martedì 28 gennaio 2014

pc 28 gennaio - la grande giornata internazionale a sostegno dei prigionieri politici indiani .. continua - un importante testo

India: la prigione dei movimenti popolari

La questione scottante della continua incarcerazione di migliaia di prigionieri politici in India, l’amara realtà che sta dietro la facciata della cosiddetta più grande democrazia del mondo, di uno Stato penale dotato del peggior tipo di leggi draconiane, viene messa in forte rilievo da un comunicato stampa firmato Abhay, portavoce del PCI (Maoista) datato 11 maggio 20l2. La dichiarazione replicava alle accuse rivolte ai maoisti dal governo indiano di atti di ‘terrorismo’ quali ‘sequestro’ per ‘riscatto’ e all’espressa necessità di un Centro nazionale antiterrorismo (NCTC) allo scopo di affrontare tali atti. La dichiarazione, smascherando l’ipocrisia di Chidambaram (allora ministro dell'Interno) lo metteva sul banco degli imputati, sottolineando che non aveva alcuna legittimità morale per accusare i maoisti di ‘rapimento’ mentre il suo governo metteva dietro le sbarre migliaia di adivasi. Respingendo l’accusa di ‘sequestro’ del ministro degli interni indiano, i maoisti dimostravano che non erano stati presi degli ostaggi nella prospettiva di guadagnare denaro, né per vendetta personale o rappresaglia, ma che quelle persone erano state ‘arrestate’ dal popolo per la liberazione delle migliaia di adivasi incarcerati nelle prigioni di Chhattisgarh, Jharkhand, Odisha e altri stati dell’India. Non era ‘sequestro’, ma ‘arresto’.

Così riassume l’attuale situazione di crescente impunità dello Stato indiano nel subcontinente. L’illegalità dello Stato indiano e delle sue istituzioni, dei poteri giudiziario, esecutivo e legislativo, di fronte alle masse lavoratrici messa in forte rilievo nella dichiarazione del portavoce maoista,

Per dare il senso della crescente impunità dello Stato indiano e le sue diverse istituzioni, è importante guardare alla natura fondamentale di questo stato, al suo volto bestiale di brutale repressione, che costringe la gente comune a far ricorso a diversi metodi di auto-difesa che il potere artificiosamente marchia come ‘atti di terrorismo’, col servile avvallo dei media, il cosiddetto quarto potere. Così, le persone che lottano per la giustizia per lo Stato diventano immediatamente ‘terroristi’. Lo Stato filo-imperialista, per lo sviluppo, instauratosi nel subcontinente indiano dopo il l947 ha sistematicamente spinto ai margini il popolo tanto da porre in pericolo la sua stessa sopravvivenza. Ogni sforzo per farla finita con questo modello di sviluppo che riproduce sfruttamento, strutture oppressive di massimizzazione del profitto delle classi parassitarie locali in alleanza con gli interessi imperialisti, hanno ricevuto come risposta da parte Stato indiano la criminalizzazione. Dunque, quello che il primo ministro esprimeva, celata dalla retorica dello “sviluppo”, era lo sforzo dello Stato indiano di dotarsi di leggi sempre più draconiane e strutture coordinate centralizzate con un enorme potere per fronteggiare il crescente malcontento delle masse popolari.


Lo “sviluppo” come sicurezza nazionale.
Manmohan Singh, primo ministro dell'India, ha già messo in chiaro che, con gli evidenti segni di un’economia del subcontinente pericolosamente lenta, aggravata dalla morsa stringente di un imperialismo afflitto dalla peggiore crisi mondiale, lo sviluppo, in tutti i suoi aspetti, deve a maggior ragione essere considerato un problema di sicurezza nazionale. Così, ogni dissenso contro la piena attuazione delle politiche filo-imperialiste di liberalizzazione-privatizzazione-globalizzazione è considerato anti- sviluppo e quindi ‘anti- nazionale’, e può anche essere bollato come ‘sovversivo’. È Significativo che anche prima di questa dichiarazione Manmohan Singh aveva indicato il movimento maoista come la più grande minaccia alla ‘sicurezza interna’ dello Stato indiano.

Non un solo movimento popolare oggi in India sfugge alla definizione di criminale da parte del governo, centrale o statale, molti degli attivisti e dirigenti vengono implicati in numerose imputazione o corrono il rischio di essere uccisi per mano di militari/polizia/bande paramilitari/vigilantes.


La rivendicazione storica del diritto a essere riconosciuti come prigionieri politici
Chi sono dunque i prigionieri politici? Ripercorrendo la storia, dal periodo coloniale o oggi, sono coloro che hanno resistito contro l'ingiustizia, l'oppressione, lo sfruttamento e la discriminazione, che hanno osato sognare un mondo privo di ogni forma di sfruttamento e di oppressione, un mondo basato sulla condivisione e l’indipendenza, questi sono diventati bersaglio dell’ira dello Stato – di quello coloniale o come di quelli indiano nato dopo il ’47, asservito agli interessi imperialisti. Fin dai giorni dei martiri Bhagat Singh, Rajguru e Sukhdev e dei loro compagni, come Jatin Das, al tempo della lotta anti-coloniale contro gli inglesi, c’è stata la rivendicazione del riconoscimento dei prigionieri politici. Non solo rivoluzionari come Bhagat Singh e i suoi compagni, anche i gandhiani hanno parlato della necessità di riconoscere dei diritti del prigioniero politico nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali, quando la lotta anti-coloniale stava acquistando slancio. Tutti gli anti-colonialisti combattevano per un futuro libero dal giogo del colonialismo e molti, come Bhagat Singh, avevano visione di un subcontinente indiano autosufficiente, libero da ogni forma di sfruttamento e oppressione. La tormenta delle varie lotte di liberazione nazionale che infuriava nel subcontinente negli anni ’40 ha visto lo Stato coloniale adottare diverse leggi di carcerazione preventiva e altre norme repressive per criminalizzare le aspirazioni di quei popoli. Con la partizione per comunità del subcontinente e la formazione dello Stato indiano brahminico, a immagine dell'imperialismo, la necessità di criminalizzare ulteriormente tali aspirazioni era ancora più evidente. Dalla lotta armata in Telangana degli anni ’40 a quella di Naxalbari nel 1970 e alle lotte di liberazione nazionale negli anni ’80 e ’90, all’onda alta dei diversi movimenti popolari contro i crescenti attacchi delle classi dominanti per imporre politiche di liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione (LPG), dal 1991 fino ad oggi, oltre allo spettro crescente del movimento maoista, la definizione di prigioniero politico ha continuato ad espandersi, indice dell’espressione multiforme del malcontento manifestata dai popoli del subcontinente. Nel 1970, quando Indira Gandhi, allora primo ministro dell'India, proclamò lo stato di emergenza sospendendo tutti i diritti fondamentali, oltre ai prigionieri naxaliti sopravvissuti alle centinaia di migliaia di esecuzioni in custodia e stragiudiziali che lottavano per i loro diritti in quanto prigionieri politici, anche settori garantisti dei socialisti Lohisti, dei gandhiani e dei socialdemocratici del PCI posero la questione della necessità di riconoscere i diritti del prigioniero politico.


