giovedì 18 giugno 2015

pc 18 giugno - FORMAZIONE OPERAIA: IL GRADO DI SFRUTTAMENTO DELLA FORZA-LAVORO

Abbiamo visto che l’operaio entrando in fabbrica e mettendosi al lavoro viene sfruttato, cioè vien fatto lavorare oltre il tempo necessario a reintegrare i propri mezzi di sussistenza necessari alla sua riproduzione.

Ma quanto viene sfruttato? E come si calcola questo grado di sfruttamento?

Marx fa l’analisi di un dato capitale (le cifre servono solo ad illustrare l’esempio).

“Il capitale C si scinde in due parti: una somma di denaro c spesa per mezzi di produzione, e un’altra somma di denaro v spesa per forza-lavoroc rappresenta la parte di valore trasformata in capitale costante, v quella trasformata in capitale variabile. Dunque all’inizio si ha C = c + v, per esempio il capitale anticipato di 500 sterline è eguale a 410 sterline (c) +  90 sterline (v). Alla fine del processo di produzione risulta merce il cui valore è eguale a (c + v) + p, dove (p) è il plusvalore, p. es. (410 sterline (c) + 90 sterline (v)) + 90 sterline (p).”

II capitale iniziale C è cresciuto, si è gonfiato, si è trasformato in C’, da cinquecento sterline ne sono venute cinquecentonovanta. La differenza fra i due è eguale a p, un plusvalore di 90.


Questo primo risultato Marx lo esprime così: “Il plusvalore generato nel processo di produzione dal capitale anticipato C … si presenta in un primo momento come eccedenza del valore del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione.

Però “Di fatto, già sappiamo che il plusvalore è semplicemente conseguenza del cambiamento di valore che avviene in v, nella parte di capitale convertita in forza-lavoro, che quindi si ha: v + p = v + Δv (v più incremento di v).”

E qui Marx segnala una difficoltà che nasce nella comprensione immediata del processo perché “il reale cambiamento di valore e il rapporto secondo il quale il valore cambia vengono oscurati per il fatto che, in conseguenza della crescita della sua componente variabile, cresce anche il capitale complessivo anticipato. Era di 500 e diventa di 590. Dunque la pura e semplice analisi del processo esige che si astragga completamente da quella parte del valore del prodotto nella quale non fa che riapparire valore costante del capitale, cioè esige che si ponga il capitale costante C come eguale a zero…”

Operazione che fanno tutti i capitalisti quando vogliono calcolare il loro “guadagno”; per dirla in maniera molto semplice, tolgono le “spese” da tutto quello che hanno incassato.

Se dunque azzeriamo il capitale costante “il capitale anticipato si ridurrà da c + v a v, mentre il valore del prodotto (c + v) + p si ridurrà al prodotto del valore (v + p). Dato il prodotto del valore eguale a 180 sterline, in cui è rappresentato il lavoro che scorre per tutta la durata del processo di produzione, dobbiamo detrarre il valore del capitale variabile, che è eguale a novanta sterline, per ottenere il plusvalore, 90 sterline. La cifra di 90 sterline, cioè p, esprime qui la grandezza assoluta del plusvalore prodotto. Ma la sua grandezza proporzionale, cioè la proporzione in cui si è valorizzato il capitale variabile, è evidentemente determinato dal rapporto del plusvalore col capitale variabile, ossia è espresso dalla formula p/v. Dunque, nell’esempio fatto sopra sarebbe: 90/90 = 100 %. Chiamo saggio del plusvalore questa valorizzazione relativa del capitale variabile, cioè la grandezza relativa del plusvalore.”

E fin qui abbiamo visto il processo dalla parte del plusvalore, mentre visto dalla parte del pluslavoro la situazione sta in questi termini.

L’operaio “produce in una situazione che poggia sulla divisione sociale del lavoro, non produce direttamente i propri mezzi di sussistenza, ma li produce nella forma di una merce particolare, del refe p. es., produce cioè un valore eguale al valore dei suoi mezzi di sussistenza, ossia eguale al denaro col quale li compera.”

“Se il valore dei mezzi di sussistenza quotidiani dell’operaio rappresenta in media 6 ore lavorative oggettivate, l’operaio deve lavorare in media 6 ore al giorno per poterlo produrre. Se egli non lavorasse per il capitalista, ma per se stesso, indipendente, l’operaio dovrebbe sempre, eguali rimanendo le altre circostanze, lavorare in media ancora per la stessa parte aliquota della giornata, per produrre il valore della propria forza-lavoro, e con ciò ottenere i mezzi di sussistenza necessari per il proprio mantenimento cioè per la propria continua riproduzione. … Chiamo dunque tempo di lavoro necessario la parte della giornata lavorativa nella quale si svolge questa riproduzione; chiamo lavoro necessario il lavoro speso durante di essa. Necessario per l’operaio, perché indipendente dalla forma sociale del suo lavoro. Necessario per il capitale e per il mondo del capitale, perché la loro base è l’esistenza costante dell’operaio.”

