venerdì 14 marzo 2014

pc 14 marzo - Governo Renzi - per un dibattito - un incontro a napoli per analizzarne la natura

Renzi: buon viso a cattivissimo gioco. Qualche riflessione sul nuovo Governo

Il 26 Febbraio, a pochi giorni dall'insediamento del nuovo governo Renzi, all'Università L'Orientale, abbiamo organizzato un'iniziativa di discussione con Giuseppe di Marco, professore della Federico II, Francesco Piccioni de Il manifesto, Giuseppe RSU del Comune di Firenze e un compagno del Clash City Workers di Firenze che ha seguito le vicende dell’Ataf.
Nel corso del dibattito, dagli interventi degli ospiti sono emerse questioni centrali rispetto sia alla specificità di questo governo sia alla fase politica generale che stiamo affrontando.
Il nostro intento era quello di analizzare le diverse sfaccettature del "fenomeno" Renzi - dal recente passato da sindaco di Firenze a segretario del Pd, fino ad arrivare alla formazione della nuova squadra di governo.
A mente fredda, proviamo ad isolare quelli che secondo noi sono elementi chiave per contribuire al dibattito politico troppo spesso ridotto alla dimensione dell' "inciucio" o schiacciato sul piano strettamente mediatico e che rischia, in questo modo, di non arrivare mai al cuore della questione, ponendo limiti enormi anche al nostro agire, alla risposta che saremo in grado di dare. Il rischio, insomma, è di fermarsi all'apparenza senza indagare di fatto quello che realmente si muove nella società: lo scontro tra gli interessi materiali delle varie parti che la compongono, che determina - in ultima istanza - le azioni di governi e rappresentanze politiche. Per fare questo, partiamo proprio dal modo in cui Renzi si presenta e viene proposto al "grande pubblico": l'uomo che ci mette la faccia, l'uomo simbolo del governo del fare. Ed è così che assistiamo alla messa in scena di una verità e di una bugia. Se è vero, infatti, che i governi ci mettono la faccia - e più precisamente sono il volto di una fetta di borghesia di cui rappresentano gli interessi - è vero, a maggior ragione, che il corpo in cui si sviluppano e vivono questi stessi interessi e ciò che i governanti faranno, è da ricercare altrove: non a palazzo Chigi, ma nella dialettica dello scontro tra le classi.
Come per buona parte dei politicanti, un importantissimo ruolo a cui assolve la figura di Renzi è quello di spogliare la politica del conflitto sociale, quello di farci credere che il governo possa essere portavoce di interessi generali e non assecondare i bisogni e le istanze di una parte della società. Se assumiamo quest’ ottica, diventa chiaro che è impossibile parlare del nuovo governo a partire da Renzi, ma è necessario fare un passo indietro, capire in che contesto si genera e si inquadra.
Sappiamo bene che ogni fase di crisi economica oltre a presentarsi nei suoi aspetti più brutali per la maggior parte della popolazione -lavoratori, disoccupati, precari vecchi e giovani, immigrati - rappresenta anche un'occasione potenziale per riassestare la società nel suo complesso, per ridisegnare i rapporti di forza da parte di chi effettivamente detiene il potere economico e politico. L'Italia, probabilmente ancora per poco, data la sua storia di lotte operaie da un lato e di una piccola borghesia clientelare dall'altro e le loro , è stata considerata arretrata, poco produttiva e competitiva nel panorama internazionale. Un capitalismo "problematico" a cui nel 2011 si decise di dare una scossa, preannunciata dalla lettera-testamento della BCE all'allora Governo Berlusconi e formalizzata dall'insediamento del Governo dei tecnici. A guida di questo nuovo governo Mario Monti, non un politico di professione ma l'uomo scelto dalla frazione più internazionalizzata della borghesia, che - facendo leva sullo stato di emergenza ed eccezionalità imposto dal "momento" di crisi - ha il compito di marginalizzare ed arginare le resistenze di quel ceto medio fatto di piccoli imprenditori, commercianti, grandi evasori fiscali. Insomma, attestare l'Italia su un piano internazionale moderno e competitivo, attaccando i privilegi e gli interessi delle suddette corporazioni, razionalizzando (o meglio tagliando) la spesa pubblica, recuperando dall'evasione fiscale, intervenendo a gamba tesa sul mercato del lavoro. In questo quadro si inseriscono le due riforme fondamentali del governo Monti. La prima, quella delle pensioni, ha innalzato progressivamente l'età pensionabile, eliminato le pensioni di vecchiaia e reso il sistema contributivo l'unico vigente; la seconda, quella del lavoro, ha aumentato la flessibilità in entrata ed in uscita, ridotto le tutele per i precari e utilizzato l'apprendistato come canale privilegiato per l'accesso al mondo del lavoro1.