Lo Stato penale indiano – la legalizzazione della crescente impunità
In quanto complemento della ripartizione del mondo tra le potenze imperialiste dopo la Seconda Guerra Mondiale, la natura intrinseca dello Stato braminico, sotto la guida dell’imperialismo USA era comunitario indù. Il processo di costruzione dello Stato in India dopo il 1947 ha avuto questo sentimento emergente come fattore determinante, tanto che all’inizio del 21° secolo, quando si è scatenata sui popoli del mondo una rinnovata offensiva imperialista con l’ideologia della cosiddetta ‘guerra al terrorismo’, lo stato indiano è diventato valido alleato dell’imperialismo USA in Sud Asia. Il musulmano come l'altro, il Kashmir musulmano come traditore, le altre nazionalità in lotta come minaccia per il grande ideale dell’India che risorge, gli adivasi, i dalit e le altre caste oppresse come portatori di incompetenza, inefficienza e ostacoli alla marcia in avanti per “recuperare” rispetto all'Occidente, sono gli stereotipi orientalisti ereditati dall’edificio ideologico dello Stato indiano. La natura anti-islamica, anti-dalit, anti-minoranze dello Stato indiano emerge in forma acuta nella fase attuale, col crescere delle atrocità contro il popolo.


I giovani musulmani: bersaglio di una politica di odio camuffata dell’ideologia della ‘guerra al terrorismo’
Migliaia di giovani musulmani sono stati bersaglio della cosiddetta “guerra al terrorismo”, molti di loro sono stati imputato per moltissimi attacchi dinamitardi, come l’esplosione sul treno Samjhauta, le bombe a Bangalore, Coimbatore, Jaipur, Hyderabad, Delhi, Bombay, Surat nel Gujarat, Nashik, Nanded e Malegaon in Maharashtra, in Uttar Pradesh e tentati attacchi in diverse parti del Kerala, la lista è infinita. L’aspetto più sorprendente di tutti questi attentati è che nessuno di questi avrebbe potuto portare alla reclusione di un giovane musulmano. E invece moltissimi di loro sono stati detenuti in custodia, brutalmente torturati moralmente e fisicamente. Alcuni dei metodi usati dagli investigatori indiano fanno impallidire perfino la famigerate torture di Abu Grahib e Guantanamo.

Il caso dell’attentato di Malegaon è un perfetto esempio illustrativo del fatto evidente che i musulmani sono diventati carne da cannone per spacciare l’ideologia della cosiddetta ‘guerra al terrorismo’, canale per agevolare il crescente intervento delle forze dell’ imperialismo USA in Asia meridionale, per non parlare della convergenza sempre più profonda di interessi tra il capitale moribondo e le forze fasciste comunitariste indù. In breve, il caso Malegaon in breve è il seguente. L'8 settembre 2006 una bomba esplode nei locali della moschea Hamidia nella città di Malegaon. Poche ore la dopo polizia del Maharashtra dichiara che dietro queste esplosioni c’è il già bandito Movimento Studentesco Islamico dell'India (SIMI), ed effettua una raffica di arresti di giovani musulmani. Anche se in molti non si bevono la storia che dei giovani musulmani abbiano messo una bomba in una moschea, i media e la polizia creano un clima di terrore e complotto tale che per le voci più oneste è impossibile osare farsi avanti e smascherare l’assurdo. Gradualmente, la gente di Malegaon prende coraggio e si fa avanti unita condannando con forza il modo in cui l’incidente è stato utilizzato per mettere dietro le sbarre giovani musulmani innocenti. Dopo 5 anni di carcere, grazie alla crescente pressione dell’opinione pubblica, lo Stato è stato costretto a rilasciare su cauzione nove degli imputati, contro cui non c'era alcuna prova, mentre appariva sempre più chiaro dalle dichiarazioni di esponenti comunitaristi indù che dietro quell’azione efferata c’erano le loro organizzazioni. Inoltre, diversi fatti gettavano dubbi sulla versione della polizia. Il primo imputato nell'esplosione, Shabbir Massihullah, già due mesi prima dell’incidente era stato arrestato e incarcerato per un’altra accusa. Un altro imputato, Shahid Ansari, è l’imam di una moschea di Yvatmal, che dista 520 chilometri dal luogo dell'incidente. La gente della moschea di Yvatmal avevano testimoniato che Shahid era alla moschea a presiedere le preghiere il giorno delle esplosioni a Malegaon. Infine Abrar Ahmad, testimone d’accusa, ha poi ammesso di fronte alla corte che la polizia gli aveva offerto del denaro per confermare le accuse. Oltre a tutti questi fatti, c’erano i riscontri incriminanti trovati da Hemant Karkare, allora capo dell’ATS del Maharashtra, sulla vasta rete di organizzazioni comunitariste indù coinvolte in diverse esplosioni. Non sorprende il fatto che Hemant Karkare sia stato misteriosamente ucciso nel corso dei ben noti incidenti avvenuti a Mumbai al terminal Chhatrapati Shivaji (ex capolinea Victoria) e altrove. La montatura è definitivamente franata con la confessione resa al magistrato da Swamy Aseemananda del coinvolgimento negli attentati dinamitardi della sua e di altre reti di nazionalisti indù. Nonostante tutti questi riscontri e prove, tra gli investigatori il livello di collusione con i comunitaristi è radicato al punto che questi insistono ancora sui vecchi teoremi ormai smentiti, e stanno cercando il modo per scagionare i comunitaristi indù arrestati. Così, pur essendo stati rilasciati su cauzione, la sorte di tutti i 9 giovani musulmani implicati nel caso è ancora incerta.

Sono molti gli episodi di esplosioni che ci raccontano una storia simile. Nonostante i fatti e l’infondatezza delle accuse degli investigatori, i giovani musulmani restano dei facili bersagli per la politica della cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ e la macchina dello Stato è riuscita a diffondere ampiamente stereotipi sulla comunità dei musulmani,, che sono i più poveri economicamente, socialmente e culturalmente. Giovani musulmani degli stati di Maharashtra, Gujarat, Uttar Pradesh, Bihar, Delhi, Rajasthan, Andhra Pradesh, Karnataka, Kerala e Tamilnadu sono stato incriminati per diverse esplosioni. Lo Stato del Gujarat, governato dal fascista comunitarista Narendra Modi, beniamino del capitale imperialista e compradore nazionale, ha portato la politica dell’odio nazionalista a nuovi livelli, criminalizzando e incarcerando giovani musulmani in numeri senza precedenti. Gli oscuri legami tra la famigerata Andhra Pradesh Special Branch e la polizia del Gujarat nell’ordire trame e assassinii a sangue freddo camuffati da “scontri” sono stati spudoratamente insabbiarti, Narendra Modi e compari hanno avuto buon gioco nella comunitarizzazione e criminalizzazione di polizia e intelligence. La memoria del genocidio di musulmani in Gujarat, per non parlare delle montature contro giovani musulmani per diversi episodi, come il clamoroso incidente ferroviario Godhead, resta in ogni mente pensante come esempio dell’ascesa delle forze comunitariste indù come asse principale della politica di conquista del voto e cioè di conquista e conservazione del potere politico in India, a livello di governi centrale e statali.