Ma l’operaio, abbiamo detto, continua a lavorare “oltre i limiti del lavoro necessario” e questo “gli costa certo lavoro, dispendio di forza-lavoro, ma per lui non crea nessun valore. Esso crea plusvalore, che sorride al capitalista con tutto il fascino d’una creazione dal nulla. Chiamo tempo di lavoro soverchio questa parte della giornata lavorativa, e pluslavoro (surplus labour) il lavoro speso in esso. Per conoscere il pluslavoro, è altrettanto decisivo intenderlo come puro e semplice coagulo di tempo di lavoro soverchio, come pluslavoro semplicemente oggettivato, quanto è decisivo, per conoscere il valore in generale, intenderlo come puro e semplice coagulo di tempo di lavoro, come semplice lavoro aggettivato. Solo la forma in cui viene spremuto al produttore immediato, al lavoratore, questo pluslavoro, distingue le formazioni economiche della società; p. es., la società della schiavitù da quella del lavoro salariato.”

A questo punto in che rapporto stanno plusvalore e pluslavoro?

“Poiché il valore del capitale variabile è eguale al valore della forza-lavoro da esso acquistata, poiché il valore di questa forza-lavoro determina la parte necessaria della giornata lavorativa e il plusvalore è determinato a sua volta dalla parte eccedente della giornata lavorativa, ne segue che il plusvalore sta al capitale variabile nello stesso rapporto che il pluslavoro sta al lavoro necessario; cioè il saggio del plusvalore è: p : v = pluslavoro : lavoro necessario.
“I due rapporti esprimono la stessa relazione in forma differente, l’uno nella forma del lavoro oggettivato, l’altro nella forma del lavoro in movimento. Quindi, il saggio del plusvalore è l’espressione esatta del grado di sfruttamento della forza-lavoro da parte del capitale, cioè dell’operaio da parte del capitalista.”

E qual è invece il modo usuale di calcolo che il capitalista adopera per trovare il suo “profitto”?

“Secondo la nostra ipotesi”, continua Marx, “il valore del prodotto era eguale a (410 sterline (c) + 90 sterline (v)) +  90 sterline (p), mentre il capitale anticipato era eguale a 500. Poiché il plusvalore è eguale a novanta e il capitale anticipato a 500, secondo il modo usuale di calcolare si avrebbe il saggio del plusvalore (che si suol confondere con il saggio del profitto) eguale al 18 %, percentuale così bassa che commuoverebbe certo il signor Carey e altri armonisti.” Di fatto, però, come abbiamo visto sopra “il saggio del plusvalore non è eguale a p/C [e cioè al plusvalore su tutto il capitale anticipato]… ma a p/v [e cioè al plusvalore solo sulla parte spesa per gli operai, per la forza-lavoro], dunque non a 90/500 ma a 90/90 cioè al 100%, a più del quintuplo del grado apparente di sfruttamento. Ora, benché noi non conosciamo nel caso dato la grandezza assoluta della giornata lavorativa, e neppure la periodicità del processo lavorativo (giorno, settimana ecc.) né, infine, neppure il numero degli operai messi in moto contemporaneamente dal capitale variabile di 90 sterline, tuttavia il saggio del plusvalore p/v, per la sua convertibilità in pluslavoro/lavoro necessario, ci mostra con esattezza il rapporto reciproco delle due parti costitutive della giornata lavorativa: è il 100 %. Dunque l’operaio ha lavorato metà della giornata per sé e metà per il capitalista.”

Riassumendo “il metodo per calcolare il saggio del plusvalore è in breve il seguente: prendiamo l’intero valore del prodotto e poniamo eguale a zero il valore del capitale costante, il quale non fa altro che ripresentarsi nel valore del prodotto. La residua somma di valore è l’unico prodotto in valore realmente generato nel processo di formazione della merce. Se il plusvalore è dato, lo sottraiamo da questo prodotto di valore per trovare il capitale variabile. Viceversa, quando è dato il capitale variabile e noi cerchiamo il plusvalore. Quando sian dati l’uno e l’altro, c’è da compiere soltanto l’operazione conclusiva, cioè da calcolare il rapporto fra il plusvalore e il capitale variabile, p/v.”

Infine c’è un’altra difficoltà che Marx vuole segnalare che “sorge dalla forma iniziale del capitale variabile. Così, nell’esempio soprariportato, si ha che C’ è eguale a 410 di capitale costante, più 90 di capitale variabile, più 90 di plusvalore. Ma novanta sterline sono una grandezza data, cioè costante, e quindi sembra spropositato trattarle come grandezza variabile. Ma qui 90 (v), cioè 90 sterline di capitale variabile, sono in realtà soltanto un simbolo del processo percorso da questo valore. La parte di capitale anticipata nella compera della forza-lavoro è una quantità determinata di lavoro oggettivato, quindi una grandezza di valore costante, come il valore della forza-lavoro comperata. Ma nel processo di produzione, proprio al posto delle novanta sterline anticipate subentra la forza-lavoro in azione, al lavoro morto subentra lavoro vivente, a una grandezza statica subentra una grandezza in movimento, al posto d’una costante subentra una variabile. Il risultato è la produzione di v più l’incremento di v. Dal punto di vista della produzione capitalistica tutto questo processo è movimento autonomo del valore convertito in forza-lavoro, il quale era inizialmente costante. A suo credito si iscrive il processo e il risultato di esso. Se quindi la formulazione «novanta sterline di capitale variabile, ossia, di valore che si valorizza» appare contraddittoria, fatto sta che’essa non fa che riprodurre una delle contraddizioni immanenti alla produzione capitalistica.”

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