sabato 1 marzo 2014

pc 1 marzo - la grande lotta degli operai della logistica LDD di trezzo si estende e diventa un punto di riferimento per tutti gli operai

Dopo l'incontro in Prefettura in cui si é stabilito l'avvio della trattativa sindacale con la coop entrante per il 4 marzo, i lavoratori non stanno fermi ad aspettare, ma si preparano per una manifestazione ancora piú forte, rispetto a quella dei giorni scorsi, nel caso non ci siano risultati concreti al tavolo. 

Per questo giovedi hanno incontrato i lavoratori della logistica della KN di Brignano per costruire la necessaria solidarietà, decidendo di fare una assemblea sindacale per martedï prossimo.
Venerdì una delegazione di lavoratori si é recata alla Dhl di Settala in occasione dello sciopero nazionale sul Ccnl logistica per stringere legami diretti con gli operai, far conoscere la loro lotta e fare appello alle realtå sindacali e solidali che dirigono e sostengono le lotte dei lavoratori della logistica a sostenere la battaglia esemplare alla Ldd di Trezzo.

oggi  i lavoratori si sono incontrati  al magazzino di Trezzo per un assemblea generale in previsione dell"incontro sindacale di martedi e per decidere le prossime iniziative di lotta.
 LDD? Ricetta Lavoratori e le loro famiglie senza lavoro. VIDEO
RICETTE DI LD MARKET - YouTube


far circolare youtube: cobasinforma
vari video su lotta logistica LDD Trezzo


http://www.youtube.com/watch?v=ERil7qfXV8I

pc 1 marzo - a Ravenna prescrizione per i padroni assassini del Petrolchimico - processo per i compagni della Rete nazionale per la sicurazza!

PROCESSO AMIANTO AL PETROLCHIMICO DI RAVENNA
SCATTA LA VERGOGNA DELLA PRESCRIZIONE PER I REATI DI OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE PER ALCUNI DIRIGENTI, RESTA IN PIEDI PER TUTTI L’ACCUSA DI DISASTRO COLPOSO.
Oggi si è tenuta a Ravenna la terza udienza preliminare per il processo a carico di 21 dirigenti ENI accusati a vario titolo di omicidio, lesioni e disastro colposi. Erano presenti in aula una sessantina tra operai e parenti dei deceduti, assenti tutti gli imputati. La scorsa udienza (6 febbraio) erano state esposte dal PM Ceroni e dagli avvocati di parte civile, le tesi per cui si sarebbe dovuto procedere con le imputazioni ascritte ai vari dirigenti ENI. Oggi è stata la volta delle arringhe difensive da parte del collegio di difesa composto da vari principi del foro(da segnalare Grosso di Torino; Maspero ,Lucibello e Simoni di Milano e Bolognesi di Ferrara). Le tesi difensive si sono snocciolate su due punti fondamentali: la prescrizione dei reati poiché avvenuti venti e più anni addietro e poi sulla estraneità ai fatti da parte degli imputati, poiché nei vari interventi succedutesi, volevano rimarcare l’assenza di responsabilità dei dirigenti, che a loro dire non avevano compiti di gestione delle operazioni (che invece sarebbero toccati ai preposti alla salute e alla sicurezza) ma avevano solo compiti di dirigenza ed organizzazione della produzione. Addirittura secondo l’avvocato Bolognesi, del fatto che nell’organigramma aziendale non ci fossero i preposti per la sicurezza, non è possibile accusare i vertici aziendali, ma eventualmente l’azienda stessa. Però, aggiungiamo noi, probabilmente anzi sicuramente, i dirigenti gestivano loro l’organizzazione del lavoro e delle produzioni, ed in quanto gestori dovevano pur prevedere ed organizzare la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, visto che le norme di tutela esistono già dalla nascita della Repubblica italiana e sono sancite anche nella Costituzione. Quindi se uno è responsabile dello stabilimento, è anche direttamente responsabile di quel che accade al suo interno sia in materia produttiva, organizzativa ed anche del rispetto e della tutela della sicurezza e della salute. Ma a tutto ciò non ci sarà mai risposta dallo stato italiano poiché per alcuni imputati sono già intervenuti i termini di prescrizione per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose e per gli altri maturerà durante l'iter processuale. Per la legge italiana il conteggio per la prescrizione scatta quando viene diagnosticata la malattia e non quando ci sia l’aggravamento o il decesso, quindi si può legittimamente affermare che questo è un bel colpo di spugna sulle responsabilità di chi dovrebbe tutelare la salute e la sicurezza negli ambienti lavorativi. Il GUP Farinella ha dichiarato il rinvio a giudizio degli imputati. Tale tesi segue l’onda del processo Eternit di Torino che acclara il disastro ancora in atto poiché l’insorgenza delle malattie ed i decessi sono ci sono tutt’oggi . Da notare che una della parti civili (i parenti di un operaio deceduto) si è fatta escludere dalla costituzione di parte civile. Avranno raggiunto un accordo con l’azienda per un risarcimento? questo è quello che vociferavano gli operai presenti. L’eventuale condanna per disastro colposo darebbe luogo ai risarcimenti per tutte le parti civili, che probabilmente avranno dei soldi ma sicuramente non avranno giustizia piena a causa della prescrizione che quasi sempre assicura impunità ai potenti. La prossima udienza con l’inizio del dibattimento si svolgerà sempre a Ravenna il 25 giugno prossimo. Riporteremo l’evolversi del processo sul blog.
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Il 28/2 si è svolta l'udienza del processo contro il nodo di Ravenna della Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro, per l'iniziativa simbolica del 13 marzo del 2008, contro l'agenzia interinale intempo, nella giornata di commemorazione della strage della mac navi. In tale occasione chiedavamo la chiusura dell'agenzia interinale suddetta, responsabile della morte di due operai, Luca Vertullo a Ravenna e un altro, sempre assunto dalla intempo, a Porto Marghera. Contestualmente avanzammo la richiesta di una postazione fissa, al porto, dell'ispettorato del lavoro. La risposta che abbiamo avuto è stata la rappresaglia padronale per cui i veri responsabili delle condizioni disumane di lavoro al porto, del precariato e delle morti sul lavoro, ci hanno denunciato. A portare la solidarietà alla rete oggi: la madre di Luca Vertullo, abbandonata dalle istituzioni dello stato senza mai aver avuto giustizia, per la morte del figlio, dai tribunali dei padroni; presenti, numerosi e solidali anche i giovani militanti dello Spartaco ed altri lavoratori aderenti ad altre forze politiche (PCL Ravenna e Rifondazione comunista) e non. La solidarietà si è espressa all'esterno del tribunale con un presidio sotto lo striscione della rete : "da processare è la precarietà che uccide non chi la combatte", qui si è svolto anche un volantinaggio. La data della prossima udienza è il 9 maggio alle 9 e 30, in tale occasione avverrà l'audizione degli imputati e dei testimoni citati dalla difesa. Invitiamo fin da ora ad essere presenti e a partecipare anche alla prossima udienza per ribadire che i veri criminali sono le agenzie interinali e i padroni assassini, sono i confederali complici e tutte le istituzioni compiacenti.

Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio -nodo di Ravenna




pc 1 marzo - DALLO SCIOPERO DELLE DONNE ALL'8 MARZO ROSSO, DI LOTTA!