In molti di questi casi, i processi vanno a passo di lumaca, più di una volta i giudici dei rispettivi tribunali sono stati trasferiti a metà del processo. La ‘minaccia’ incombente del musulmano ‘altro’ è stata subito recepita dalla politica con la messa al bando del Movimento degli Studenti Islamico dell’India (SIMI). Diversi arresti di presunti attivisti del SIMI in diversi stati sono stati molto pubblicizzati dai media e associati ad atti di ‘terrorismo’ attribuiti al SIMI. I giovani musulmani arrestati sono incriminati in numerosi processi, ma resta il fatto che quasi tutte le accuse, contro giovani musulmani in generale e contro il SIMI in particolare, sono crollate come birilli, senza uno straccio di prova. Nonostante questi fatti eclatanti, lo Stato braminico indiano ha confermato la messa al bando contro il SIMI. Un’altra leggenda dell’incombente ‘minaccia’ è la sguaiata campagna dei media su una presunta organizzazione chiamata Mujahideen indiani. Nessuno sa se una tale organizzazione esista davvero. Ma a molti giovani musulmani si è cucito addosso l’abito di membri di questa organizzazione. Spesso sono i giovani musulmani istruiti il bersaglio dello Stato indiano. La campagna denigratoria contro comunità musulmana in occasione di attentati, la minaccia di ‘terrorismo’ attribuita alla comunità attraverso le sue organizzazioni come SIMI e Mujahideen indiani, per dire degli stereotipi diffusi sui musulmani, hanno fatto di ogni musulmano un potenziale sospetto nella mente di un non- musulmano.


I Musulmani del Kashmir – bersagli di occupazione che diventa impunità
Il caso del dottor Qasim Muhammad Faktoo, che ancora non vede la luce del sole dopo più di 20 anni di carcere, testimonia il volto brutale della politica di vendetta dello Stato indiano sul popolo di Jammu e Kashmir. Inizialmente arrestato e perseguito in forza del Terrorists and Disruptive Activities Act (TADA), i tribunali lo hanno assolto dalle accuse e anche la polizia ha scritto alle autorità circa la necessità di considerare nel merito il caso contro il dottor Qasim Muhammad Faktoo e la sua prolungata incarcerazione senza alcuna accusa. Ma, come per ogni prigioniero politico, la decisione di tenerlo dietro le sbarre o rilasciarlo è politica, nel caso di Qasim Faktoo si è preteso un pedaggio di 20 anni (quasi due ergastoli) dati che il potere guarda ancora al suo caso come a una vendetta politico, un caso simbolo di un musulmano Kashmiri perseguitato per le sue convinzioni politiche. Se 20 anni non sono bastati alle autorità per prendere in considerazione il rilascio del dottor Qasim Muhammad Faktoo, per altri musulmani del Kashmir non è diverso.

Per un musulmano del Kashmir passare in attesa di giudizio un periodo della vita nelle prigioni indiane non è molto raro. Come per la sua controparte indiana, per un musulmano del Kashmir essere implicato in numerosi processi per esplosioni, che proliferano come funghi in lungo e in largo nel subcontinente, è una cosa normale. Arrestare un musulmano del Kashmir per tali episodi è perfino senso comune. Il caso dell’attentato al Lajpat Nagar mostra la crescente impunità della polizia e degli altri investigatori per le montature contro musulmani kashmiri. L'esplosione ebbe luogo il 21 maggio 1996 nei pressi del mercato Lajpat Nagar a New Delhi e dei sei musulmani kashmiri arrestati e processati, Mirza Nissar Hussain, Mohd Ali Bhat e Mohd Naushad sono stati condannati a morte dal tribunale, mentre Javed Ahmad Khan è stato condannato all’ergastolo e gli altri due, Farooq Ahmad Khan e Farida Dar, a sette anni e a quattro anni due mesi, secondo l’Explosive Substances Act e dell’Arms Act, che sono le accuse standard con cui si perseguono i prigionieri politici appartenenti alle lotte di liberazione nazionale/adivasi/maoisti. Al tribunale sono occorsi quattordici anni per concludere il processo ed emettere la sentenza. Dunque gli imputati avevano quasi completato il periodo di pena in attesa della fine del processo. Alla fine, l'Alta Corte di Delhi ha stigmatizzato polizia e organi inquirenti per non aver rispettato neppure le procedure più elementari nella conduzione dell’inchiesta e nell’arresto dei sospetti. Non era la prima volta che un’Alta Corte in India esprimeva il proprio disappunto per il disprezzo di norme fondamentali e delle procedure da parte degli investigatori né era la prima volta che un’Alta Corte ha lasciato a che accadesse, senza intraprendere qualsiasi azione contro dolo delle autorità. È interessante notare che il giudice, dopo aver cantato e danzato contro i crescenti casi di impunità della polizia e delle agenzie investigative, è poi rimasto in uno studiato silenzio. Fino a oggi non c’è quasi nessun caso degno di nota in cui la grave violazione dei doveri della polizia e degli altro organi di indagine/intelligence siano stati ritenuti perseguibili da un giudice.

Così, quando infine, il 22 novembre 2012, l'Alta Corte di Delhi ha assolto Mirza Nissar Hussain e Mohd Ali Bhatt, entrambi avevano trascorso 16 anni in prigione - 14 come in attesa di giudizio e 2 anni da detenuti - in attesa che il giudice finalmente facesse luce e li dichiarasse innocenti. Nonostante prove fragili, l’alta corte ha confermato la condanna all'ergastolo di Javed Ahmad Khan, mentre ha commutato in ergastolo la condanna a morte di Mohd Naushad. Ci sono migliaia di casi noti di episodi di impunità delle forze di polizia, paramilitari e investigatori, che fanno a gara tra loro per mostrare che sono capaci di produrre risultati che diano sostanza alla propaganda ideologica della “guerra al terrorismo”.

Come accennato prima, l'edificio dello Stato indiano è stato costruito sulla violenta repressione della rivendicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli di Jammu e Kashmir, Naga, Manipur, Mizo, Assam, Bodo, Dimasa. Anche le richieste di autonomia e sovranità separata (federalismo interno) all'interno dell'unione indiana dei popoli di Telangana, Vidarbha ecc. hanno incontrato la violenta repressione da parte dello Stato, con la morte di migliaia di persone. Soprattutto il Kashmir è diventato il punto di innesco nella geo-politica del Sud Asia. Le classi dominanti di India e Pakistan vorrebbero mantenere irrisolta la questione del Kashmir per continuare a giocare la partita politica truccata per il ruolo di alleato più affidabile dell’imperialismo USA. L’India usa Kashmir per radicare ulteriormente lo sciovinismo braminico Hindutva, dipingendo il Kashmir musulmano come una grave minaccia per la sovranità e l’integrità dell’India. Questo ha permesso allo Stato indiano di perpetrare impunemente in Kashmir quasi 100.000 assassinii per mano dall’esercito indiano e dei paramilitare, più di 60.000 detenzioni nei centri di tortura e reclusione e circa 10.000 scomparsi, molti dei quali rinvenuti tempo dopo in fosse comuni. Oltre che nelle carceri in Jammu e Kashmir, musulmani kashmiri sono detenuti in Ranchi, West Bengal, Gujarat, Karnataka, Andhra Pradesh, Maharashtra, ecc. In molti casi, il processo dura più di 10 anni (in alcuni casi 14 anni) e il giudice alla fine dichiara l’imputato innocente! Come ha detto uno dei musulmani kashmir prigionieri, dopo essere stato condannato a morte per una bomba a Delhi: “Essere un Kashmir è di per sé un crimine in India”!

