sabato 21 febbraio 2015

pc 21 febbraio - L'APPROVAZIONE DEL JOBS ACT UNISCE AL VIA LIBERA AI LICENZIAMENTI, AL PESANTE ATTACCO ALLE CONDIZIONI DI LAVORO, AI DIRITTI, UN ATTACCO IDEOLOGICO

Come era prevedibile il testo del Jobs act come era stato fatto e voluto da Renzi-Poletti così è sostanzialmente rimasto, neanche il timido tentativo di togliere l'estensione della cancellazione dell'art. 18 anche ai licenziamenti collettivi è passato. 

I padroni sono soddisfatti. Il Jobs act pone i rapporti tra capitale e lavoro, tra capitalisti e lavoratori nella loro forma pura e dura, senza lacci e lacciuoli. I lavoratori sono una merce che i padroni possono usare come e per quanto vogliono, possono quindi liberarsene in ogni momento e per qualsiasi motivo (ora non devono neanche più fare tutta la lungaggine della procedura dei licenziamenti collettivi, con fastidiosi incontri sindacali... - certo, poi, "fammi causa", ma male che vada ti devo dare un risarcimento di qualche mensilità...). Inoltre questa questione dell'art. 18 funziona bene per tutti come ricatto e minaccia. 

I lavoratori per tre anni non hanno diritti, ma per far capire subito cosa ai giovani significa, i padroni tolgono i diritti già ai "vecchi", con un metodo da "tutela decrescenti". Chi ha ancora dubbi, guardi alla Fiat di Marchionne: per poche centinaia attualmente di giovani assunti alla Sata di Melfi, presi da "agenzie interinali" e poi per altri 3 anni a "contratto a tutele crescenti", i 5mila operai e operaie non ce la fanno più per i ritmi, i carichi di lavoro, per la riduzione delle pause, gli straordinari imposti (e concordati con i sindacati filopadronali o padronali direttamente). 

Le lamentele della Cgil erano e sono fiato sprecato, così come non è certo con una raccolta di firme che si può conquistare un nuovo Statuto dei Lavoratori.

Serve ora più che mai un vero sciopero generale, costruito dal basso nelle fabbriche, nei vari settori di lavoratori e sociali. Occorre che tutte le realtà sindacali di base e di classe, le forze che non ci stanno presenti nella Fiom, cgil, le realtà di lotte sociali, ecc. lavorino per questo sciopero generale.

Ma il Jobs act e l'operazione del governo Renzi hanno anche un precisa funzione di pesante attacco ideologico verso i lavoratori e in particolare verso la classe operaia.
Per questo ripubblichiamo un articolo apparso in questo blog il 20 settembre 2014

pc 20 settembre - E' VERO, IL JOBS ACT HA UN SIGNIFICATO IDEOLOGICO... PER TUTELARE L'ULTRAMATERIALE PROFITTO DEI PADRONI

Il significato del jobs act, con al centro la cancellazione dello Statuto dei lavoratori e
dell'art. 18, è voluto dai commis del capitale per una ragione prettamente di salvaguardia del profitto padronale: tagliare il costo del lavoro per i padroni, dare a loro, dando una nuova e pesante stangata ai diritti dei lavoratori, ancor più il potere di utilizzo selvaggio della forza lavoro - quando e dove serve - in entrata e soprattutto in uscita e chiaramente durante il rapporto di lavoro.
Chiamano - e se non fosse tragico sarebbe da ridere - questa riforma del rapporto di lavoro "a tutele crescenti", lì dove una volta arrivati (ammesso che si arrivi...) alla soglia in cui dovrebbero "crescere" queste tutele, l'azienda si libera di quel lavoratore senza problemi e ricomincia con le "tutele inesistenti".
Se il Ddl passa il capitalista farà legalmente quello che in buona parte già fa (con qualche fastidio a volte di controlli, vertenze, sentenze della magistratura); quindi il governo Renzi (la cui famiglia di "truffe" è ben esperta - lasciatecelo dire...) non sta facendo altro che innalzare a "dignità di legge" il basso banditismo, l'andazzo truffaldino dei padroni grandi o piccoli.

Ma tutto questo Renzi e la sua corte lo sta facendo vestendolo di roboanti frasi ideologiche, dell' "alto significato sociale" che avrebbe il jobs act...; portando avanti un finto "scontro ideologico" che cerca di coprire solo e soltanto questo basso (ma per loro "alto") interesse del capitale e dell'Italia capitalista che sgomita con molta difficoltà nella concorrenza sul mercato mondiale.

Detto questo, l'operazione politico-ideologica, però, non va sottovalutata.
E in questo, l'attacco allo Statuto dei lavoratori, e all'art. 18, sia pur ormai ampiamente svuotato, mostra, più di altri punti della controriforma, come la questione al centro sia la rideterminazione del rapporto capitale/lavoro salariato.

Questa "riforma" trasuda tutto il disprezzo delle condizioni dei lavoratori, come dei giovani (mai così nominati impropriamente) come persone, della loro fatica, delle loro disperazioni, delle loro angosce, delle loro vite, ma viene portata avanti con un'operazione verso l'opinione pubblica, e gli stessi lavoratori e i giovani, di inganno, che rovescia le questioni, che vuole far passare il "male" per "bene" e il "bene" per "male".
La salvaguardia di residui diritti, che non sono mai per sè ma per l'intera classe dei lavoratori attuali e futuri - basti vedere le lotte degli anni '70 che hanno strappato diritti di cui per almeno un paio di decenni hanno usufruito le nuove generazioni, viene chiamata "egoismo", "ideologismo"; di contro, la riduzione del salario e delle condizioni di lavoro al livello più basso possibile per tutti, viene innalzata a "uguaglianza tra vecchi e nuovi lavoratori"; la condizione ultraprecaria dei giovani - che dalla Legge 30 in poi, da Biagi a Treu, ecc., i vari governi (siano stati di centrosinistra o di centrodestra) hanno voluto e creato, viene addebitata ad una sorta di corporativismo ideologico dei lavoratori; e via di questo passo.
Dentro il mondo del lavoro sta avvenendo quello che Marx descriveva, l'uso dei disoccupati per ricattare gli operai, per togliere loro diritti, per dequalificarli, per abbassare il salario di tutti, per poter liberamente licenziare questa forza lavoro e sostituirla con quelli che bussano alle porte delle aziende.
Addirittura vogliono coprire l'attacco a diritti intoccabili - come le ferie, per cui uno dovrebbe rinunciare alle sue ferie per aumentare quelle del suo compagno di lavoro - strumentalizzando vigliaccamente il normale senso di unità tra i lavoratori,

Ma dietro queste false parole, appare senza orpelli la realtà nuda e cruda, ineliminabile, dell'antagonismo di classe, da un lato la classe dei padroni, con i loro governi, le loro leggi che per la difesa di un pugno di persone sta portando ad un moderno schiavismo gli operai, i lavoratori, e ha reso il lavoro un "privilegio" e il futuro dei giovani un buco nero; dall'altra la classe dei proletari (lavoratori, licenziati, disoccupati, giovani, donne) che per difendere o avere un lavoro e un salario minimamente decente, per avere una vita dignitosa per sè e per le generazioni future non ha altra strada che liberarsi delle catene dei padroni e del loro sistema.

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