Nel solco tracciato dal governo Monti si inserisce anche il programma delle larghe intese di Letta che, nonostante la “buona” partenza – e cioè l'appoggio unitario di cui sembrava godere da tutte le parti politiche – non è riuscito a portare fino in fondo i provvedimenti annunciati. A cosa ci stiamo riferendo? Guarda caso alle stesse, o quasi, “priorità assolute” segnalate da Matteo Renzi: riforma costituzionale, semplificazione dell'apparato statale, snellimento della burocrazia e una grande manovra che interessi il mercato del lavoro con la riforma degli ammortizzatori sociali e della rappresentanza sindacale, abbassando il costo del lavoro in nome della crescita e della competitività. A questo punto risulta chiaro come la figura del nuovo premier sia entrata in campo proprio per sbloccare la delicata impasse in cui, di fatto, il governo Letta si era “impantanato”. Non è un caso che Renzi abbia sottolineato più e più volte la necessità di intervenire sul titolo V della Costituzione, modificando sostanzialmente l'assetto statale e provocando una centralizzazione nel potere esecutivo (un processo già in atto, testimoniato dall'abuso di decreti legge e voti di fiducia degli ultimi governi). Tale riforma sarà possibile solo grazie allo stabilizzarsi dei rapporti di forza all'interno del blocco sociale che sostiene il governo di cui parlavamo precedentemente. Un primo passo che risulta essenziale per portare fino in fondo quell'attacco al mondo del lavoro che – non dimentichiamolo – resta il loro obbiettivo primario.
A dimostrazione di questo, proviamo a leggere nelle parole più volte pronunciate dal neo presidente del consiglio.
Quando Renzi afferma di vole
r “favorire l'impresa”, di “essere imprenditore” non per “fare soldi” ma per “creare posti di lavoro” che ci sta dicendo? Ancora una volta una bugia e una verità. La prima sta nell'elemento di forte propaganda che fa leva sul malessere sociale generato dalla crisi - fatto di licenziamenti, disoccupazione, cassa integrazione in scadenza, tagli ai servizi sociali – senza ovviamente attaccare le cause che lo generano. La retorica del “nuovo” crea speranza in un contesto fatto di disperazione per le proprie condizioni materiali e di noia e insoddisfazione nei confronti di un succedersi di politici effettivamente corrotti, continuamente riciclati e venditori di promesse palesemente scadute. Renzi, giocando su tutto ciò, vende fedi e questo gli garantisce di assicurarsi il minimo consenso necessario a governare, a far percepire come di interesse nazionale e collettivo le misure anti-crisi. Per fare un esempio concreto: la disoccupazione giovanile tocca picchi storici e gli organi dell'opinione pubblica negli ultimi giorni non fanno altro che ricordarcelo con un proliferare di dati e statistiche, creando un’emergenza-ricatto che non ammette contestazioni. Dall'urgenza di “ripartire”, assunta e fatta propria anche da chi subisce un forte attacco, dovranno allora discendere volontariamente l'impegno, il coinvolgimento, l'adesione spontanea al progetto e alle proposte di un premier che può e vuole ripartire, l'affidarsi senza pensarci troppo a un governo che può e vuole fare.
Certo, le cose possono e devono essere fatte, ma Renzi, com’è ovvio che sia, non annuncia esplicitamente in che modo e a vantaggio di chi. Essere imprenditori del paese non per “fare soldi”-dice-, ma per “creare posti di lavoro”.
E qui entra in gioco l'elemento di verità, accompagnato, ancora una volta, dall’occultamento del conflitto tra le classi. Renzi, affermando ciò, cela l’incompatibilità di interessi tra “l’imprenditore” e i lavoratori che - pur facendo parte di un’azienda che porta un identico nome per entrambi - non si trovano, per questo, nella stessa posizione sociale, nella stessa condizione economica, non sono rappresentati politicamente in egual misura. Sappiamo che è utile alla borghesia nascondere, sotto il cappello dell' “interesse comune della nazione”, il reale conflitto tra le classi accomunando tra loro bisogni e interessi diametralmente contrapposti. L'imprenditore che “crea posti di lavoro” è in realtà mosso dalla personale esigenza di trarre profitti tramite lo sfruttamento dei propri lavoratori, facendo leva sulla loro necessità di percepire un salario sufficiente a vivere dignitosamente.