Vogliamo che quest'anno l'8 marzo sia SIA NOSTRO E ROSSO!
Un 8 marzo che unisca le battaglie delle donne, contro la guerra di bassa intensità che ci uccide, contro l'insieme della nostra condizione di vita, contro tutte le oppressioni.
Un 8 marzo che unisca in una stessa lotta le donne italiane e le immigrate.
Un 8 marzo che sia “ponte” verso le donne, operaie, lavoratrici che lottano negli altri paesi, dalla Cina al Bangladesh, verso le compagne rivoluzionarie che sono in prima linea nelle guerre popolari, dall'India, alle  Filippine, alla Turchia...


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Un 8 marzo che dica basta con il riformismo, vogliamo fare la rivoluzione!! Se vogliamo che tutta la nostra vita cambi, tutta la società deve essere rivoltata!
Un 8 marzo che, con il grido delle donne in lotta, respinga e affossi l'ipocrita campagna massmediatica-istituzionale, delle rappresentanti della politica borghese che ancora una volta verrà fuori per soffocare la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione!

Un 8 marzo in cui, come è stato per lo "sciopero delle donne", le operaie, le lavoratrici, le giovani prendano nelle loro mani le iniziative, per ridare dignità storica, verità di classe, perchè l'8 marzo non è di tutte, non è interclassista, ma delle donne più sfruttate e oppresse che sono la maggioranza, delle donne che si ribellano, delle ragazze che vogliono lottare per un altro futuro. 

FACCIAMO UN 8 MARZO, ROSSO, DI LOTTA, PROLETARIO!

Le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

pc 1 marzo - A POCHI GIORNI DALL'8 MARZO LO "SCANDALO" DELLA CONDIZIONE DELLE OPERAIE CONTINUA

DALLE OPERAIE dello Slai cobas per il sindacato di classe di Venezia/Marghera:

CHE SUCCEDE NELLE FABBRICHE CALZATURIERE DI VENEZIA

Presso le aziende CALZATURIFICIO CA'D'ORO srl con sede in Fiesso d'Artico (VE) e AVATAR srl, con sede nella stessa zona industriale, di fatto una sua ditta di appalto costituita da una ex capo reparto della stessa Ca' d'Oro, ove il personale è di fatto ruotante tra una ditta e l'altra, e recentemente lavoratrici Avatar sono in servizio presso la Ca' d'Oro senza alcuna sottoscrizione di accordi.

In data 25-2-2014 una lavoratrice dipendente Avatar, e da molti anni operaia calzaturiera a Fiesso d'Artico (VE), si è sentita male e si è dovuta  recare al Pronto soccorso dove è rimasta sotto flebo tutto il pomeriggio e dimessa in serata con una grave patologia faringea. La lavoratrice ci ha riferito che lavora a un metro e mezzo - due metri da una lavoratrice rumena che fa vernicitaura a spruzzo di parti di cinture. In questa maniera lei ed un'altra delle tre lavoratrici sono esposte ad esalazioni maligne da vernici che non vengono attuate entro cabine o reparti separati, ma a fianco di lavoratrici come loro che svolgono altre normali attività calzaturiere.
Le abbiamo anche chiesto perché non ci aveva informato di nulla di quanto accade in ditta sin dal maggio/giugno scorso, ci ha detto che acevano gli straordinari, e temeva ripercussioni, ma che adesso sta troppo male.
In questa azienda la Cgil ha fatto recentemente un'assemblea per sostenere la giustezza di una Cig da loro firmata a gennaio di quest'anno; ma le lavoratrici hanno obiettatto che stanno lavorando tutte 10-11 ore al giorno e che in queste condizioni la CIG non è valida. Il sindacalista avrebbe detto loro che la CIG va bene poiché SICCOME LA AZIENDA NON PAGA LA MALATTIA (!!!!!!) - queste assenze verranno imputate alla Cassa Integrazione!!!

pc 1 marzo - per comprendere a fondo il fascismo padronale alla Fiat come in tutte le fabbriche del nostro paese - richiedilo - organizza presentazioni - proletari comunisti PCm Italia pcro.red@gmail.com


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pc 1 marzo - il governo 'veloce' di 'matteorenzi' - 1 -

 IL "MATTEORENZI" GOVERNO


Il padronato industrial
e e finanziario si aspetta che l'attivismo del “matteorenzi” produca atti immediati. Siamo sempre alle stesse “agende”, date a Monti e poi a Letta, non ci sono granchè novità. Ma ora il problema è vedere se quel “faccio tutto io e subito” di Renzi può produrre, almeno all'inizio, passi concreti che vadano nel senso di “meno Stato nell'economia, semplificazioni legislative e di regolamenti per le aziende, di agevolazioni e credito alle imprese, tassazioni più leggere per le imprese, una pubblica amministrazione efficiente e moderna , mercati “sgessati”; ma soprattutto una riduzione del costo del lavoro, “una riforma del mercato del lavoro che lo renda davvero flessibile (cioè con meno vincoli allo sfruttamento padronale), una scuola e formazione a misura della competitività globale (cioè una scuola che sforni braccia e anche cervelli al servizio del profitto capitalista), una decontribuzione per le assunzioni di giovani; e infine tanta ricerca e innovazione (sempre per le aziende)”.
Per questol'indirizzo del padronato è di governare attraverso un rapporto diretto con i cittadini, “spiegando ai cittadini, prima ancora che ai politici, cosa vuole fare... parlare chiaro, dire le cose come stanno, usare il senso comune del Paese. Solamente così potrà sopravvivere...” avere il sostegno dell'opinione pubblica... 
(Sergio Fabbrini su Sole 24 Ore).
 
Ma chi è questa “opinione pubblica”? Non certo i lavoratori, i giovani, le donne, quelli che non hanno da aspettarsi nulla di buono dallo “scattante e veloce Renzi”.
Sono gli elettori del partito di Berlusconi, con cui “Renzi dovrà fare un patto per la riforma delle regole del gioco, la riforma elettorale concordata con il pluricondannato leader dell'attuale principale partito di opposizione. “Fu un errore del governo Letta, e ancora di più del governo Monti – dice il giornalista della Confindustria - lasciare l'iniziativa della riforma elettorale al parlamento. La riforma elettorale dell'Italicum va imposta dal governo attraverso un accordo dichiarato con Forza Italia di Silvio Berlusconi. Quest'ultimo è abilitato dai milioni di elettori che lo hanno votato e che continuano a sostenerlo... Con la riforma elettorale approvata, i parlamentari del Pd e degli altri partiti della coalizione non avranno più poteri di veto nei confronti del governo Renzi..”.
Non solo, ma “Se quello di Renzi sarà un governo dell'opinione pubblica (!?), allora non dovrà preoccuparsi di promuovere una riforma del mercato del lavoro che metterà in discussione il potere di veto dei sindacati... Il senso comune del Paese è chiaro: siamo soffocati dalle rendite private e pubbliche, sindacali e corporative. Un governo dell'opinione pubblica dovrà concentrarsi su pochi problemi, senza mollare la presa fino a quando non sono risolti”. Dove, chiaramente, per “Paese”, si intende solo il loro paese.
Ora, tenendo conto che il “matteorenzi” tutte queste idee e programmi innovativi non pare averli – il jobs act è sostanzialmente un piano sempre pronto nei cassetti dei vari Ichino; come l'Italicum non fa che sostanzialmente spostare di poco in basso o in alto alcune percentuali; ecc. - ciò che farà agire è in effetti proprio questo metodo di “imposizione”, di decisionismo “legittimato” dal “rapporto diretto coi cittadini” - una sorta di “berlusconismo giovanile”, che parla pure tanto.

