martedì 19 agosto 2014

pc 19 agosto - La guerra è "la continuazione della politica con altri mezzi", "la soluzione alla crisi del capitale", un grande affare: Il governo italiano usa "Un surplus bellico che viene usato per la nostra politica estera"...

http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/08/18/news/il-bazar-delle-armi-italiane-1.177233?ref=HEF_RULLO

L'arsenale nascosto dell'Esercito
Nel bazar delle armi italiane

Il governo Renzi studia come sostenere i combattenti curdi contro l'avanzata del califfato. Ma nei magazzini dell'Esercito ci sono migliaia di mezzi militari accatastati. Un surplus bellico che viene usato per la nostra politica estera. Con molta discrezione

Uno squadrone di semoventi in Africa, una manciata di autoblindo in Libia, un po' di cingolati in Libano, qualche elicottero qui e là. È da un decennio che l'Italia ha una sua strategia dell'usato bellico, regalando armi di seconda mano per cercare di costruire legami internazionali. Con l'obiettivo mai nascosto di riuscire poi a sostituirli con nuovi armamenti made in Italy.

Il governo di Roma infatti ha in mano un arsenale colossale, creato dalle dismissioni delle nostre forze armate. I trattati internazionali sul disarmo in Europa dei primi anni Novanta hanno fatto finire in magazzino una quantità sterminata dicannoni, carri armati, veicoli cingolati, semoventi. A questi si sono poi aggiunti i materiali in eccesso per il taglio di organici della nostra Difesa. E mentre le altre nazioni occidentali hanno fatto di tutto per sfruttare questi giacimenti, vendendo i mezzi più moderni e trasformando gli altri in rottami da fondere, noi continuiamo a mantenere obici e tank in riserva: non buttiamo mai nulla. Stando alle statistiche ufficiali, ci sono più di 1100 carri armati e 3000 veicoli corazzati da combattimento "in naftalina": una quantità superiore a qualunque altra nazione europea.

Alcuni sono mezzi obsoleti: i vecchi Leopard della prima serie, i tank M-60 o le versioni più arcaiche del blindato trasporto truppe M-113. Altri invece potrebbero ancora trovare acquirenti sul mercato, come i Leopard modernizzati a metà anni Novanta con torrette e cannoni comprati in Germania; i semoventi quadrinati da 25 millimetri, le blindo Puma tolte dalla prima linea dopo i problemi in Afghanistan e persino un centinaio di carri armati Ariete di penultima generazione. Ma l'assenza di una legge chiara sulla commercializzazione dei surplus bellici e il disinteresse dei governi ha impedito finora di trovare una maniera per valorizzare questa armata incagliata. Così nei depositi militari si accatastano ondate di mitragliatrici, mortai, artiglierie ma persino cacciabombardieri ed elicotteri. Nel 1996 vennero riscoperti ventimila mitra Franchi, dimenticati da un ventennio: una parte fu rimessa in servizio per la spedizione tricolore in Bosnia. E pochi anni dopo spuntarono casse di fucili Lee Enfield, forniti dagli Alleati nel 1944, che la Marina rispolverò per qualche cerimonia. Ma nei bunker c'é veramente di tutto: dai fucili d'assalto Fal ai mitra Beretta Mab, dai cannoni a tiro rapido Fh70 ai cannoncini antiaerei Bofors.



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Ogni tanto, qualcuno si ricorda delle potenzialità di questo arsenale e cerca di farne strumento di politica estera. Intorno al 2001 il governo Berlusconi donò un centinaia di blindati M-113 al Libano assieme a uno stock di uniformi: i soldati di Beirut che nel 2006 cercarono di fronteggiare l'invasione israeliana indossavano gli stessi elmetti dei fanti di El Alamein. Poi è stata la volta della Giordania a cui abbiamo donato una manciata di Centauro, un ibrido tra autoblindo e carro armato che era piaciuto molto al sovrano di Amman: il re Abdallah volle provarlo personalmente durante un'esercitazione nel deserto. Qualche centinaio di M-113 sono finiti in Pakistan, come viatico per il transito delle colonne italiane che rifornivano il contingente schierato in Afghanistan. Quindi è stata la volta dei dieci obici semoventi M-109 - ne abbiamo centinaia parcheggiati ad arrugginire - regalati allo staterello di Gibuti in cambio della possibilità di costruire una nostra base operativa nel Corno d'Africa.

