venerdì 13 marzo 2015

pc 13 marzo - AMIANTO DALL’INDIA, A TONNELLATE! - ITALIA/INDIA, L’OSCURO COMMERCIO TRA ARMI E AMIANTO

AMIANTO DALL’INDIA, A TONNELLATE!
Inchiesta esplorativa aperta dal Pubblico Ministero Raffaele Guariniello.
Per ora non ci sono indagati né ipotesi di reato.

In due anni importati 1.040.000 kg di asbesto. Ma per fare cosa?
Ben 1.040 tonnellate di amianto importate dall’India in Italia in soli due anni, anche se dal 1992 la estrazione, commercializzazione e importazione dell’amianto è stata vietata e (da quella data) è cresciuta giorno dopo giorno la consapevolezza che l’unico modo per sconfiggere questo nemico e limitare i rischi che ne derivano è evitare di venirne a contatto in qualunque modo.
Una scoperta che crea perplessità e timori ponendo quesiti a cui si spera possano essere trovate al più presto risposte convincenti.
Il materiale, 1.040 tonnellate nel biennio 2011-2012, è solo una parte dell’amianto finito in Italia, visto che (ha confermato l’Agenzia delle Dogane, interpellata dalla Procura di Torino) le importazioni sono continuate anche nel 2014.
Una vicenda su cui il Pubblico Ministero torinese Raffaele Guariniello ha aperto un’inchiesta esplorativa, per chiarire eventuali responsabilità nella gestione dei canali di importazione di asbesto e nell’impiego di tale materiale.
Al momento, tuttavia, non ci sono indagati né ipotesi di reato.
Ma la prima cosa che ci si chiede inevitabilmente e se è sempre stato così dal 1992 a oggi? E quanto è il totale di tonnellate importate in Italia?
La seconda, ovviamente, è dove finiscano e per che tipo di attività sia impiegato.
La legge del 1992, che vietava “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione la commercializzazione di amianto o di prodotti contenenti amianto”, in effetti prevedeva alcune deroghe, ovviamente soggette ad autorizzazioni specifiche.
Deroghe previste per lavorazioni e prodotti particolari per cui non c’erano, si disse all’epoca, conoscenze e materiali alternativi.
Per esempio per guarnizioni di impianti di produzione che richiedono lavorazioni ad altissima temperatura o dove si trattano componenti fortemente caustici.
Certamente non, invece, i consueti manufatti in fibrocemento la cui produzione e commercializzazione furono e sono alla base del disastro ambientale creato dall’Eternit e dalle altre aziende che nei decenni scorsi hanno lavorato la fibra killer.
Un’altra domanda riguarda ovviamente se e in quali condizioni è stata effettuata la lavorazione del minerale, ammesso che (appunto) sia stato impiegato per produzioni debitamente autorizzate. Sono alcune delle questioni su cui la Procura di Torino guidata da Guariniello sta cercando di raccogliere informazioni per fare chiarezza su una vicenda che in ogni caso richiede di essere attentamente monitorata.
La speculazione continua, ma la questione non può che far riflettere sulla realtà di speculazione che ancora è tragicamente presente in tante parti del mondo.
Nel maggio del 2013 a Ginevra si riunì la Convenzione di Rotterdam allo scopo di valutare l’introduzione dell’amianto fra le cosiddette sostanze nocive.
La Convenzione di Rotterdam disciplina infatti le importazioni e le esportazioni di alcuni prodotti considerati pericolosi.
Il principio fondamentale su cui si basa è quello del previo assenso informato.
Ciò significa che l’esportazione di un prodotto contemplato dalla Convenzione è subordinata al consenso preliminare dell’importatore.
Lo scopo di tutto ciò è favorire, sui prodotti a rischio, decisioni consapevoli, adottate dopo aver preso conoscenza delle proprietà e degli effetti dei prodotti in particolare sulla salute umana e sull’ambiente.
La proposta non era dunque la messa al bando, ma una semplice presa d’atto di pericolosità.
Ma fu bocciata dai Paesi (Russia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Ucraina, Zimbabwe, India e Vietnam) che ancora lo estraggono e fanno affari a costo della vita delle persone.
Ma un altro quesito è ineludibile: in un Paese come l’Italia, in cui l’amianto ha fatto una strage infinita e che non può certo dirsi inconsapevole di cosa comporti questo tipo di lavorazione, è moralmente ammissibile che questo materiale, ancorché fosse usato nel massimo rispetto della legge e con tutte le dovute cautele, venga acquistato da Paesi come l’India?
Alcuni anni fa in una brochure diffusa da Gruppo Italiano Mesotelioma e Fondazione Buzzi si riportavano le proiezioni epidemiologiche pubblicate sul British Journal of Cancer già nel 1999, corredate da una serie di immagini che riguardavano proprio la situazione in India.
Immagini agghiaccianti, con persone che lavorano con le mani immerse nell’amianto, senza mascherine, guanti, né alcun genere di protezione.
Un lavoro duro, faticoso, immersi nella polvere.
Alcuni di loro sorridono al fotografo, del tutto inconsapevoli della condizione in cui sono stati messi.
Accanto a loro bambini molto piccoli...
Massimiliano Francia