venerdì 28 febbraio 2014

pc 28 febbraio: CI RIPROVANO UN'ALTRA VOLTA. MA I COVI NAZI/FASCISTI NON DEVONO APRIRE

Neonazi e mafia, il battesimo a Milano con la sede di “Lealtà e azione”

I locali del movimento di estrema destra nello spazio di proprietà di un costruttore vicino al clan De Stefano. La sua società fu fondata da Paquale Guaglianone, condannato per banda armata e in contatto con un emissario della cosca
Il tratto finale è quello di viale Certosa. Via Pareto la incrocia in diagonale. Strada stretta, alberi sui lati. Edilizia residenziale. Zona tranquilla con il cimitero Maggiore a due passi. Lembo nord di Milano. Dopodiché l’hinterland verso il costruendo sito dell’Expo. Qui, come riporta il sito dell’Osservatorio democratico, nascerà a breve l’ultimo avamposto dell’estrema destra. Tre vetrine all’angolo con via San Brunone accoglieranno la sede di Lealtà e azione, sigla dietro la quale opera il movimento degli Hammerskins, network internazionale ispirato da idee neonaziste nato negli anni Ottanta dopo la scissione con il Ku Klux Klan americano. Camerati, dunque. Ma non solo. Perché al battesimo dei nuovi locali ci sarà anche un convitato di pietra: la ‘ndrangheta della supercosca dei De Stefano-Tegano. Mafia e fascisti. Un mix fatto di rapporti tra gli emissari dei boss calabresi e personaggi noti del neofascismo milanese come Pasquale Guaglianone, ex tesoriere dei Nar condannato per associazione sovversiva e banda armata. Questo il quadro. Dentro al quale non pare certo un caso trovare il leader degli Hammer milanesi, Domenico Bosa, che intrattiene rapporti di amicizia con narcotrafficanti serbi legati al boss Pepè Flachi. Torniamo in via Pareto. Qui gli spazi sono della Milasl srl. Il proprietario è il calabrese Michelangelo Tibaldi che la controlla attraverso la Brick. Un risiko societario riassunto in una nota della Banca d’Italia del 2013 per alcune operazioni sospette. Il documento è messo agli atti dell’indagine calabrese sull’ex tesoriere della Lega nord Francesco Belsito. Il nome di Tibaldi, pur non iscritto nel registro degli indagati, compare in un’indagine della Procura di Reggio Calabria. Si tratta del primo tempo sulle infiltrazioni mafiose nella municipalizzata Multiservizi. Tra i soci privati compare la stessa Brick di Tibaldi. L’organigramma è riassunto nel report della commissione d’accesso che porterà allo scioglimento del comune di Reggio. Secondo i commissari “Tibaldi favoriva il mafioso Santo Crucitti attraverso l’intermediazione di Dominique Suraci“. L’affermazione si fonda sugli atti dell’inchiesta Sistema che nel 2007 fotografa l’ingresso della ‘ndrangheta nella Multiservizi. Obiettivo dei boss: ottenere una convenzione tra la municipalizzata e la Finreggio, società riconducibile allo stesso Crucitti. Il piano si compie grazie alla mediazione dell’ex consigliere comunale Suraci che “sfrutta l’appoggio di Michelangelo Tibaldi socio privato della società mista”. Nel 2013 Tibaldi finisce nelle carte della seconda tranche dell’indagine su Belsito. L’accusa: concorso esterno e riciclaggio. Con lui viene coinvolto anche Guaglianone. Entrambi sono accusati di aver favorito gli interessi della cosca De Stefano. E del resto già nel 2009, Guaglianone viene fotografato in compagnia di Paolo Martino, referente del clan in Lombardia. La Procura ordina le perquisizioni. Nel mirino la Miasl costituita nel marzo 2007 da Guaglianone, dalla sorella dell’avvocato Bruno Mafrici (anche lui indagato) e da Giorgio Laureandi, funzionario dell’Agenzia delle entrate licenziato per corruzione e animatore del circolo di An Protagonismo sociale. Nell’ottobre dello stesso anno la Miasl passa alla famiglia Tibaldi anche se, ricordano gli analisti della Banca d’Italia, Guaglianone ne resta amministratore fino al 2010. Il legame tra la srl e l’ex Nar resta forte. A tal punto che fino al 2012 il figlio risulta delegato a operare sul conto della società .
I rapporti tra la Miasl e l’estrema destra risalgono al 2008, quando i locali di via Pareto vengono affittati all’ex ultras dell’Inter Alessandro Todisco che apre Il sogno di Rohan, negozio di oggettistica nazi. Nello stesso anno si insedia il centro sociale Cuore nero, la cui prima sede in viale Certosa viene incendiata nell’aprile 2007. L’esperienza dura poco. Cuore nero, oltre ai locali, lascia 9mila euro di birre non pagate. Debito saldato da un noto consigliere regionale del Pdl. Quindi la nuova esperienza di Lealtà e azione, movimento nato nel 2011 e diventato, con il tempo, il più numeroso della variegata galassia nera. Il suo leader indiscusso è Giacomo Pedrazzoli arrestato nel 2004 per duplice tentato omicidio dopo un blitz davanti al centro sociale Conchetta.
Da Il Fatto Quotidiano del 28 febbraio 2014

pc 28 febbraio: CHI DI DEMOCRAZIA FERISCE, DI UOVA SI FERISCE...

Bergamo, lanci di uova al congresso Fiom: ferito al labbro il segretario della Cgil
Tensione ad Albino, in val Seriana, durante l'evento: il leader provinciale Bresciani è stato colpito al volto. I carabinieri sono intervenuti per sedare due risse. I sostenitori di Cremaschi prendono le distanze
di MARA MOLOGNI
28 febbraio 2014
Lanci di uova e una ferita al labbro per il segretario provinciale della Cgil di Bergamo, Luigi Bresciani, durante il congresso della Fiom ad Albino, in val Seriana. Il segretario stava parlando quando un delegato si è avvicinato e gli ha tirato alcune uova al volto. Subito attorno all'aggressore si è scatenata una discussione, degenerata in rissa, e un'altra lite si è scatenata all'esterno, fino all'arrivo dei carabinieri. Bresciani, sanguinante al labbro, è rimasto al suo posto e quando le cose si sono calmate ha ripreso il suo intervento. "L'aggressione è un atto fortunatamente isolato, che è però indice di un clima inqualificabile di tensione tra una parte della Fiom e il resto della Cgil", è stato il primo commento di Bresciani. "Ma abbiamo buoni anticorpi democratici".

I rappresentanti della mozione 2, che fa capo a Giorgio Cremaschi, si sono pubblicamente dissociati dal gesto. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e la situazione è presto tornata alla normalità consentendo la ripresa dei lavori. Quello di Albino è solo l'ultimo di una serie di congressi ad alta tensione. Lo scorso 14 febbraio la stessa segretaria nazionale della Cgil, Susanna Camusso, era stata
contestata da una decina di dimostranti al teatro Parenti di Milano, in un attivo regionale che era finito a calci e spintoni.