Il Public Security Act of Jammu & Kashmir è una legge draconiana del tipo ampiamente utilizzato dallo Stato per tenere per anni dietro le sbarre le voci del dissenso. Per questa legge, è a totale discrezione dell'esercito, che domina sull’amministrazione civile, per quante volte una persona può essere messa dietro le sbarre. È facile, invocata questa legge, impedire ad una persona di vedere la luce del giorno per i prossimi due anni, prima di essere portato davanti al giudice. E anche quando il tribunale civile di Jammu & Kashmir ordina il rilascio di un prigioniero, il giudice militare ha spesso il potere di revocare la decisione.


L’espansionismo indiano e il Nord Est
Se lo Stato indiano ha trasformato il Kashmir, uno dei luoghi più belli del mondo, in un cimitero, la situazione in tutta la regione del Nord Est non è diversa. L’approccio strategico dello Stato indiano nella regione è stato quello di trincerarsi e imporsi come arbitro di tutte le dispute irrisolte tra popoli della regione per contrapporre una nazionalità contro l’altra. Dal 1947 la politica di ‘bastone e carota’ dello Stato indiano gli ha permesso di tenere in pugno il destino dei popoli della regione. Una delle strategie principali per questo scopo è stata tenere impegnati in colloqui prolungati (negoziati di pace/cessate il fuoco) i vari movimenti di liberazione nazionale impegnati nella resistenza armata, in modo da logorarli politicamente e creare dissensi all’interno delle comunità e dei loro movimenti di liberazione. Lo Stato indiano è riuscito a farlo con Assamese, Mizo e Bodo, e contemporaneamente ha tenuto impegnati nei negoziati più lunghi di sempre (15 anni) i Naga, a cui spesso ci si riferisce come alla “madre di tutte le rivolte”. Uno dei principali dirigenti impegnati direttamente nei negoziati, Anthony Shimray del Consiglio nazionale socialista di Nagalim (IM) è stato rapito dai servizi segreti indiani in un paese straniero (il Nepal) per poi presentarlo arrestato in Bihar dal RAW. Contro lo stesso Anthony Shimray, che è uno dei principali leader impegnati nelle trattative, il governo indiano ha mosso accuse secondo le leggi antiterrorismo e il codice di guerra. Nessun altro caso può illustrare meglio di questo quanto possano essere autoritari e fascisti lo Stato indiano e i suoi vari apparati armati. I Manipuri hanno subito arresti e assassinii in falsi scontri di loro dirigenti e attivisti. Grazie all’AFSPA, di cui si è già detto, l’esercito gode di poteri illimitati,. Solo negli ultimi 5 anni, sono stati segnalati più di 1500 casi di falsi scontri nella valle di Manipur, di questi, la Corte Suprema ha appena preso atto di appena una mezza dozzina di casi. Così, in Manipur come in molte parti del subcontinente, sono più gli attivisti uccisi che quelli arrestati e tenuti dietro le sbarre. Oltre che in Manipur e Assam, i falsi scontri o quelli che lo Stato descrive “fuoco per legittima difesa” sono abbastanza comuni in tutte le aree in cui persistono lotte di liberazione nazionale, come in Jammu & Kashmir, Naga, Bodoland, Kamtapur in Nord Bengala ecc. La stessa tendenza è dilagante negli stati di Andhra Pradesh, Bihar, Jharkhand, Orissa, Maharashtra, Chhattisgarh, con l’Andhra Pradesh a fare da capofila e modello di impunità. Le linee guida vincolanti fissate dalla Commissione nazionale per i diritti umani (NHRC) e le altre disposizioni di legge non sono mai state osservate in nessuno di questi cosiddetti scontri.

In Assam e Manipur si è anche assistito all’uso di stupri e omicidi come strumento di repressione da parte dell'esercito e paramilitari. L’uccisione di Manorama Devi, un’attivista della lotta di liberazione nazionale del Manipur è un caso che ha attirato l'attenzione dei media mondiali. L’originale protesta di donne che si sono spogliate di fronte ai campi dell'esercito indiano con cartelli in cui chiedevano di essere stuprate, mostra il grado di brutalità e di impunità con cui lo Stato indiano tratta i movimenti delle legittime aspirazioni politiche dei popoli della regione. Questo nonostante le grandi manifestazioni dei movimenti popolari e delle organizzazioni per i diritti civili e democratici. Anche in Assam si è assistito a numerosi uccisioni in falsi scontri di attivisti per i diritti democratici del MASS e dell’ ULFA (United Liberation Front of Asom) oltre che di militanti maoisti. Sono anche stati incarcerati molti giovani in lotta per i loro bisogni fondamentali nelle regione estremamente arretrata dell’Alto Assam.

Inoltre, l’intero Nordest è in rivolta contro il nuovo progetto coloniale di sviluppo imposto dallo Stato indiano, ipocritamente chiamato Look East Policy (guardare a Est, ndr, LEP). Con la LEP lo Stato indiano sta progettando di costruire 168 grandi dighe in tutto il Nordest per produrre 100.000 MW di energia che saranno venduti per lo più sul mercato internazionale attraverso le zone di libero scambio previste lungo il confine birmano. Tutti i movimenti anti-dighe e anti-evacuazione in corso nella regione sono repressi dallo Stato che ricorre all’UAPA. Le regioni di Assam e Arunachal Pradesh hanno visto la dura repressione dei movimenti popolari contro le evacuazioni. Le condizioni nelle carceri in Arunachal Pradesh sono le peggiori al mondo, per i prigionieri non ci sono né un alloggiamento adeguato, né cibo sufficiente. Inutile dire che molti dei prigionieri in questa regione sono combattenti per la liberazione nazionale o adivasi indifesi di fronte agli attacchi di polizia ed esercito alla loro vita quotidiana nelle foreste delle colline.


Le prigioni in India - sovraffollamento, mancanza di igiene e condizioni di vita infernali
Mentre le statistiche del malcontento tra le masse popolari minacciano di battere ogni record, le carceri nel subcontinente indiano sono sempre più sovraffollate con condizioni di vita infernali. Nel dicembre 2012 i detenuti reclusi nelle prigioni sovraffollate di Gadchhiroli in Maharashtra, hanno lanciato uno sciopero della fame per chiedere alle autorità di essere trasferiti al più decente carcere appena costruito. Nonostante il nuovo carcere fosse pronto, le autorità ritardavano deliberatamente lo spostamento dei prigionieri dalla prigione attuale, con meno servizi e sovraffollata, caratteristica comune delle carceri in India. Sovraffollate di detenuti e in condizioni igieniche inimmaginabili, le prigioni in India sono note per le diverse malattie provocate da contaminazione di cibo e acqua e dal cattivo stato dei servizi igienico-sanitari, con latrine e bagni sempre intasati. Per i prigionieri non c'è quasi nessuna struttura ricreativa. Per ottenere un’assistenza medica tempestiva e adeguata un prigioniero deve aspettare per giorni. Cattiva alimentazione, condizioni di vita disumane e assolutamente anti-igieniche, torture e umiliazioni in varie forme, sono la realtà che i prigionieri affrontano giorno dopo giorno. Lunghi anni di prigionia hanno reso molti di loro vittime di traumi psicologici, deperimento fisico, crollo mentale e alienazione. Alcuni prigionieri sono morti in carcere per cause non naturali, altri sono morti dopo il rilascio su cauzione. Inoltre, i processi sono molto lunghi, frustranti e costosissimi e spesso insopportabili.

