lunedì 22 settembre 2014

pc 22 settembre - Turchia - dopo elezioni e situazione politica, intervista a Mucadele - giornale di ATIK - associazione dei lavoratori turchi all'estero

Intervista a un redattore di Mucadele

pc – Vorrei che iniziassimo presentando la situazione del movimento operaio in Turchia e all’estero, che Atik organizza in questo momento e del passaggio che rappresentano per esso le elezioni presidenziali di questi giorni.

Mucadele – La situazione della Turchia non può essere separata de quella della regione del Medio Oriente. Per comprendere le contraddizioni che muovono la situazione in Turchia occorre inquadrarle nel contesto delle contraddizioni che attraversano la regione.
Dalla parte della reazione, nel breve e medio termine il contesto è determinato dal progetto di grande MO degli imperialisti USA.
In funzione di questo piano, è stato necessario realizzare in Turchia il passaggio dalla tradizione kemalista, che esercitavano un potere dittatoriale dagli anni 70, a un modello di “democrazia islamica” esportabile in tutta la regione, come alternativa alle “primavere arabe”.
Le classi dominanti turche, legate all’imperialismo, che fino a 20 anni fa si riconoscevano e facevano blocco intorno ideologia laico-sciovinista kemalista e alla forze, in primis l’esercito, che l’incarnavano, oggi hanno scelto la “democrazia islamica” di Erdogan.
La chiave del successo del progetto USA e di Erdogan sta nel perdurare dell’egemonia nel paese di un’ideologia reazionaria e tradizionalista che, pur cambiando forma, ha mantenuto la sua essenza. A questo cambiamento. Pur restando la sostanza, le relazioni di dipendenza dall’imperialismo, il cambiamento di forma politica ha reso necessario anche un drastico avvicendamento di uomini, Via via, tutti i vertici delle istituzioni, la burocrazia e, in particolare, le gerarchie militari sono state epurate degli elementi reazionari laici e kemalisti che tradizionalmente le dominavano. La Operazione “Ergonica” del 2005-2006, che ha decapitato l’esercito col pretesto di prevenire un colpo di stato militare, è la punta più evidente di un processo durato due decenni che ha rimosso chiunque fosse di ostacolo al nuovo corso.
Un processo che ha preso il via all’epoca della prima guerra all’Iraq, quando, per trarre il massimo vantaggio dalle contraddizioni nella regione, le gerarchie militari laiche negarono l’uso della basi in Turchia per l’invasione da terra delle truppe alleate, che passarono dal Qatar. Fu allora che iniziò il processo oggi sancito dall’elezione di Erdogan.
Sul piano sociale, tutto questo periodo di affermazione della “democrazia islamica” è segnato dall’applicazione di politiche neoliberiste e dall’avvio dei “colloqui di pace” col movimento indipendentista curdo.
Nei 12 anni di governo AKP ci sono state pesanti privatizzazioni, deregolamentazioni selvagge che hanno imposto in tutti settori dell’economia il regime di appalti, che hanno profondamente minato la posizione dei sindacati in Turchia, che, pur essendo sindacati “gialli” sono stati travolti dalla polverizzazione del sistema dell’appalto.
Questo ha reso ancora più difficile la situazione per il movimento dei lavoratori, ma si sbaglia chi vede tutto nero. In questi anni durissimi ci sono state tantissime lotte prolungate, con scioperi durissimi che alla fine hanno anche vinto. Tuttavia è innegabile che queste non si sono estese né hanno avuto impatto a livello nazionale generale.

pc – In questi contesto si colloca anche la grande esplosione della rivolta di Gezi Park. Che cosa resta oggi di quel grande rivolgimento?

