lunedì 23 giugno 2014

pc 24 giugno - Gli armadi dei padroni di Confindustria sono pieni zeppi di scheletri... altro che vittime!

Rispetto agli scheletri ci limitiamo in questa sede al caso riportato dalla Repubblica di oggi che nell'inserto Affari&Finanza ricorda ai padroni che non hanno nessun diritto di rivendicare un “paese normale” e prende in esame in particolare il “falso in bilancio” che per forza di cose, e cioè, i continui “scandali” di ogni tipo che toccano i rappresentanti della borghesia, è tornato all'ordine del giorno. Infatti, in particolare dopo gli scandali Expo e Mose “l’establishment politico economico annuncia e invoca all’unisono urgente bonifica.” E “ Dopo numerosi rinvii, il governo fissa per lunedì 30 giugno il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare l’attesa riforma della giustizia, comprensiva delle revisioni della legge penale che non sono finite nel pacchetto «super-poteri» al commissario Raffaele Cantone.”

Dopo omertosi ritardi – ci ricorda il giornalista - la Confindustria chiede tolleranza zero contro i corrotti e norme severe contro i mazzettari che alterano la concorrenza e danneggiano le imprese.”

Ma in questa tardiva e corriva riscoperta del principio di legalità c’è un aspetto che tradisce una coda di paglia lunga giusto un paio di decenni. Almeno per la parte che riguarda l’etica del capitalismo, una delle leggi più scandalose è quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio. La volle Berlusconi, naturalmente, che da premier imputato è intervenuto sul tema ben tre volte: con legge delega del 3 ottobre 2001, con decreto legislativo dell’11 aprile 2002, con legge ordinaria del 28 dicembre 2005. Mossa felicissima per lui (gli ha consentito di evitare la condanna in almeno 5 processi). [I padroni le leggi se le sanno fare e come!]
Ma mossa utile per tutti (da allora non esiste in Italia un solo caso di imprenditore condannato in via definitiva o multato dal Prefetto per il reato di falso in bilancio). Dunque, ecco la coda di paglia. La scopre proprio il presidente dell’Autorità anticorruzione Cantone, che giovedì scorso a Napoli tuona: «Il falso in bilancio è stato depenalizzato perché una parte rilevante dell’imprenditoria italiana voleva che fosse così». La depenalizzazione, ha aggiunto, non è stata solo «un’operazione politica» voluta dall’ex Cavaliere, perché «quella norma è stata accolta con entusiasmo da pezzi significativi della classe dirigente». Oggi è troppo facile buttare tutto intero il peso della croce sulle spalle del condannato di Arcore. Prima è necessario che l’elitè spalanchi i suoi armadi, e tiri fuori i suoi scheletri. La battaglia degli industriali contro il falso in bilancio risale addirittura al 17 aprile 1997, quando ben 45 tra i più bei nomi dell’imprenditoria italiana scrivono una lettera aperta al Sole 24 Ore, chiedendo una norma che escluda «dal perimetro delle responsabilità operative i fatti che abbiano una rilevanza marginale rispetto alle dimensioni dei conti dell’impresa». Quella missiva la firmava gente come Antoine Bernheim e Ennio Doris, Luigi Lucchini e Alfio Marchini, Letizia Moratti e Andrea Riffeser. Da allora le pressioni non si sono più fermate. Fino al traguardo finale, tagliato «con successo» nella legislatura berlusconiana 2001/2005. Questa è la storia. Ognuno ne tragga il suo bilancio. Possibilmente vero.”

Nessun commento:

Posta un commento