Il caso di Swapan Dasgupta, direttore di People’s March ed editore di Radical Publications, deve preoccupare seriamente tutti quelli che lottano per i diritti dei prigionieri. A Dasgupta viene diagnosticato in prigione un cancro. Essendo prigioniero politico maoista, le autorità fanno in modo da ritardare fino all’ultimo le cure. Anche dopo essere stato trasferito in ospedale, in condizioni già critiche e solo dopo molte proteste da parte delle associazioni per i diritti civili e democratici del West Bengala, le prescrizioni del medico curante sono ignorate e i farmaci nascosti sotto il letto dagli agenti di polizia che lo piantonano in ospedale. Solo quando ormai era in fin di vita i suoi compagni hanno potuto vederlo e capire che cosa gli avevano fatto. Non è stato altro che un assassinio a sangue freddo sotto custodia. Un altro caso da citare è la lotta tra la vita e la morte di Shushil Roy, anziano dirigente maoista (76 anni) detenuto nella prigione Giridih in Jharkhand e per 8 mesi curato con soli antidolorifici dopo aver segnalato al medico del carcere del sangue nelle urine e dolori lancinanti al basso addome. Quando alla fine è stato straferito al Rajendra Prasad Institute of Medical Sciences di Bokaro, anche lui, come Swapan Dasgupta, è stato lasciato per giorni senza cure in stato semi-cosciente nel reparto prigionieri, mentre la polizia guardava il suo letto riempirsi di feci e urine. Il catetere applicato per favorire il flusso dell’urina si è intasato, dato che nessuno lo puliva regolarmente, e così l’assenza di diuresi ha totalmente distrutto un rene e parzialmente danneggiato l’altro. Solo gli sforzi tenaci del CRPP e del fratello sono riusciti salvargli la vita e a ottenere la libertà condizionata, dopo un prolungato trattamento presso All India Institute of Medical Sciences (AIIMS) dove il tumore della vescica è stato rimosso garantendogli solo una sopravvivenza precaria, con un solo rene parzialmente danneggiato. Se questi alti dirigenti del movimento maoista sono trattati deliberatamente in modo da ottenere la vendetta della loro morte in carcere, si può immaginare quale sia la condizione dei poveri adivasi e dalit arrestati nelle aree di più dura lotta popolare a difesa della loro vita e i mezzi di sussistenza


Il prigioniero naxalita/maoista o la più grande minaccia alla sicurezza interna
Negli anni ’70 abbondano le storie di tortura, sparizioni e morte in carcere di migliaia di prigionieri naxaliti, soprattutto nello Stato del West Bengala, mentre si ha notizia di casi simili anche UP, Bihar, Tamilnadu, Andhra Pradesh e Kerala, ma in minor numero. I metodi segnalati negli anni ’70 e nei primi anni '80 di annientamento deliberato del prigioniero naxalita, con l’isolamento, la tortura – psicologica e fisica – e tattiche per ottenerne la resa e in molti casi la morte a causa della carcerazione prolungata, sono gli stessi applicato oggi sui 25000 adivasi che affollano le prigioni negli stati di Jharkhand, Chhattisgarh, Odisha, Jangal Mahal, West Bengala. Oltre agli adivasi, il profilo del prigioniero maoista comprende le altre caste oppresse, settori di classe media istruita, ecc. Come accennato mostrano i caso di Sushil Roy e Swapan Dasgupta, i dirigenti sono presi particolarmente di mira con numerosi processi in diversi stati. I processi contro anziani dirigenti come Prarnod Mishra, Amitabh Bagchi, Narayan Sanyal, Tushar Bhattacharyya, Kobad Ghandy, Jhandu Mukherjee, PP Singh – la maggior parte dei quali ultrasessantenni con Narayan Sanyal che è il più anziano coi suoi 77 anni – nonostante le direttive della Corte Suprema dell’India per accelerare i processi a carico di cittadini anziani, non hanno fatto alcun progresso. Narayan Sanyal stava per ottenere la libertà su cauzione per i procedimenti in Jharkhand e il trasferimento in Andhra Pradesh ma la polizia del Jharkhand glielo ha impedito imputandolo per NSA, precludendogli qualsiasi possibilità di ottenere la libertà su cauzione negli altri casi in AP per almeno per un altro anno. La maggior parte delle accuse mosse contro i dirigenti si basano esclusivamente su confessioni di terzi. Dato che la presunta confessione fatta da un dato prigioniero indica i nomi di tutti i componenti del Comitato Centrale, quando un membro del Comitato Centrale viene arrestato, automaticamente è imputato in numerosi procedimenti sparsi in diversi stati e ciò rende il suo rilascio quasi impossibile.

Come già visto nel caso dei prigionieri politici appartenenti alla comunità musulmana e alle lotte di liberazione nazionale, la produzione di elementi di prova da parte degli investigatori viola tutte le norme e le procedure e ciò vale anche per i prigionieri di naxaliti/maoisti. Le case degli arrestati vengono perquisite senza la presenza di testimoni indipendenti, nessun verbale di sequestro è consegnata ai famigliari, e, in alcuni casi, nei verbali sono inclusi determinati testi senza effettuare alcuna ricerca. Poi si presentano falsi verbali di sequestro che comprovino la responsabilità del perquisito. Così , le opere di Marx ed Engels, Lenin, Stalin e Mao, la biografia di Shaheed Bhagat Singh sono presenti in quasi tutte le liste di sequestro, ma neanche quelle di Romaine Rolland o di qualsiasi autore liberal indiano, come Manik Bandyopadhyay sono risparmiati.

Una volta ottenuta la libertà su cauzione o il proscioglimento per un procedimento, gli imputati sono praticamente rapiti dalla polizia al momento del rilascio con i nuovi mandati provenienti da altri distretti o stati. Il caso di Arun Ferreira di Mumbai, prosciolto in tutti i l0 casi in cui era imputato e che doveva essere rilasciato a Nagpur ne è il miglior esempio: è stato rapito dalla polizia – il suo avvocato malmenato – e poi tradotto in Gadchhiroli. Un altro esempio eclatante è quello di Padma una prigioniera maoista che dopo aver ottenuto la cauzione non è mai stata condotta al giudice e solo dopo che il suo avvocato ha presentato l’habeas corpus, è stata portata in un altro carcere per un nuovo procedimento aperto contro di lei sotto la giurisdizione di un nuovo tribunale nello Stato di Chhattisgarh. A Padma più volte sono state negate le cure per la grave forma di malaria di cui era affetta e molte volte la prigioniera ha dovuto ricorrere allo sciopero della fame per ottenere assistenza medica. Lo Stato del Chhattisgarh è diventato famoso per non presentare per varie udienze in tribunale molte delle donne prigioniere naxalite/maoiste. Le ragione addotte sono spesso vaghe esigenza di sicurezza. Le donne sono spesso oggetto di abusi sessuali e molestie durante i raid delle guardie. Come nel caso delle donne delle regioni delle lotte di liberazione nazionale, anche in Jangalmahal, West Bengala, Orissa, Jharkhand, Chhattisgarh, Maharashtra, ecc. sono segnalati casi di donne costrette a spogliarsi in strada durante i raid di polizia e paramilitari col pretesto di accertarne il sesso. Sono molti i casi di abusi e stupri su larga scala accertati da diverse inchieste governative e non-governative condotte da commissioni ed equipe mediche.

