segmento” del processo produttivo, ovvero dopo aver fornito la propria forza lavoro; quindi di fatto facendo credito al capitalista il quale non lo riconosce al lavoratore; al contrario in caso di bancarotta è il lavoratore a farne le spese, a non essere pagato per far fronte alle spese di sussistenza e ai propri bisogni.

Questa riflessione, dicevo, aiuta a sfatare certi miti e pregiudizi presenti anche tra la classe operaia.

Quando in periodo di crisi un’azienda chiude per fallimento e non paga il salario all’operaio, spesso l’operaio stesso con rassegnazione arriva a giustificare l’azienda perché a “causa della crisi” (come se fosse un evento ineluttabile e caduto dal cielo e non invece fisiologico del capitalismo stesso) non “può” pagare il salario. Allora dovrebbe pensarci “ lo Stato”, come se  lo Stato fosse un organo super partes e non invece la macchina che serve la classe sociale dominante ovvero proprio la borghesia.
Quindi in certi casi l’operaio non solo ha già anticipato al capitalista la sua forza lavoro “a costo 0”, in più “solidarizza empaticamente” con il “povero” capitalista andato in rovina (sempre dopo aver fatto una vita agiata senza aver mosso un dito e alle spalle dei lavoratori).

Caso contrario, ma speculare, in cui invece un’azienda non sia in crisi ma al contrario riesce a vendere sul mercato e per questo ha bisogno di quella forza lavoro. Spesso nei nostri interventi nelle fabbriche, capita che l’operaio ci dice soddisfatto: “per ora l’azienda dà lavoro e paga puntualmente e secondo contratto“  e nel dirlo soddisfatto sottolinea che trattasi di un do ut des: “io operaio faccio il mio dovere” (che comprende anche di non usufruire di certi diritti come giorni di malattia e sciopero) “e lavoro sodo, di contro “l’imprenditore” “mi dà ciò che mi spetta”.
Quando in realtà come abbiamo visto anche nella formazione online dei mesi scorsi, è sempre l’operaio a perderci anche nei periodi in cui il ciclo produttivo funziona “regolarmente”. E' l’operaio che “liberamente” (costretto) vende la propria forza lavoro per soddisfare i propri bisogni funzionali al fatto di riprodursi come classe che faccia fare profitti al padrone, il quale “paga regolarmente” il salario (anticipatogli dalla prestazione dell’operaio) in funzione di mantenere schiava (libera di vendere la propria forza lavoro o morire) la classe operaia per fare più profitti.

Solo capendo il meccanismo la classe operaia può diventare “classe per sé” essere quindi cosciente che il proprio interesse di classe è negato (inconciliabile) dall’interesse del capitalista e che solo una rivoluzione politica e sociale potrà Liberare (con la L maiuscola) definitivamente la classe operaia da questa libertà formale che in sostanza è schiavitù della forza lavoro verso il capitale.

Da un universitario di Palermo

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