In altri casi, c'è stata l'offerta di "usato sicuro" italiano per incentivare lo shopping di sistemi di nuova produzione. Ad esempio, gli elicotteri Agusta consegnati a Malta e all'Albania. Nei primi anni duemila la liason tra Berlusconi e Chavez sembrava prossima a fornire al Venezuela i cacciabombardieri Amx dismessi dall'Aeronautica ma le pressioni americane hanno bloccato la trattativa: Finmeccanica ci avrebbe guadagnato con la modernizzazione dei jet. Nel 2012 alla Colombia erano stati proposti i tank Leopard più moderni come gadget per l'acquisto dei nuovi Freccia prodotti da Iveco e Oto-Melara. Accordi simili sono stati paventati al Perù e alle Filippine. Mentre il top resta la cessione gratuita dei pattugliatori della Guardia Costiera a Panama sulla scia delle relazioni intessute da Valter Lavitola per conto della corte berlusconiana. In tempi più recenti, poi, c'è stato l'omaggio di una ventina di blindo Puma al nuovo governo libico, con relativo addestramento degli equipaggi: chissà con quale delle fazioni tripoline staranno combattendo oggi.

Adesso il dibattito sul sostegno ai curdi ha evidenziato un problema nuovo. I peshmerga a cui l'Occidente si affida per fermare l'avanzata del califfato islamico sono abituati a maneggiare arsenali di progettazione sovietica: dai mitragliatori kalashnikov ai razzi Grad. I nostri depositi invece sono zeppi di materiale in eccesso che segue gli standard della Nato: dai fucili ai cannoni, i calibri sono diversi e spesso cambiano anche i congegni di sparo. Quindi bisognerebbe fornire ai curdi anche le munizioni e insegnargli ad utilizzarli. Una soluzione di cui si sta discutendo in queste ore è di impiegare una santabarbara leggendaria: i trecento container di armi sequestrate nel 1994 a bordo della Jadran Express, una nave maltese intercettata dalla Marina Italiana durante la guerra nella ex Jugoslavia mentre era diretta nei porti croati. Una scorta che comprenderebbe 30 mila kalashnikov con 32 milioni di pallottole, 50 lanciatori Grad con cinquemila razzi, 400 missili controcarro AT4 Spigot, 400 lanciarazzi Rpg con 11 mila proiettili. L'ideale per potenziare la resistenza curda.

Voci mai confermate, nonostante diverse interrogazioni parlamentari, sostengono che parte di questo arsenale fu consegnato nel 2011 ai miliziani di Bengasi che si erano ribellati al regime di Gheddafi, nel tentativo del governo Berlusconi di svincolarsi dall'antica alleanza con il dittatore di Tripoli. E la decisione di mettere il segreto di Stato sulla vicenda sembra un'implicita conferma alla partenza di molti di questi ordigni verso la Libia.

Ma i magazzini dell'Esercito sono talmente vasti da offrire un'alternativa che potrebbe interessare ai peshmerga: i missili controcarro Tow, di fabbricazione americana e utilizzati in passato anche dai combattenti curdi. Le nostre forze armate li stanno rimpiazzando con gli Spike comprati in Israele e centinaia di lanciatori Tow delle prime serie sono già disponibili. Ai curdi potrebbero fare molto comodo per colpire le jeep corazzate dell'Isis che - ironia della sorte - sono quelle fornite dagli americani al governo di Bagdad e finite nelle mani dell'armata fondamentalista.



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