La stessa Camusso ha bollato come "un episodio di inciviltà personale" l'aggressione a Bergamo. E a replicato con un "non abbiamo mai pensato una cosa di questo genere" alla domanda sul perché la Cgil voglia cacciare la Fiom rivoltale a margine di un incontro con gli studenti dell'università Bocconi a Milano. "Mi pare ci sia la strana idea che se un'organizzazione discute e ci sono opinioni diverse, questo vuol dire cacciare qualcuno. Non succede così in Cgil".

Nel condannare con forza l'aggressione a Bresciani e nel confermargli la solidarietà, Cgil nazionale, Cgil Lombardia e Camera del lavoro di Bergamo esprimono la "più profonda preoccupazione per il crescendo, che rischia di diventare incontrollabile e di offuscare il valore democratico del confronto e del dibattito congressuale in corso, di episodi di vera e propria provocazione che vanno isolati, colpiti, banditi dalla vita della Cgil".


Fiom, uova e tensione al congresso nel bergamasco. Ferito segretario Cgil
Durante l'appuntamento ad Albino il dirigente Luigi Bresciani è stato colpito al labbro da un uovo lanciato da un appartenente dell'organizzazione dei metalmeccanici. Alcuni presenti sono venuti alle mani ed è stato necessario l'intervento delle forze dell'ordine
Tensione alta al congresso del sindacato Fiom in provincia di Bergamo. Il segretario della Cgil di Bergamo, Luigi Bresciani, è rimasto ferito al labbro dopo essere stato colpito da un uovo lanciato da un delegato durante il congresso della Fiom Cgil in corso ad Albino.
Bresciani è stato colpito in pieno volto dall’uovo ed è rimasto ferito al labbro che ha cominciato a sanguinargli. Il delegato che ha lanciato l’uovo è stato insultato. E a quel punto è scoppiata una rissa tra alcuni presenti. Bresciani è rimasto comunque lasciato la sala, e poco dopo ha tenuto il suo intervento. Anche all’esterno del congresso la tensione è rimasta alta ed è stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine.
Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, condanna duramente l’episodio: “La Cgil Lombardia e la Camera del Lavoro di Bergamo – sottolinea un comunicato – esprimono la loro più profonda preoccupazione per il crescendo, che rischia di diventare incontrollabile e di offuscare il valore democratico del confronto e del dibattito congressuale in corso, di episodi di vera e propria provocazione che vanno isolati, colpiti, banditi dalla vita della Cgil”.
Secondo il sindacato, infatti, nelle ultime settimane ci sono stati precedenti che hanno alimentato “un clima di odio e di intolleranza nel dibattito interno, con punte di violenza inaudita, verbale e non solo, completamente estranea alla storia e ai valori della Cgil”. “E’ intollerabile – conclude la Cgil – che si continui ad inquinare il nostro confronto congressuale con sospetti e accuse di ‘comportamenti antidemocratici o addirittura di ipotetici brogli”.

pc 28 febbraio - Notav - cariche poliziesche.. ma LA VALLE NON SI ARRESTA!

ma la libertà è tutto

Bhj3AHQIcAAQ8dE.jpg-large547900_10202816655204695_1866276488_nAggiornamento ore 14.30: il corteo torna verso Giaglione
E’ ancora in corso l’iniziativa No Tav in Val Clarea dove in circa 500 attivisti del movimento stanno accompagnando gli imputati a giudizio per le giornate del 27 giungo e del 3 luglio 2011 nei luoghi della lotta e per la difesa dei quali oggi si trovano sottoposti a giudizio.
E’ di poco fa la notizia di una carica effettuata da una polizia molto nervosa nei pressi del ponte Clarea. Già nei giorni scorsi, quando il movimento aveva indetto il presidio pubblico, per mezzo stampa si era diffusa la notizia che un importante presidio interforze ne avrebbe impedito lo svolgimento.
Circa 500 persone si trovano quindi ora nei pressi del ponte e, nonostante l’aggressione, resistono intonando cori e slogan.
Facendo un passo indietro rispetto la cronaca della giornata, stamane è stato letto da parte degli imputati un comunicato, che ufficializzava l’abbandono dell’aula, per denunciare un processo che procede a ritmo serrato in un clima assolutamente fuorviante e criminalizzante. A tutto ciò va inoltre aggiunta una valutazione rispetto alla conduzione non imparziale dello stesso, con un collegio giudicante che non si distingue dalle procura la quale con arroganza detta tempi e modi di questa plateale rappresentazione.
Per questi motivi Giorgio e Lollo, sempre stamane, hanno revocato il difensore attraverso una dichiarazione che è stata letta pubblicamente, qui di seguito alcuni estratti tra cui “In questo processo la difesa viene azzerata e svilita. Le parti civili recitano parti ambigue. E contestiamo l’etichetta di pericolosi socialmente che ci hanno affibbiato. Il discorso non e’ violenza si o violenza no, ma contro cosa si resiste a cosa ci si oppone” e ancora “Con tutto il rispetto per i nostri legali – ha dichiarato – revochiamo definitivamente, salvo un reale cambiamento di atteggiamento della corte, gli avvocati che ci hanno assistiti dal nostro arresto”
Da subito i media hanno stravolto il racconto dei fatti, dandone una cronaca stizzita, enfatizzando certi momenti e non dando risalto alle reali ragioni della protesta: ad essere processato oggi è chiaramente il movimento No Tav, la sua lotta ultra-ventennale e la sua Resistenza.
In questa giornata il movimento ha saputo mettere in campo un’importante azione simbolica che ribadisce, dopo le manifestazioni diffuse in tutta Italia del 22 febbraio in solidarietà ai NO Tav in carcere con l’accusa di terrorismo, che il movimento non si fa intimidire e prosegue con determinazione la propria lotta.

pc 28 febbraio - NOTAV chi processa chi? Il comunicato degli imputati/e notav letto al processo in aula bunker


pc 28 febbraio - NOMUOS: NON CI LASCEREMO INTIMIDIRE DAL DIVIETO DI MANIFESTARE

comunicato del coordinamento
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Le autorità politiche italiane, la mafia, la Us Navy e le lobby affaristiche dell’apparato politico-militare-finanziario internazionale hanno appena terminato la costruzione del MUOS a Niscemi, ma ai più si vuole nascondere una tale vergogna: si vieta, così, ai manifestanti e all’universo mondo di raggiungere l’unico pianoro da cui le parabole sono visibili. Uno scempio da tenere nascosto? 