La prigione Bhagalpur in Bihar e quella di Nagpur in Maharashtra sono dotate di celle speciali a forma di uovo (celle anda) dove il prigioniero politico, in particolare il prigioniero naxalita è tenuto in isolamento per giorni.

Prima che i prigionieri naxaliti raggiungano il carcere in cui sarà detenuto, è prassi comune non presentarli dinanzi al giudice entro le 24 ore previste dalla legge. Sono tenuti illegalmente nelle stazioni di polizia e nei centri di detenzione (leggi centri di tortura), a volte per giorni interi. La maggior parte di loro in questi centri vengono brutalizzati e torturati. La maggior parte dei prigionieri maoisti di livello di distretto, regionale, zonale o di comitato centrale sono spesso detenuti in reclusione illegale per parecchi giorni. Se è dall’Andhra Pradesh che dirigono l’operazione, allora ci sono buone probabilità che siano uccisi in falsi scontri. Le recenti uccisioni di Kishenji, Azad, Sudhakhar Reddy, Appa Rao confermano tutti questa tattica dello Stato indiano. Diverse notizie di stampa e le testimonianze dei rilasciati su cauzione confermano chiaramente che sono stati sottoposti a torture fisiche e mentali per ore e giorni interi. Interrogatori continui anche per 18 ore al giorno, per molti giorni, tenendo i prigionieri bendati, anche quando va in bagno, scosse elettriche sulle parti intime del corpo, pestaggi con bastoni, calci con stivali pesanti, pugni, schiacciamento salendo in piedi su tutte le parti del corpo dei catturati, sputi in faccia, rottura delle dita piegandole nel verso innaturale o con perni e chiodi sotto le dita dei piedi.

Ci sono casi di interi villaggi in Chandrapur e Gadchhiroli denunciati e incriminati invocando l’UAPA. Grazie allo sforzo concertato degli avvocati l’intero villaggio è sempre stato assolto. Ma questo non ha impedito alle autorità di perseguitare ulteriore gli abitanti del villaggio implicandoli in altri casi, uno spirito di vendetta motivato dal solo fatto che tutti gli abitanti del villaggio che non si piegano sono ritenuti irriducibili sostenitori dei maoisti.

In molti casi, se nei villaggi se il figlio/figlia/fratello/sorella/padre sono nella lista dei ricercati della polizia o paramilitari, qualcuno della famiglia è portato via al posto della persona dichiarata latitante. Sono numerosi casi di questo tipo quasi in tutte le aree del subcontinente, soprattutto nelle regioni adivasi.

Come parte della criminalizzazione della vita degli adivasi, lo Stato di Chhattisgarh ha dichiarato illegale per gli adivasi portare le loro armi tradizionali. Già criminalizzati da diverse leggi, la conseguenza diretta di ciò è che un gran numero di questi adivasi sono stati imputati con accuse gravi. Migliaia di abitanti dei villaggi sono abitualmente rastrellati durante le operazioni di ricerca, impunemente incarcerati dal personale di sicurezza senza riguardo per la procedura legale. La maggior parte di loro, accusati di ‘attacchi naxaliti’ per lungo tempo non sono presentati nei tribunali, con il pretesto dell’indisponibilità di ‘guardie di polizia sufficienti’. Così il processo resta fermo per interi anni. Per difficoltà economiche e timore di ritorsioni, i familiari degli imputati spesso non possono a visitarli in carcere, rendendoli così ancora più vulnerabili. Gli adivasi ‘imputati naxaliti’ sono detenuti solo nelle prigioni centrali. In Jharkhand, Chhattisgarh e Jungal Mahal in molti casi sono tenuti in carceri di massima sicurezza tanto lontani che la loro regolare traduzione in tribunale diventa impossibile. In queste regioni i prigionieri hanno fatto ricorsi alle Alte corti, inutilmente. La maggior parte degli adivasi sotto processo sono affidati dal governo ad avvocati d’ufficio che il più delle volte non passano neanche a incontrare il cliente né cercano di informarsi sul caso. Spesso subiscono le pressioni e persecuzioni della polizia. Raramente i tribunali hanno interpreti/traduttori ufficiali che permettano agli adivasi comunicare nella loro lingua.

Anche nei casi in cui riescono ad ottenere la libertà su cauzione, centinaia di migliaia di dalit e adivasi non sono in grado di pagare la cauzione – di solito tra da 500 a 2000 rupie – e sono quindi condannati a rimanere in carcere per altri sei mesi o un anno. Nel frattempo ci sono tutte le possibilità che vengano implicati in un altro procedimento da poliziotti ansiosi riempire il più possibile i registri di arresti ex UAPA o reati simili per fare carriera!


Pena di morte come strumento di punizione
Mentre scriviamo lo Stato indiano si sta affrettando ad eseguire una serie di sentenze capitali pendenti dinanzi al Presidente dell'India, per cui questi ha respinto le richieste di clemenza. Il caso che ha sconvolto ogni democratico nel subcontinente indiano è stata l'esecuzione segreta di Mohd Afzal Guru. La Corte Suprema dell’India aveva prosciolto Afzal da tutte le accuse di essere parte di un’organizzazione terroristica nel processo per l’attacco al Parlamento del dicembre 2001. Il giudice aveva ammesso il fatto che c’erano solo prove circostanziali contro di lui. Ma poi la Corte Suprema ha confermato la condanna a morte di Afzal Guru con l’aberrante motivazione di ‘soddisfare la coscienza collettiva’. Lo Stato ha ulteriormente violato ogni procedura, eseguendo in segreto l’ordine si esecuzione di Afzal appena la richiesta di clemenza è stata respinta dal Presidente dell'India, senza neppure informare la famiglia della decisione finale. Questo sarebbe obbligatorio in ogni paese in cui si parli di stato di diritto e necessità di rispettare le procedure. Al contrario, si è potuto ascoltare il Ministro degli Interni riferire gongolante ai media la decisione di effettuare in segreto l'esecuzione, dato che nella sua saggezza il governo non voleva che la famiglia di Afzal ricorresse ad altri rimedi previsti dalla legge, compreso il regolamento carcerario! Successivamente, la Corte Suprema dell'India, confermando nel mese di aprile altre sette condanne a morte, aveva riconosciuto la necessità di seguire tutte le procedure relative ai diritti dei familiari della persona nel braccio della morte, in modo che tutti i possibili strumenti giuridici legali e regolamentari possano essere esperiti. Subito dopo l’esecuzione in ‘segreto’ di Mohd Afzal Guru, la Corte Suprema ha respinto la richiesta di Davinder Pal Singh Bhullar di commutare la condanna a morte in ergastolo per l’eccessivo ritardo nell’esecuzione, che in ogni caso deve essere considerato come la crudeltà aggiuntiva contro chi è nel braccio della morte. Dopo tutti questi casi il vacuo pretesto di confermare con la pena capitale in quanto esercitata solo in casi “più rari tra i rari” è evaporato di fronte alle statistiche che dimostrano che nei tribunali indiani sono stati comminate condanne a morte al ritmo di 133 all’anno negli ultimi dieci anni. Dunque, il caso più raro tra i rari ricorre nei tribunali indiani una volta ogni tre giorni! La maggior parte delle persone condannate a morte sono musulmani del Kashmir o musulmani in genere, ma anche dalit e altri settori di oppressi che sono fondamentalmente lavoratori agricoli senza terra.