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Da Dazebaonews

ITALIA INDIA, L’OSCURO COMMERCIO TRA ARMI E AMIANTO
Da diversi anni ormai, quando si parla di India e Italia, la mente corre subito alla vicenda dai contorni oscuri dei due Marò.
Qualche mese fa, poi, è emersa un’altra vicenda, sempre legata ai rapporti tra i due Paesi e anche questa dai contorni poco chiari: quella del commercio di armi (che diverse leggi italiane e trattati internazionali vieterebbero, nonostante armi e armamenti prodotti da aziende controllate da imprese a compartecipazione statale facciano bella figura di sé sulle navi da guerra Indiane e tra le dotazioni dell’esercito pakistano). Per avere chiarezza sulla vicenda è stata presentata anche un’interpellanza a risposta scritta che però, fino ad oggi (sono passati quasi due mesi), non ha avuto risposta.
Oggi un nuovo mistero pare avvolgere i rapporti tra i due Paesi. Quello legato all’importazione dell’amianto. In Italia, la Legge 257 del 27 marzo 1992 vieta “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione la commercializzazione di amianto di prodotti di o contenenti amianto”. La Legge prevede limitate deroghe per l’utilizzo e il commercio, che vanno però autorizzate dal Ministero e che comunque non potevano eccedere i 24 mesi dall’entrata in vigore (e solo per la produzione e la commercializzazione).
Invece, in base a quanto è emerso durante l’audizione dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto (ONA) alla commissione Lavoro del Senato, l’Italia avrebbe importato enormi quantità di questo materiale (le cui conseguenze nefaste per la salute sono ben note) dall’India e dalla Cina.
Dagli atti dell’indagine conoscitiva condotta dal Pubblico Ministero Raffaele Guariniello della Procura della Repubblica di Torino, emergerebbe che esiste la prova che “dimostra come agli enti ufficiali dello Stato indiano risulti importazione di amianto in Italia”.
Gli esperti della polizia giudiziaria hanno ricostruito il percorso dell’amianto dall’India all’Italia. Tali flussi sono riportati anche nel bollettino ufficiale pubblicato dal Governo indiano dal titolo “Indian Minerals Yearbooks 2012 - Asbestos - Final Release”. Dalle indagini è emerso che si tratterebbe di quantità assolutamente rilevanti: 1.040 tonnellate nel biennio 2011-2012, ben oltre, quindi, i termini previsti dalla legge per l’acquisto, l’importazione e l’utilizzo di questo materiale.
L’amianto sarebbe stato poi venduto a una decina di imprese e impiegato nella produzione di vari manufatti: lastre di fibrocemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di autoveicoli.
Ma non basta, la stessa Agenzia delle Dogane, interpellata dalla Procura, non solo ha confermato l’ingresso dell’amianto nel territorio nazionale ma ha anche confermato che questi flussi commerciali sono continuati fino allo scorso anno, il 2014.
Molte le domande ancora da chiarire sulla vicenda.
Possibile che nessuno si sia accorto di un simile commercio? E come mai nessuno ha denunciato un simile traffico illecito (almeno stando a quanto previsto dalla normativa vigente)?
E poi, che fine hanno fatto i prodotti realizzati dalle aziende italiane in cui veniva utilizzato, sebbene vietato, l’amianto? Come ha riportato La Stampa, pare che i manufatti realizzati da aziende italiane e contenenti amianto siano stati per la maggior parte esportati in molti Paesi: negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita, ma anche in Nepal, Israele, Angola, Sud Africa, Oman e Canada.
Un mercato multimiliardario. Un mercato sporco e non solo a causa dell’amianto: sulle carte che riportano questi commerci, infatti, non compare traccia del fatto che i prodotti venduti contenevano amianto (anche questo è oggetto delle indagini in corso).

Martedì 20 Gennaio 2015

Alessandro Mauceri

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