Comunicato stampa

Da diverse settimane il movimento NO MUOS ha annunciato una importante manifestazione per l’1 marzo a Niscemi, per ribadire come la conclusione del montaggio delle parabole del MUOS non abbia fatto indietreggiare la lotta contro la militarizzazione del territorio, contro le guerre, a salvaguardia della salute, dell’ambente e della pace.
La nostra richiesta di poter attraversare in corteo la Sughereta di Niscemi da contrada Pisciotto fino al cancello n. 4 della base NRTF della Marina militare degli Stati Uniti, il più vicino alla sede del MUOS è stata rigettata dallaQuestura usando strumentalmente un parere contrario dell’Azienda Forestale che ha addotto motivazioni pretestuose concernenti rischi per l’incolumità delle persone e per l’ambiente della Sughereta.
Non ci pare siano state frapposte difficoltà di questo tipo né di altro, da parte della Forestale, alla Marina degli Stati Uniti quando ha stuprato un’area di circa 1.500.000 metri quadrati di Sughereta per costruire la base di comunicazioni NRTF, dentro la quale, sempre senza frapporre alcun divieto, la Forestale ha permesso la costruzione del MUOS.
Il Movimento NO MUOS legge in questo atteggiamento un chiaro atto intimidatorio con il quale l’Azienda Forestale e chi si nasconde dietro di essa cercano di vietare la manifestazione dell’1 marzo, che si è data come obiettivo il coinvolgimento di migliaia e migliaia di persone, le quali devono poter rendersi conto del processo avanzato di militarizzazione in atto e dello scempio fatto al bosco della Sughereta.
Una seconda richiesta di effettuare la manifestazione dal cancello n. 1 al cancello n. 4 ha ricevuto la prescrizione di arrestarsi alla fine del tratto di strada asfaltata, in contrada Polo, senza proseguire verso il cancello n. 4; un’autorizzazione a metà che — di fatto — mutila il corteo e cancella uno dei suoi principali obiettivi.
Il Movimento non si lascia impaurire; l’1 marzo migliaia di persone daranno vita a una grande manifestazione per affermare il diritto a  sfilare liberamente e a esprimere le proprie idee; il diritto a contestare le scelte dei governi di Washington, Roma e Palermo fatte sulla testa e sulla vita di milioni di siciliani; il diritto a rifiutare la militarizzazione del territorio, l’attentato alla salute degli esseri viventi, lo scempio ambientale, che si stanno consumando da tempo e che, con il M UOS in funzione, subiranno una micidiale accelerazione.
Fino a oggi gli attivisti NO MUOS non si sono lasciati sopraffare dalle più fantasiose azioni repressive resse in atto dalla Questura, e l’1 marzo saranno ancora una volta a Niscemi per ribadire che la resistenza contro il MUOS continua; per dimostrare come nuove forze si affiancano a quanti in questi anni hanno sostenuto questa dura battaglia, e che tutti sono convinti più che mai che il MUOS si potrà e si dovrà smantellare, assieme alle 46 antenne NRTF.

pc 28 febbraio - MILANO: SOLIDARIETA' INTERNAZIONALISTA COI PRIGIONIERI POLITICI INDIANI!

Presidio sotto il consolato indiano a Milano con diffusione di centinaio di volantini - affissione di striscioni, visti da tanmta gente
Il consolato Indiano sorpreso dall'iniziativa è stato costretto a scendere per prendere atto della protesta.
Non è la prima iniziativa sotto il consolato a Milano e non sarà l'ultima!
Il sostegno proletario e solidale ai prigionieri politici indiani - molti di essi in sciopero della fame in diversi carceri indiane - ha avuto una nuova tappa in Italia, dopo la giornata internazionale di solidarietà e lotta del 25 gennaio che ha toccato diverse città italiane:
La solidarietà internazionalista alla guerra popolare diretta dal PCI maoista  è un compito irrinunciabile dei comunisti, dei rivoluzionari, degli antimperialisti del nostro paese.

comitato di sostegno internazionale alla GP in india - milano

pc 28 febbraio - Primo marzo di lotta, contro lo schiavismo e la criminalizzazione dei migranti a Bologna

Primo marzo di lotta, contro lo schiavismo e la criminalizzazione dei migranti

Gli effetti della crisi si sentono sempre di più e tra i più colpiti ci sono i migranti, che sotto il ricatto quotidiano del razzismo istituzionale rischiano di perdere il permesso di soggiorno a causa della Legge Bossi-Fini. Una legge che con la pretesa di legare il permesso di soggiorno ad un regolare contratto di lavoro si rivela cinica e ipocrita: producendo clandestinità, favorendo il lavoro nero e la continua ricattabilità dei migranti.
 Quest'anno la giornata del primo Marzo si accompagna anche alla lotta dei facchini che in questi mesi hanno bloccato i magazzini della Granarolo, denunciando non solo un accordo sindacale mai rispettato ma anche e soprattutto la condizione di sfruttamento che si vive in quel luogo come negli altri magazzini della logistica.
Questa lotta non parla solo ai migranti, ma a tutti noi migranti e italiani: la condizione di sfruttamento e di ricatto si è estesa a tutti, con la cancellazione dei diritti alla tutela del lavoro e del reddito, tra cassaintegrazioni, contratti di “solidarietà”, fino ai licenziamenti di massa.
La stessa costituzione reale dell’Unione Europea sta poggiando sul ricatto di milioni di persone, richiedendo crescenti “sacrifici” solo per salvaguardare i profitti e le rendite di un capitalismo rapace. E’ questa l’Unione Europea, fortezza e prigione, dei trattati Schengen e del programma di Stoccolma, dalla sorveglianza armata Frontex al nuovo Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR).
Il primo Marzo non deve essere la solita manifestazione solidale ma deve rappresentare un passo avanti contro lo sfruttamento, la precarietà della vita e del lavoro, contro il continuo smantellamento dei diritti che ci viene imposto da questa Unione Europea e dai suoi trattati capestro.
Ribellarsi non solo è giusto, ma è anche possibile e necessario.
ROSS@ BOLOGNA

pc 28 febbraio - contro i fascisti a Roma, contro i fascisti in Europa, contro i governi e gli stati dei padroni, che li covano, li foraggiano, li proteggono.. fronte unito e resistenza!

Adunata neofascista “europea” a Roma
I neofascisti europei provano a coordinarsi in vista delle elezioni del 25 maggio. Sentono “l’odore del sangue”, in Ucraina hanno quasi preso il potere, in Grecia viaggiano tra alti e bassi, in Francia i sondaggi danno il Front National col vento in poppa, in Spagna si stanno facendo largo tra i nostalgici del franchismo e la rabbia sociale dovuta ai diktat antisociali imposti dall’Unione Europea. Ma l’adunata europea si farà nell’unico paese in cui ancora stentano a crescere: l’Italia. . Ci hanno provato infilandosi e attivandosi nel movimento dei Forconi, ma è stata una “rivolta”  di piccoli settori della piccola borghesia travolta dall’austerità durata fino a quando le televisioni hanno spento le telecamere.
A ospitare l’adunata il prossimo sabato 1 marzo, sarà l’organizzazione fascista italiana più tradizionalista e “guelfa”: Forza Nuova. I devoti di Sant'Arcangelo hanno scelto come location un hotel – il Pineta Palace - nella lontana zona della Pineta Sacchetti, a ridosso di quella Roma Nord in cui le zone nere sono più consistenti di quelle a Roma Sud. Una iniziativa piuttosto decentrata alla quale parteciperanno esponenti fascisti greci di Alba Dorata (Gregos), del Partito Nazionale Britannico (Griffith) e di Democrazia Nazionale dalla Spagna (Canduela). Forza Nuova mette in tribuna il suo ricchissimo e prolifico segretario Roberto Fiore.Appare difficile che i gruppi neofascisti italiani riescano a raccogliere le 165mila firme necessarie per presentarsi alle elezioni europee. Negli altri paesi gli ostacoli per le competizioni elettorali sono meno rigidi che in Italia. Gli unici che paiono in grado di capitalizzare la rabbia antieuropeista sono i francesi del FN (che però sono fuori dall’adunata neofascista di Roma) e i greci di Alba Dorata che sono già presenti in Parlamento.