Il ruolo dei media
Il ruolo ambiguo, sempre di mediazione, svolto dai mezzi di comunicazione, assume importanza in questo contesto. Nel subcontinente indiano del dopo 1947, come evidente nel processo costruzione dello Stato alla fine della seconda guerra mondiale, il mantenimento delle leggi repressive di eredità coloniale e la loro continua applicazione in tutte le aree in cui non c’era consenso alla formazione dello Stato indiano riflette il costante senso di insicurezza delle classi dominanti indiane. Lo stato di emergenza, o anche solo la percezione dell’emergenza, con conseguente ricorso a leggi straordinarie (repressive) per gestire la costruzione dello Stato come continuazione della logica imperialista in altri termini, affronta anche il contesto quotidiano come straordinario. Questo senso di emergenza per la ‘minaccia’ incombente che viene dal vicino stato pakistano, nonché dalle aspirazioni alla liberazione nazionale del Nord Est e del Kashmir si è ulteriormente ampliato con l’aggravarsi della crisi nel subcontinente, fino a comprendere i milioni lavoratori adivasi e dalit in fermento, nella forma del movimento maoista. In questo senso, l’ideologia della ‘emergenza’ è stata formulata in molti slogan populisti che oggi sono riciclati come ideologia della politica dello ‘sviluppo’. Dunque, il mantenimento della credibilità della logica della percezione/nozione dell’emergenza, evidente nella lettera e nello spirito delle leggi straordinarie (di sicurezza interna) e la legittimità della criminalizzazione di ogni forma di dissenso sono elaborati attraverso l’offensiva ideologica scatenata tramite i media.

È anche importante notare come, attraverso tutti questi arresti, lo Stato media il consenso verso la ‘minaccia’ percepita alla sicurezza nazionale. È sui mezzi di comunicazione che lo Stato articola i modi in cui sono percepiti gli arresti degli oppositori politici. Qui la descrizione sui media di questa ‘minaccia’/‘minaccia percepita’ alla sicurezza nazionale fabbrica decisivamente la percezione della ‘minaccia’ nel pubblico. La definizione di ‘sicurezza nazionale’ racchiude anche la composizione degli individui arrestati, avallandone così sottilmente la premessa e demarcando allo stesso tempo nel pubblico i confini della stessa definizione del concetto di sicurezza nazionale. Spesso il senso comune equipara la gravità di un problema/preoccupazione/intervento da parte dello Stato all’ammontare di denaro speso per esso. Come è evidente, le spese per sorveglianza, difesa e armamento da parte dello Stato sono saliti a livelli astronomici nel bilancio dello Stato indiano. Senza dubbio è cambiato anche l’impatto di queste normative di sicurezza interna sulla percezione della giustizia nelle opinioni della classe media.

L’esposizione dei processi mediatici contro gli arrestati prima ancora che inizi il processo in tribunale e la relativa indifferenza dei mezzi di comunicazione verso i reali processi in tribunale, spesso stereotipa un certo profilo dell’arrestato che rafforza la narrazione delle ‘minacce percepite’/’minacce’ spesso prevalente nei reportage dei media. È questo rafforzamento della percezione, che si sedimenta come memoria residua nella mente del pubblico, che spesso offusca l’opinione che si forma nel decidere ciò che costituisce una minaccia reale per il popolo il suo benessere. Il ruolo dei media come parte del processo di costruzione del consenso è quello di mistificare ulteriormente la realtà davanti al popolo. Qui si ha la convergenza tra la legge repressiva, come l’UAPA, e il ruolo mistificante svolto dai mezzi di comunicazione. La sacralità e autenticità di entrambe consistono proprio nel fatto che la percezione è realtà e non viceversa. Quanto più la realtà è mistificata tanto più diventa percezione e, quindi, realtà stessa. Con gli ingenti investimenti del capitale imperialista e compradore nei media, la normalizzazione del processo di crescente impunità degli apparati dello Stato e la cultura della paura dello sconosciuto dato dalla mistificazione della percezione, ha come risultato la crescita di cinismo, religiosità e servilismo, dilaganti tra vaste fasce della popolazione, che spianano la strada a uno Stato fuorilegge.

La marcia del subcontinente indiano verso uno stato di sicurezza nazionale dotato delle peggiori leggi repressive e di altri strumenti che calpestano il diritto alla libertà di associazione, di espressione, di protesta/dissenso, viene mediato attraverso il quarto potere con un’offensiva ideologica, sofisticata nella forma ma regressiva nel contenuto, con modi di mistificazione del presente che hanno radice nella visione attraverso il prisma di un passato mistificato per far posto a un futuro mistificato dove ogni valore e importanza è misurato/capito/apprezzato secondo la presenza o meno in esso di una certa quantità di capitale.


NCTC - NIA - UAPA - AFSPA - verso uno stato di sicurezza nazionale nel subcontinente
Le pressioni disperate dei ‘falchi’ rappresentanti dello Stato indiano – incapaci di contenere l’ondata di rabbia delle masse popolari, così come la crescente divisione nelle proprie file, che chiamano eufemisticamente ‘paralisi politica’ – che pongono come urgente un’agenzia centrale repressiva che affronti le attività ‘terroriste’ anti-governative che hanno nelle diverse parti del subcontinente indiano, hanno ottenuto che la commissione governativa centrale che si occupa delle questioni relative alla sicurezza accennasse alla formazione di una centrale nazionale anti-terrorismo (NCTC) già l’11 gennaio 2012. Il NCTC avrà tre dipartimenti distinti – il primo per la raccolta di dati rilevanti, il secondo di analisi e il terzo per l'adozione di misure repressive contro il popolo, quelli che saranno marchiati come ‘terroristi’. Il NCTC proposto sarà sotto il controllo della Central Intelligence Agency, anche se ci sono ancora molte perplessità contro questa proposta. Con sede principale presso l’IB (Intelligence Bureau ) a Nuova Delhi, il NCTC sarà guidato da un direttore aggiunto dell’IB. Ciò significa che il dipartimento centrale dell’intelligence ne avrà il controllo. Poiché tra i partiti della classe dominante non c’è consenso sulla concentrazione di potere nella NCTC, che si ripercuoterebbe pesantemente sul nominale federalismo dell'unione indiana, l’istituzione del NCTC si è arrestata, anche se, dopo le recenti esplosioni Hyderabad, ci sono tentativi di farla rientrare dalla finestra o, come si dice, in una forma ‘diluita’.

