martedì 23 settembre 2014

pc 23 settembre - ADRIA - una strage operaia annunciata

diffusione a cura della rete nazionale sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio

In merito alla ennesima strage di Adria valgono, purtroppo, considerazioni già fatte troppe volte.
La strage deriva, come in molti altri casi simili, dalla mancata osservanza delle più elementari norme in materie di lavori in cisterna e in presenza di prodotti chimici pericolosi.
Non c'è bisogno di ricercarle nel D.Lgs.81/08 o nel D.P.R.177/11 (spazi confinati). C'erano già nel D.P.R.547/55... Non andava inventato niente di nuovo.

L'inosservanza delle norme avviene perché:
-       conviene economicamente alle aziende, a fronte di risparmio di costo del lavoro (appalti, subappalti), riduzione dei tempi di lavoro, mancata definizione, applicazione, controllo di procedure, mancato utilizzo di prodotti chimici meno pericolosi, ma più costosi, mancato acquisto di DPI, mancata erogazione della formazione;
-         la tutela della salute e sicurezza delle aziende è sempre di più vista non come un percorso tecnico che, partendo da analisi dei cicli lavorativi e da valutazione dei rischi, porti a misure concrete di prevenzione e protezione, ma come un “fare carta” (i famigerati Sistemi di Gestione...) con il solo obiettivo di deresponsabilizzare il management e colpevolizzare il lavoratore vittima (e quando si parla di “errore umano” non si fa altro che colpevolizzare il lavoratore...);
-         mancano o sono enormemente carenti strutture pubbliche di controllo dell’applicazione delle norme ed esse sono politicamente pilotate o limitate nelle loro possibilità di agire da forti interessi politici (i direttori delle ASL e delle ARPA sono eletti dai partiti...), collusi con gli interessi economici delle aziende pubbliche e private;
-         sono complici e colpevoli quei consulenti (ingegneri, medici, tecnici) pagati dalle aziende e che collaborano con loro non con la finalità di proteggere i lavoratori, ma di fare i biechi interessi dell’azienda (e quindi loro personale);
-         il ruolo degli RLS è sempre di più visto come l’adempimento formale di obblighi normativi eseguiti su carta, ma non nella sostanza, con ruolo di accondiscenda rispetto alle scelte aziendali; quei RLS che cercano di fare veramente battaglia sono combattuti dalle aziende che fanno il possibile per isolarli o allontanarli;
-         i sindacati, spesso collusi e complici delle aziende, (salve ormai qualche poca eccezione e sempre più spesso a livello personale piuttosto che di organizzazione) non fanno assolutamente niente per fermare la strage: a quando ad esempio uno sciopero generale contro la mancanza di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro;
-         la sempre maggiore precarietà del lavoro rende i lavoratori troppo succubi delle aziende e ricattabili per poter fare valere i propri diritti sul diritto al lavoro e al lavoro salubre e sicuro;
-         le sanzioni per le inosservanze delle norme sono ridicole (poche migliaia di euro nei casi peggiori), le pene detentive in caso di lesioni od omicidio sono parimenti non proporzionate alla gravità dei fatti, la rubricazione degli omicidi sul lavoro come omicidi colposi, vanifica del tutto ogni forma di deterrenza (quanti processi sono finiti in prescrizioni o con pene risibili, sospese in condizionale?).
-         manca cultura della salute e della sicurezza, manca informazioni, manca consapevolezza dei propri diritti, colpevoli di questo oltre le aziende (e ci mancherebbe...), anche sindacati, partiti, mezzi di informazione.
Tutto questo crea le condizioni perché le aziende e i loro complici attuino di fatto la SOSPENSIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE E ALLA SICUREZZA dei lavoratori (come quello dei cittadini).
NEI LUOGHI DI LAVORO SI VIVE ORMAI NELLA COSTANTE, ACCETTATA, CONSOLIDATA ILLEGALITA’!
Ultima osservazione e anche autocritica.
Smettiamo si parlare di morti di lavoro solo quando le stragi diventano “mediatiche”, come quella di Adria!!!
Molto cinicamente osservo che con i morti di Adria siamo perfettamente “in media” (quattro morti accertati al giorno per infortunio sul lavoro). E allora perché meravigliarsi solo ora e tacere tutti gli altri giorni?
Di morte sul lavoro e per il lavoro dobbiamo parlarne tutti i giorni, ma non solo per piangerli.
Soprattutto per analizzarne in maniera critica le cause, come quelle sopra accennate, e cercare di portare battaglia (con le poche forze che ci restano) per ridurre o limitare (non dico certo eliminare) queste cause.
La strage non finirà. Ma ogni lavoratore strappato alla morte, al’infortunio, alla malattia  è già una vittoria.
Marco Spezia

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