pc 28 febbraio - NO TAV - gli sbirri in Valsusa domandano misure eccezionali.. delirio golpista che deve essere stroncato


Val Susa, il delirio del Sap (polizia)

Val Susa, il delirio del Sap (polizia)
Quando dei "poliziotti organizzati in gruppo" - un "sindacato è una cosa del genere, sebbene sui generis - delirano in questo modo, le cose sono due: o c'è uno Stato con la testa sulle spalle, che li prende, li destituisce, li toglie dal servizio attivo e li fa curare da un pool di psichiatri di provata esperienza, oppure bisogna seriamente preoccuparsi.
Chi semina queste stronzate, infatti, sono uomini armati che portano una divisa. Gente che dovrebbe "far rispettare la legge" ma - e lo confessa! - sta "ragionando" (con tanto di consulenti legali) su come darne una "interpretazione creativa", in modo da poter mettere le mani su quelli che considera "nemici belligeranti" (anziché cittadini che protestano esercitando un diritto costituzionale") e far loro ciò che evidentemente hanno in testa da tempo.
Golpisti puri, nazisti appena appena mascherati. Giancarlo Caselli ha fatto scuola, da quelle parti...
Il lancio d'agenzia con il delirio nero su bianco.
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''La diffusione in Valdisusa di manifesti eversivi che rivendicano con orgoglio le violenze e le devastazioni dei mesi scorsi è un reato grave. A nostro avviso si configura, nella migliore delle ipotesi, l'istigazione senza commissione, da cui possono anche scaturire, secondo le norme vigenti, adeguate misure di sicurezza.Per certi No Tav, ad esempio, un po' di sana e ricostituente fatica fisica in una colonia agricola o in una casa lavoro potrebbe davvero essere la soluzione migliore''.
E' quanto afferma Gianni Tonelli, presidente nazionale del sindacato di polizia Sap. Tonelli esprime preoccupazione ''per questa deriva violenta e sovversiva, svariati siti internet e documenti legati al movimento No Tav inneggiano alla lotta armata e all'insurrezione, difendono e giustificano i reati commessi da soggetti accusati di terrorismo e definiscono lo Stato stesso come terrorista. Fino a che punto possiamo tollerare questi comportamenti e questi atteggiamenti straordinariamente negativi, che rischiano di diventare prassi quotidiana, quasi normalità? Non vogliamo apparire corporativi o repressivi, ma si sappia che a pagare il prezzo più alto per queste violenze e devastazioni sono in primo luogo i poliziotti impegnati nei servizi di ordine pubblico''.
''Bisogna fermarli con tutti gli strumenti che leggi ordinarie consentono e anche, se necessario, con misure eccezionali. Con i nostri legali - conclude - stiamo valutando, come sindacato, una serie di azioni da intraprendere nel segno della costituzione di parte civile che già ci vede protagonisti al processo in corso a Torino contro i No Tav che tre anni fa misero a ferro e fuoco la Valdisusa, con 200 agenti feriti''. (Adnkronos)

pc 28 febbraio - con tristezza - ci associamo al saluto a Guccio dei compagni del Centro sociale ASKATASUNA Torino

Per Guccio

Per Guccio 

  • Centro Sociale Askatasuna
Siamo vicinissimi a tutti i compagni che hanno conosciuto Guccio e lottato insieme a lui. Lasciamo a loro la parola, che mai come in questi casi è difficile da trovare.
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Siamo scioccati per quel che è successo. Mai avremmo voluto scrivere queste parole. A sole due settimane dal suo ultimo intervento al coordinamento dei comitati, a poche ore dalla sua presenza nella giornata per la liberazione dei compagni in carcere.
Guccio è stato per noi uno sprone a ripensare continuamente, criticamente, la lotta No Tav. La sua dedizione disinteressata, appassionata e totale è entrata con irruenza e a pieno titolo nella costruzione di un percorso che lui voleva di rottura, forte, indomabile. La sua tenacia, la sua ricerca entusiasta di una pratica e di un pensiero liberi e autonomi, saranno sempre un esempio di determinazione e coerenza per tutti noi.
Entusiasmo: questa è la parola che ci viene in mente nel ricordarlo, increduli, nelle mille avventure di resistenza contro l’occupazione militare della valle, dove era arrivato dalle occupazioni di case a Milano, dagli spazi autogestiti all’Università, da tutte le forme di lotta che hanno permesso ai compagni di quella metropoli, in questi anni, di conquistare spazi di conflitto sociale, seppellendo vecchi percorsi di passività e compatibilità. Tutti sappiamo che è anche grazie ai suoi sforzi che molto di ciò è stato possibile.
La sua presenza ha portato con sé, in valle, la passione di un ragazzo che non ha risparmiato un istante della sua breve esistenza per riportare al centro dell’attenzione – anche a costo di continui confronti e discussioni aspre – la necessità di non separare mai i bisogni della strategia da quelli della libertà; e lo ricordiamo assetato dei momenti in cui talvolta vediamo cessare la separazione tra gioia e rabbia, tra tempi di lotta e tempi di vita; quei momenti dove la sua vita, le nostre vite, hanno trovato e trovano nello scontro frammenti di immediata liberazione.
Guccio, tutti i rivoluzionari ereditano la purezza della tua esperienza vissuta velocemente, senza tregua e senza ripensamenti – fino all’ultimo respiro. Ti salutiamo con dolore e stupore, permettendoci di dirti che persone come te non dovrebbero mai andarsene. Hai deciso di andartene. La valle porterà per sempre in sé il tuo sguardo denso e il tuo sorriso; ma già ti rimpiange. E noi, con lei, ti rimpiangeremo.

Centro Sociale Askatasuna

giovedì 27 febbraio 2014

pc 27 febbraio - FUORI I RAPPRESENTANTI E I LORO DIKTAT DALL’UNIVERSITA’‏ dal Collettivo universitario rivoluzionario palermo

