mercoledì 7 gennaio 2015

pc 7 gennaio - UNA "GUERRA" INTERIMPERIALISTA FATTA COL PETROLIO

E' in atto sulla scena internazionale una "guerra" economica, politica, strategica che ha come principali protagonisti l'imperialismo Usa e l'imperialismo russo, fatta in questo caso non con le armi, ma con il petrolio, usato dagli Usa per approfondire la crisi della Russia e affermare la sua egemonia economica, e chiaramente non solo, a livello internazionale. 
Questa guerra viene fatta con un gioco al ribasso del prezzo del petrolio frutto essenzialmente del mantenimento di una sovrapproduzione del greggio (30 milioni di barili al giorno i sauditi), mentre vi è una domanda e consumi in calo frutto della crisi.

"Negli Stati Uniti la produzione di shale oil è sempre in crescita (400mila barili al giorno)... L’Arabia Saudita non vuole perdere quote di mercato e continua a esportare a ritmi elevati... Paesi
quali Iraq e Nigeria continuano massicciamente a estrarre. Le vendite di Baghdad, nonostante i tanti e gravi problemi interni, sono ai massimi dal 1980. Situazione simile anche per Lagos...
L’offerta è molto ampia anche in molti altri Paesi non membri del cartello.
Insomma la situazione generale del settore non è delle più incoraggianti e giusto ieri Citigroup ha tagliato le proprie stime per i prezzi del Brent per il 2015 da 80 a 63 dollari al barile e quelle del Wti da 72 a 55 dollari....
Abituati per anni a prezzi del petrolio ben sopra i 100 dollari al barile (nel 2012 il Brent ha registrato una media record di 111 dollari) i Paesi produttori di greggio hanno visto, nel 2° semestre del 2014, le quotazioni crollare ben al di sotto delle loro previsioni. Dallo scorso giugno, quando, favorito anche dalle tensioni geopolitiche in Siria e Iraq, il Brent era salito sopra i 115 $, i prezzi sono crollati perdendo oltre il 50 per cento. Colpa, soprattutto, dell’aumento dell’offerta mondiale, superiore alla crescita anemica dei consumi, in progressiva contrazione"  - da Sole 24 Ore

La sovrapproduzione nel sistema del capitale è sempre fattore di crisi, perchè comporta un aumento del'offerta e di conseguenza un abbassamento dei prezzi sul mercato; in genere la contromisura del capitale per mantenere alti i prezzi e i profitti è quella di ridurre/tagliare la produzione, anche con una distruzione della merce prodotta. In questo caso viene invece mantenuta al solo scopo di una lotta interimperialista.
Detto questo, anche da questa vicenda viene chiaro come una abbondante produzione di petrolio con un calo consistente del prezzo sarebbe tutta a vantaggio delle popolazioni; nel sistema del capitale e nell'imperialismo invece è usata per peggiorare le condizioni di vita dei popoli.   

(Dall'art. di Manlio Dinucci) - Men­tre il crollo del prezzo del petro­lio mette alle corde la Rus­sia che, già in crisi per le san­zioni Usa/Ue, vede retrin­gersi gli sboc­chi delle sue espor­ta­zioni ener­ge­ti­che, gli Stati uniti stanno dive­nendo il mag­giore pro­dut­tore mon­diale di greg­gio, spiaz­zando l’Arabia Sau­dita, e saranno pre­sto non solo auto­suf­fi­cienti ma in grado di for­nire all’Unione euro­pea petro­lio e gas in abbon­danza e a buon mer­cato. Que­sta la nar­ra­zione dif­fusa dai media. Cer­chiamo di riscri­verla in base alla realtà, par­tendo dall’interrogativo: per­ché sta calando il prezzo del petro­lio?
Il calo è dovuto non solo a fat­tori eco­no­mici, come il ral­len­ta­mento della domanda mon­diale, ma a fat­tori geo­po­li­tici. Anzi­tutto la deci­sione dell’Arabia Sau­dita, mag­giore espor­ta­tore petro­li­fero mon­diale prima della Rus­sia, di man­te­nere alta la pro­du­zione così che, cre­scendo l’offerta, dimi­nui­sca il prezzo del greggio.

Che inte­resse ha l’Arabia Sau­dita a effet­tuare tale mano­vra, che rischia di ridurre i suoi stessi introiti petro­li­feri? Quello di col­pire altri paesi espor­ta­tori di petro­lio, soprat­tutto Rus­sia, Iran e Vene­zuela. Riyadh può per­met­tersi tale mano­vra poi­ché i costi di estra­zione del greg­gio sau­dita sono tra i più bassi al mondo, 5–6 dol­lari al barile, men­tre estrarre un barile di petro­lio dal Mare del Nord, ad esem­pio, costa oltre 26 dol­lari. L’idea che la mano­vra di Riyadh sia diretta anche con­tro gli Stati uniti, dove è ini­ziato il boom del petro­lio da sci­sti, non è fon­data. Sia per­ché gli Usa con­ti­nuano a impor­tare petro­lio sau­dita, la cui qua­lità è adatta alle loro raf­fi­ne­rie, men­tre il petro­lio da sci­sti va a sosti­tuire quello prima impor­tato da Nige­ria, Angola e Alge­ria. Sia per­ché la mano­vra sul petro­lio è stata con­cor­data da Washing­ton con Riyadh in base alla stra­te­gia mirante anzi­tutto a inde­bo­lire e iso­lare la Rus­sia. In tale qua­dro si inse­ri­sce il boom del petro­lio e gas estratto, negli Usa, da sci­sti bitu­mi­nosi con la tec­nica della frat­tu­ra­zione idrau­lica, ossia della fran­tu­ma­zione delle rocce in strati pro­fondi con acqua a pres­sione con­te­nente sostanze chi­mi­che. Tale tec­nica è molto costosa: secondo l’Agenzia inter­na­zio­nale per l’energia, estrarre petro­lio da sci­sti costa 50–100 dol­lari al barile, a con­fronto dei 10 dol­lari al barile del petro­lio mediorientale...
C’è poi da con­si­de­rare che tale tec­nica pro­voca danni ambien­tali gra­vis­simi, il cui costo ricade sulle comu­nità locali... Il boom petro­li­fero Usa è dun­que spinto dai fini geo­po­li­tici di Washing­ton: da un lato col­pire la Rus­sia e altri paesi, dall’altro far sì che gli alleati euro­pei sosti­tui­scano alle for­ni­ture ener­ge­ti­che russe quelle sta­tu­ni­tensi. In realtà gli Usa, i mag­giori impor­ta­tori mon­diali di greg­gio, non potreb­bero for­nire all’Europa il loro petro­lio e gas natu­rale alle quan­tità e ai prezzi di quelli russi. Un vero e pro­prio bluff del «poker ame­ri­cano» della guerra"

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