Mucadele – Quello è stato il più grandioso movimento di opposizione dai tempi del colpo di stato militare. Milioni di persone in centinaia di città grandi e piccole attraverso tutto il paese sono scese nelle strade, hanno fatto blocchi, si sono scontrati con la polizia. Durante gli anni della dittatura e da ultimo del dominio dell’AKP tra le masse si sono andate accumulando paura e rabbia. La scintilla di Gezi Park ha dato fuoco alla rabbia e bruciato la paura. E questo dato, la fine della paura, rimane e la vittoria di oggi di Erdogan non riporta indietro la situazione.
Perché questo non ha prodotto un cambio di governo come, ad esempio, era accaduto prima in Egitto? La risposta ci riporta ai piani USA e al progetto di grande MO. A differenza che in Egitto, dove l’esercito non è intervenuto per soffocare la rivolta, In Turchia, dove come detto, le gerarchie militari erano già state pesantemente epurate, l’esercito non ha voluto pilotare un cambio di governo per poi assumere il potere con un colpo di stato per sbarazzarsi di Erdogan, ma anzi già il secondo giorno di rivolta è intervenuto per proteggerlo. Gli imperialisti non avevano interesse a un cambio di governo, come in Egitto, ma ad affermare un nuovo modello da esportare nella regione. D’altra parte, in Turchia, l’esercito non è un mero strumento di dominio nelle mani delle classi dominanti ma è esso stesso un pezzo del sistema di potere di quelle classi, che oggi sono in maggior parte dalla parte di Erdogan.
Come già detto, ciò non toglie che la fine della paura nel popolo resta uno degli effetti a lungo termine e irreversibili di quel grande movimento e resistenza. Il 55% per l’AKP non dimostra affatto il contrario.
Prima della rivolta, solo i rivoluzionari osavano scendere in piazza in Turchia. Oggi tanti, tutti, lo fanno, ognuno con le proprie rivendicazioni e forme di organizzazioni, non voglio dire che sono tutti per il socialismo o rivoluzionari. Ma la paura è finita ed finito l’isolamento e la diffidenza verso i rivoluzionari. Indietro, su questo, non si può più tornare. Ciò è stato possibile grazie al ruolo che i rivoluzionari hanno saputo svolgere in quei giorni, combattendo in prima linea, insegnando e guidando le masse nello scontro con la polizia e l’esercito e conquistandosi il diritto a prendere la parola. Da allora, ogni volta che la polizia attacca le manifestazioni, non trova più solo gente scappa, ma gruppi organizzati e attrezzati per resistere. Assieme alla dimensione del movimento di massa, sono cresciute molto anche la capacità di mobilitazione delle organizzazioni rivoluzionarie e la loro base di massa.

pc – Vogliamo passare a un’analisi più in dettaglio delle elezioni.

Mucadele – È ancora troppo presto per esprimere una valutazione generale a nome di ATIK. Certamente possiamo dire che il fatto nuovo presentato da queste elezioni è che per la prima volta vi hanno potuto partecipare quelli che fino a ieri erano banditi da ogni forma di presenza politica, i curdi. Se in parte questo è un risultato di anni di lotte rivoluzionarie dei curdi, non la si può considerare certo una vittoria, essa più frutto di un cambio di posizione, il passaggio dall’opposizione senza quartiere al sistema alla “speranza” che il sistema riconosca l’autonomia in seno allo Stato turco e la conseguente entrata nella competizione politica. Di questo è frutto, non della lotta armata del popolo. I tanti voti raccolti dal candidato curdo, circa il 10% su base nazionale, sono una vittoria per il regime, non per i curdi, per noi la situazione del movimento di liberazione oggi non è affatto migliore di ieri grazie a questo risultato, anzi.
Circa la campagna di boicottaggio lanciata da alcune forze rivoluzionarie, non si deve valutarne il successo contando il dato dell’astensione. Non era una campagna volta ad avere impatto del voto delle voto delle masse. Erano elezioni presidenziali, volte a sancire il predominio sullo stato tra le varie fazioni della classe dominante, non avevano un impatto diretto sulla vita quotidiana delle masse. La campagna per il boicottaggio era piuttosto una campagna ideologica e politica contro il riformismo e le forze che puntavano a integrare la lotta popolo curdo nel sistema politico riconosciuto, per combattere l’influenza del riformismo tra le masse e approfondire la lotta in seno a forze che una volta erano rivoluzionarie. Il loro risultato elettorale oltre a confermarne l’insipienza, conferma che sempre più perdono influenza.
In prospettiva si può dire che la vittoria di Erdogan è tuttora illusoria. Le contraddizioni con i laici kemalisti e l’estrema destra fascista restano, la loro forza relativa anche e resta difficile continuare a governare senza di loro, anche per problemi di leadership interna che il cambio di ruolo di Erdogan apre. Sono fattori di crisi, in prospettiva.
Anche il 10% raccolto dal candidato curdo è un successo illusorio, non si vede quale prospettiva possa aprire per il popolo curdo. Anche questa contraddizione è destinata a crescere, in prospettiva.
Quel che è certo è che il dominio AKP e il progetto imperialista di cui è parte vanno avanti, ma con essi anche la rabbia del popolo crescerà e senza più paura.

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