FUORI I RAPPRESENTANTI E I LORO DIKTAT DALL’UNIVERSITA’‏

Lettere
Gli studenti del Cur, collettivo universitario rivoluzionario, prendono posizione contro l’operato delle associazioni rappresentative universitarie, come l’ Udu , che sono in “trattativa” col nuovo consiglio di Struttura della Scuola di Scienze Umane (ex Facoltà di Lettere e Scienze della Formazione) al fine di spazzare ogni voce fuori dal coro, fuori dalle istanze istituzionali dell’università.
Giorno 18 febbraio, al secondo consiglio, i rappresentanti delle associazioni hanno assunto la posizione (condivisa dall’autoritario nuovo Preside della Scuola prof. Cusimano) di attacco: il punto fondamentale di questo consiglio per l’UDU (anziché fare il lavoro che questi soggetti pazientemente raccontano come belle favolette agli studenti durante il periodo elettorale) è la redistribuzione degli spazi della facoltà, a discapito delle realtà organizzate al di fuori del contesto rappresentativo, a favore di quelle che invece ne sono all’interno. All’Udu evidentemente non bastano più gli spazi e i finanziamenti a loro dedicati…Questa manovra sporca e velata dallo “spirito di legalità” ha invece il senso di un attacco agli studenti, a chi realmente vuole creare una lotta studentesca, a chi vuole realmente che gli studenti siano in prima linea e protagonisti attivi dell’università, attraverso l’organizzazione di momenti extracurriculari quali assemblee, cineforum, momenti di propaganda, informazione e costruzione di mobilitazioni contro l’attacco all’istruzione e chiaramente attraverso l’occupazione di spazi che a gli studenti vengono negati. Tanto per fare mente locale, ricordiamo ad esempio che la sospensione del progetto per il parcheggio a pagamento all’interno della cittadella universitaria è stata possibile solo grazie alla lotta degli studenti e NON grazie alle associazioni (alcune delle quali, tra cui proprio l’UDU, non puntavano alla decadenza del progetto ma proponevano rimedi estemporanei o “vie di mezzo” che in ogni caso avrebbero comportato un esborso economico da parte degli studenti). Questo è il senso della creazione di collettivi extraistituzionali: noi non puntiamo ad accaparrare fondi dalle tasche degli studenti come loro, non puntiamo a fare carriera all’interno delle istituzioni universitarie. Riteniamo quindi l’operato dell’UDU  un palese attacco che non può essere giustificato. Lo scopo nella sostanza di queste associazioni è quello di ampliare la propria visibilità, il potere e soldi alleandosi con la figura autoritaria del nuovo preside, visto che non attecchiscono più tra i tanti studenti disillusi e al contempo tentare di bloccare chi non la pensa come loro. Essi portano in piccolo, all’interno dell’università, le peculiarità e le dinamiche di governi, Stati e sindacati confederali (l’UDU è il sindacato studentesco della Cgil, ossia uno di quei sindacati complici nello smantellamento dei diritti dei lavoratori… e la linea del sindacato universitario non può differire), applicando quelle stesse dinamiche nei confronti di chi fa dissenso all’università: anziché occuparsi di ciò che promettono in fase elettorale nei loro megacartelloni affissi in quegli spazi e che a noi “semplici studenti” vengono negati, le associazioni come partiti politici pensano bene di tentare la via del soffocare (col beneplacito dei suoi alleati) quelle realtà scomode che concretamente lavorano per un progetto di cambiamento, per riprenderci quello che ci spetta di diritto, l’università, i suoi spazi, i suoi strumenti per un sapere che sia critico e non dettato dalle loro logiche di profitto.
Per il reale volto di questi sindacati e associazioni universitarie, che portano solo acqua al loro mulino e soldi nelle loro tasche a discapito degli studenti, vittime della distruzione dell’istruzione anche a causa di questi, è bene diffidare sempre e valutare criticamente il loro operato, quale che sia l’iniziativa o l’idea che propongono all’interno delle facoltà, e non sperare di lavorare per gli interessi degli studenti unitamente a loro. Il loro scopo finale è sempre lo stesso: portare avanti il proprio tornaconto infischiandosene degli universitari.
NON VOGLIAMO ESSERE RAPPRESENTATI DA NESSUNO! BASTA CON LA DELEGA AI RAPPRESENTANTI! FUORI LE LOGICHE PARLAMENTARI E DI POTERE ALL’UNIVERSITA’!!!

pc 27 febbraio - LETTERA AI MIEI STUDENTI INDIANI. A PROPOSITO DEI MARO'