Quindi a che condizioni e a quale costo si compie questa cosiddetta “creazione occupazionale”? Basta guardare alla storia recente per immaginarselo: la (ex)Fiat e il modello Marchionne; i facchini della logistica dall’Ikea, alla TNT, passando per la Granarolo; la vicenda Electrolux e quella dell’Ilva di Taranto: diritti ridotti all'osso, zero potere decisionale di chi lavora, rappresentanza sind
acale svuotata di senso, il tutto condito dall'onnipresente mantra della flessibilità. Creare posti di lavoro, quindi, per assicurarsi che si riproducano e si consolidino i rapporti di subordinazione e sfruttamento che stanno alla base di questa società e che si riflettono su ogni aspetto della nostra vita.
E' in questo orizzonte che si è andato delineando l'operato di Renzi da primo cittadino di Firenze. Prendiamo il caso dell'azienda per il trasporto pubblico locale, l' Ataf. A prima vista una vertenza come tante altre e che però, con un po' di attenzione, si dimostra esemplare nel rivelare precisamente il modello di sviluppo e di efficienza che Renzi ha in mente. Il processo di privatizzazione è avviato nel 2011 con tutto ciò che ne consegue: esternalizzazioni, ricadute pesanti su chi lavora (con esuberi, riduzioni in busta paga e turni massacranti) oltre che sull'utenza, ma anche vere e proprie ritorsioni sugli autisti più attivi nel difendere il proprio posto di lavoro, accusati di aver dato vita a scioperi “illegali” e denunciati in 1062 per interruzione di pubblico servizio! Anche qui si prova a insabbiare la realtà, grazie alla copertura pressocché totale di stampa e tv locali, con la retorica del cambiamento, della “rottamazione” di un sistema di amministrazione “sprecone” che si fa inutilmente carico di lavoratori fannulloni, improduttivi, che gioca sulla contrapposizione tra gli (ancora per poco) “garantiti”, “privilegiati” e tutti gli altri.
Con il nuovo Premier l'Europa competitiva e sviluppata non ci appare più così distante. Il programma di governo non è nient'altro che una trasposizione sul piano nazionale delle politiche imposte e affermatesi nel corso degli anni in altri paesi europei, legate alla riduzione del debito e della spesa pubblica. Un'azione volta a rispettare i parametri stabiliti da accordi europei come il Fiscal Compact che prevede una riduzione di circa 50 miliardi di euro all'anno del debito per i prossimi vent'anni. Per avvicinare il nostro paese agli standard europei Renzi ha pensato bene di affidarsi ad un (cattivo) maestro delle politiche neoliberiste come il neo-ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, responsabile per l'Argentina per conto del Fondo monetario internazionale nell'anno in cui il Paese sudamericano fece default e responsabile per la Grecia per conto del Fmi e dell'Ocse durante l'ultima crisi. Già nella scelta della squadra di governo si evince una chiara propensione continentale di Renzi che sarà chiamato a gestire un complicatissimo semestre di Presidenza Europea, a cui dovrà arrivare già ben preparato e con i compiti a casa già fatti.
Da questa breve analisi del futuro programma di governo notiamo come la borghesia si sia già dotata di strumenti propri e di una chiara strategia per i prossimi anni. Da parte nostra non possiamo che continuare a difendere e portare avanti gli interessi di tutti gli sfruttati, rispondendo colpo su colpo ai costanti attacchi della classe dominante e rilanciando una mobilitazione generale e generalizzata per cambiare lo stato di cose presenti.Torneremo ad animare le piazze del paese già a partire dal 12 Aprile, giorno in cui si svolgerà a Roma un'importantissima manifestazione nazionale contro le politiche di austerità e contro la dilagante disoccupazione che precarizza le nostre vite. Un'altra data fondamentale che negli ultimi anni, anche a causa del gioco sporco dei sindacati confederali che hanno svuotato di senso la giornata dei lavoratori, è quella del 1 maggio dove si svolgeranno manifestazioni dislocate sui nostri territori in difesa del diritto ad un lavoro dignitoso.Il tutto preparando il terreno verso l'importante vertice di luglio sulla disoccupazione giovanile e l'intero semestre di presidenza.
In conclusione possiamo dire che sicuramente quello che ci aspetta è un percorso di costruzione lungo, tortuoso, che ma abbiamo deciso di intraprendere, consapevoli del fatto che nessuno lo disporrà per noi verso un reale e definitivo cambiamento.

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