Lettera ai miei studenti indiani sugli effetti linguistici dei colpi 

d’arma da fuoco partiti dal ponte di una petroliera italiana

  • Mercoledì, 26 Febbraio 2014 22:13
  • Alberto Prunetti *
Care ragazze, cari ragazzi,
per svariati mesi sono stato il vostro insegnante di italiano tra Mumbai e Bangalore. La maggior parte di voi veniva dal Kerala. Alcuni dei vostri genitori erano pescatori. Ricordo i sacrifici dei vostri familiari, che speravano di regalarvi un futuro con una laurea in infermieristica e un corso di italiano. Ricordo che l’Italia e l’Europa rappresentavano ai vostri occhi la possibilità di una svolta nella vostra professione e nelle vostre vite.
Ricordo  anche che, come tutti gli studenti, l’uso delle preposizioni italiane vi metteva in difficoltà.
Per presentarvi, dicevate: “Sono nato a Kerala”. Io allora spiegavo che la regola grammaticale vuole l’uso della proposizione “in + nome dello stato” e “a + nome di città. Per questo si dice “Sono nato in Italia” e “Sono nato a Roma”. Dato che il Kerala è uno Stato (l’India è una confederazione di Stati, come gli Usa per capirci) si deve dire: “Sono nato in Kerala, a Trivandrum”, come si dice “Sono nato in Colorado, a Boulder”.
Capirete il mio stupore e la mia tristezza, dopo l’assassinio dei due pescatori Valentine Jalestine e Ajeesh Binki, colpiti da colpi d’arma da fuoco provenienti dalla petroliera Enrica Lexie (è un dato di fatto: le istituzioni italiane hanno già versato un indennizzo ai parenti delle vittime in un accordo extra-giudiziario di cui si parla poco nel bel paese). Dopo questo tragico episodio, all’improvviso gli italiani hanno scoperto l’esistenza del vostro mare e hanno cominciato a dire: “Il nostro ambasciatore” oppure “l’inviato del governo”… “è andato a Kerala”. L’hanno fatto tutti, da chi allora era a capo del governo, ai direttori dei più prestigiosi telegiornali.
Hanno sbagliato, dimostrando la propria ignoranza di almeno una di queste realtà:
-l’India;
-la grammatica italiana;
Probabilmente entrambe, direi.
Purtroppo però voi, ascoltando questi importanti opinionisti, potreste pensare che devo aver sbagliato io. Che non ero un buon insegnante. Perché io vi dico una cosa e quelli che contano mi contraddicono. E poi in fondo sono solo un insegnante di italiano – anzi, un ex insegnante – e probabilmente ho meno autorevolezza ai vostri occhi di un direttore di un Tg o di un capo del governo.
Ma la realtà, cari studenti, è che la ragione se la prende chi impugna un fucile o chi usa le parole come se fossero armi. Perché può raccontare le cose come più gli conviene. Come quei fatti di cronaca definiti eroici quando nella migliore delle ipotesi sono un tragico errore. Come le preposizioni usate a caso.
Io però qualche consiglio linguistico ve lo do lo stesso.
Su aggettivi e pronomi possessivi: diffidate da chi eccede nell’uso dei possessivi. “La nostra lingua”, “la nostra religione”, “i nostri marò”, “la nostra patria”. Servono a alimentare un immaginario condiviso, dietro costrutti identitari, per nascondere divisioni più importanti. Questa retorica della condivisione è sempre più diffusa, in italiano. Come del resto da voi. Ma prestate attenzione alla retorica. Guardate cosa c’è dietro. Si parla di “uomini di mare” con un termine-ombrello che ha una denotazione troppo ampia. Anche sul mare, non esistono solo “uomini di mare”. A un tiro di schioppo, sul vostro mare pieno di pesce e di reti cinesi, si sono trovati vicini inermi pescatori e soldati in funzione di contractor armati, che rivendicano il diritto di sparare a difesa del petrolio e delle merci occidentali. Quel petrolio maledetto che si paga in dollari e in vite umane. Quegli “uomini di mare” tanto diversi, in realtà sono stati per un istante uniti da una sola cosa: la traiettoria di un proiettile. Non si possono mettere sotto uno stesso termine, “uomini di mare”, chi difendeva le merci occidentali su rotte coloniali, guadagnando in un giorno quello che i  vostri genitori guadagnano in un anno, e chi è morto per portare il pane e il pesce sulla tavola dei propri figli. Non fatevi ingannare dalla retorica degli “uomini di mare”. Voi conoscete l’opera di Jack London e sapete  che un mozzo non è un capitano.
Un’altra parola controversa, che in classe non abbiamo mai usato, è questa: “terrorista”. Ne capite il significato ma non comprendete il campo di denotazione. Io sono più confuso di voi. Con buona ragione, le autorità italiane si stanno battendo perché l’accusa di terrorismo non cada sulle spalle dei due marò. Capisco il vostro stupore di fronte al fatto che in Val di Susa quattro giovani no tav sono stati accusati da una procura italiana dello stesso reato. Anche loro sono considerati terroristi, eppure non hanno ucciso dei pescatori, ma pare che siano accusati del danneggiamento di un compressore. Insomma, mi sembra che bisogna precisare meglio i campi di denotazione e la profondità semantica di alcuni termini appartenenti al lessico italiano, per non dare l’impressione che un compressore valga più della vita di due pescatori indiani.
Avrei tante cose da dirvi, ma tante altre dovrei dirle ai miei connazionali che si fanno bombardare da parole prive di idee nei telegiornali. Parole che fanno gonfiare il petto ma svuotano la testa. Informazione o propaganda? Comunicazione o rumore martellante che solletica le emozioni più viscerali degli italiani? Espressioni ben composte grammaticalmente che però rimandano a assurdità nel campo della referenza. L’espressione “Pirati in Kerala”, ad esempio, grammaticalmente ben formata, ha lo stesso valore delle “idee verdi senza colore che dormono furiosamente”, di cui parlava un altro professore, ben più importante di me: Noam Chomsky. Perché in Kerala i pirati compaiono solo sugli schermi dei vostri splendidi cinema. Ma qui si entra nel campo della logica e il vostro teacher preferisce non avventurarsi tanto al largo nel mare delle idee chiare e distinte. Non vorrei che prendessero per pirata anche me.
A proposito: degli effetti linguistici di quegli spari ne ho parlato sopra, di quelli pragmatici non ne vuole parlare nessuno. Jalestine e Binki sono morti, dopo quegli spari. Quanti italiani si ricordano i loro nomi? Se mai tornerò a farvi lezione, vi proporrò un’unità didattica con due canzoni dedicate ai pescatori, una cantata da Fabrizio De André e l’altra da Pierangelo Bertoli (lo so che vi annoiate con la musica italiana, ma che ci posso fare?). Meritano di essere didattizzate, innanzitutto perché si prestano per illustrare il modo imperativo e il tempo futuro, poi perché ogni volta che le ascolto mi viene in mente una banalità: che un soldato può diventare un eroe, ma un pescatore quando non torna a casa viene dimenticato.
Un ultimo punto. Quello della condanna. Che poi è linguaggio anche quella, è un atto linguistico sia l’imputazione che la sentenza, un atto linguistico con conseguenze pragmatiche. Qui si parla tanto di condanne e pene. Io credo che il carcere, come la bacchetta dei professori di un tempo, non serva a nulla e credo anche che le vite umane non si tolgono, né con la corda né con il fucile. Immagino però che da qualche parte, in quelle migliaia di pagine di epica e di leggende e nei film e nelle canzoni dei pescatori del Kerala che avete invano cercato di insegnarmi – che pessimo studente di malayalam sono stato… – ci deve essere la soluzione anche per questa cosa dei marò, per uscirne bene oltre quel polverone sollevato dai media e dalle retoriche nazionaliste, che rende tutto più avvilente e incomprensibile. Nei panni di chi ha sparato dal ponte della petroliera Enrika Lexie, chiederei di essere condannato a costruire asili per gli orfani del Kerala. E chiederei che invece di comprare costosi bombardieri F35, il ministero della difesa italiano usi una parte di quei soldi per costruire delle scuole in Kerala (non “a Kerala”, cari ministri).  E che invece di spedire militari e diplomatici, l’Italia accolga degli infermieri del Kerala nei propri ospedali e li paghi correttamente. E che i due paesi attivino dei programmi di scambio tra studenti e delle borse di studio, pagati dal ministero italiano della difesa, visto che nel paese di Marco Polo anche gli opinionisti della televisione pensano che l’India sia un paese di fachiri (e io credo che voi in Kerala non abbiate mai visto un fachiro, giusto?). E che i fucilieri che hanno sparato contro i pescatori facciano la mattina il muratore e il pomeriggio l’insegnante di italiano in una scuola del Kerala, che forse a quel punto in omaggio ai “nostri insegnanti” il ministero si degnerà di riconoscere la professionalità degli insegnanti di italiano LS/L2. Poi la pena continuerebbe la sera: dopo aver mangiato un thali di riso sulle foglie di banano, che non c’è niente più sano e gustoso, i nuovi professori diventerebbero studenti per imparare la vostra lingua, il malayalam. Liberi di muoversi in Kerala e di ricevere visite, dovrebbero vivere come i pescatori e conoscere l’uso delle reti cinesi, che sorgono maestose a Kochi. Se vi sembra una pena leggera mettersi nei panni di un muratore o di un insegnante, pensate che un militare italiano in funzioni di contractor per un armatore privato sui vostri mari guadagna 467 euro al giorno, un insegnante di italiano all’estero su un progetto non ministeriale, a parità di latitudine, è pagato circa 40 euro al giorno, mentre un pescatore o un muratore indiani vivono sotto la soglia della povertà del vostro stesso paese, sudando per poche rupie dall’alba al tramonto.
La pena poi dovrebbe essere linguistica, ovvero condizionata alla scrittura di una canzone in malayalam che parli dei frutti del mango e del sorriso delle ragazze di Allepey. Una di quelle canzoni che, costretto da voi, ballavo con poca maestria. Un giorno allora, dopo aver imparato il malayalam al punto di saper scrivere una canzone con le parole della lingua di Jalestine e Binki, quel debito con la terra dell’acqua e del riso sarebbe estinto e chi ha sparato contro dei pescatori sulle acque del Malabar sarebbe libero di tornare nel paese dove è nato. O di rimanere, se fosse felice di quella nuova vita.
A patto di non cantare mai quella canzone a Sanremo.
Probabilmente queste mie parole risulteranno naif a voi e poco patriottiche alle orecchie dei miei connazionali. Ma io non sono un fuciliere né un diplomatico, non amo né le armi né le galere e leggo troppi libri. Dico solo che da insegnante io il caso Jalestine e Binki, che qui – ennesimo errore linguistico – chiamano “il caso marò”, l’avrei già risolto così, da tempo.
Forse le cose andranno in un altro modo.
In ogni caso vi abbraccia il vostro insegnante di italiano, vostro allievo di tante giornate indiane, che con queste righe si toglie un rospo dalla gola (è una metafora, non prendetela alla lettera) e vi ricorda per l’ennesima volta che non dovete alzarvi quando il prof entra in classe.
Alberto
Da carmillaonline - 25 febbraio 2014