Già prima che si parlasse di NCTC, popolo del subcontinente ne ha conosciuto il precursore in un altro organismo repressivo, con il National Investigation Agency (NIA) Act del novembre 2008. Il NIA è stato creato per affrontare ‘attacchi terroristici... nelle aree interessate da attività armate e insurrezionali e in aree interessate da estremismo di sinistra’, ‘attacchi terroristici e attentati dinamitardi’, per gran parte dei quali si è ‘dimostrato che abbiano complessi collegamenti tra gli Stati e internazionali’, come sostiene il suo stesso sito web.


Impunità legalizzata – legge criminalizzata
Il NIA ha come suo bersagli i ‘terroristi’ (un termine sovraccaricato, che per le classi dominanti è tanto elastico da comprendere nella sua definizione qualsiasi forma di dissenso, più liberamente utilizzato contro la comunità musulmana), milizie e insorti (soprattutto i popoli che lottano per il diritto all’autodeterminazione, come i kashmiri, manipuri, naga, assamese e altri) e gli ‘estremisti di sinistra’ (cioè i maoisti). Queste sono le forze che il governo centrale tratta come minacce dell’ordine esistente. UAPA, NIA, NCTC sono tutte parti integranti della stessa lunga catena che calpesta apertamente i diritti del popolo e la sua lotta per la giustizia.

Ciò che il NIA fa, in sostanza, è legalizzare tutti gli atti di impunità finora perpetrati da polizia e paramilitari sotto l’egida della lotta al terrorismo. Per esempio, il recente sequestro effettuato dalla Sezione Speciale dell’ AP a Chandigarh in Punjab di leader studenteschi che dopo 6 giorni di detenzione illegale sono stati presentati nello stato meridionale di Andhra Pradesh. Si è saputo che ancor prima che il NIA fosse ufficialmente operativo aveva già la sua sede funzionante con uffici separati presso il Noida, alla periferia di Delhi. E mentre il dibattito sul NCTC non ha ancora deciso come la sua formazione influirà effettivamente sul funzionamento del NIA, tutte le ex sezioni di intelligence nelle diverse arre ‘disturbate’sono state fatte rientrare sotto l’ombrello di questa, con la polizia dell’AP (famigerata per gli atti di terrore contro movimenti popolari e la loro direzione) a dirigere le azioni illegali. È sempre più evidente che NCTC e NIA si apprestano legalizzare tutte le operazioni di tipo mafioso delle polizie e paramilitari dei singoli stati, come è stato per le bande di vigilantes. Inoltre, quando era Ministro degli Interni, P. Chidambaram ha preso l’iniziativa di introdurre Border Security Forces (BSF) Bill (emendato) per estendere la libertà di operazione in tutte le aree di confine in tutte le parti del subcontinente indiano.


Leggi draconiane
Alla fine della seconda guerra mondiale e con il trasferimento di potere sul subcontinente indiano alle classi dominanti parassitarie nazionali, la legittimità/realtà del dominio sul popolo è stata mantenuta, anche se con slogan populisti, ricorrendo all’adozione di una legge draconiana dopo l'altra per negare molti dei diritti fondamentali del popolo che la Costituzione indiana proclama di tutelare. Non è un caso che dei 395 articoli della Costituzione indiana adottata nel 1949, quasi 250 articoli sono stati presi più o meno pari pari dal coloniale Government of India Act del 1935. È importante dare un rapido sguardo a queste leggi per comprendere la natura della ‘democrazia’ indiana. Tutte le norme su stampa e sicurezza dell’epoca coloniale rimangono invariate all’interno della nuova Costituzione. Il vecchio apparato repressivo dello stato coloniale, il Codice Penale Indiano, il codice di procedura penale, la Legge di Polizia del 1861, le Norme di Difesa dell’India, le norme sulla detenzione preventiva, sono stati mantenuti. Il famigerato Land Acquisition Act del 1894, che autorizza i governi centrali e statali dell'India, apparentemente indipendente, ad acquisire terreni invocando ‘l’esproprio con finalità pubblica’ ecc., e molti altre leggi del genere sono state perfezionate dalle classi dominanti nel corso degli anni per continuare gli attacchi alla libertà del popolo, necessari per mantenere la loro legittimazione e autorità


L’ordinanza sui poteri speciali per le Forze Armate imposta dal governo coloniale britannico il 15 agosto 1942, è stata recepita e resa ancora più aggressiva nel 1958, quando il governo indiano ha emanato l’ Armed Forces (Special Powers) Act (AFSPA). Esso si applicava “ a tutti gli Stati di Assam, Manipur, Meghalaya, Nagaland e Tripura e ai Territori dell'Unione di Arunachal Pradesh e Mizoram” quello che oggi è chiamato il Nord-Est. Successivamente fu esteso al Kashmir. L'AFSPA attribuisce alle forze armate il potere di uccidere impunemente chiunque per il solo sospetto che la persona stia per commettere qualche reato. La Sezione 4 clausola c dell'atto, come emendato nel 1972, recita: “arresto senza mandato, contro ogni persona che abbia commesso un riconoscibile reato o contro cui esiste un ragionevole sospetto che abbia commesso o stia per commettere un riconoscibile reato, si può utilizzare la forza come può essere necessario effettuare l'arresto”. Ciò significa che chiunque può essere arrestato non per aver commesso un qualche ‘reato’, ma per un ‘reato’ che, a parere dell'autorità che fa rispettare legge, la persona potrebbe commettere in futuro se non gli è impedito di farlo. Dunque, per questa ‘legge fuorilegge’ una persona può essere arrestata e messa dietro le sbarre a tempo indeterminato senza aver commesso alcun ‘reato’. Queste leggi fuorilegge, non occorre precisarlo, sono state approvate per frenare la crescente resistenza del popolo. La legge sulla detenzione preventiva del 1950 è stata copiata pari pari dal Maintenance of Internal Security Act (MISA) del 1971, per il quale decine di migliaia di persone furono imprigionate tra il 1970 e il 1973 nel solo Bengala occidentale, per la stragrande maggioranza naxaliti. Prima e durante lo stato di emergenza (1975-1977) migliaia di persone – soprattutto naxaliti – furono uccise o fatte scomparire. Alla fine dello stato di Emergenza, MISA era diventata la parola più odiata. E il MISA è stato ipso facto copiato nella legge sulla sicurezza nazionale (NSA) del 1980.

In realtà, non c'è soluzione di continuità tra queste leggi repressive, che hanno avuto applicazione sia a livello regionale che sub-continentali. Sono stati successivamente approvati il West Bengal Prevention of Violent Activities Act, il Punjab Disturbed Areas Ordinance, il National Security Act (1980), il TADA (1985), il POTA, il Public Security Act in Kashmir e molte altre leggi e ordinanze.


UAPA – lo straordinario diventa ordinario; la percezione diventa realtà
Ogni ‘legge fuorilegge’ che si succede è un ulteriore attacco, rispetto alla precedente, alle libertà del popolo. Molte leggi riflettono l’agitazione crescente di nazionalità oppresse, adivasi, dalit, minoranze, contadini, operai, studenti ecc. L’ultima arrivata di questa lunga lista di leggi repressive è l’Unlawful Activities Prevention (Amended) Act del 2008, che si applica alle accuse di sedizione e non lascia quasi nessuna speranza di un equo processo in tribunale. Le posizioni contraddittorie prese dallo Stato sulla sua risposta al crescente malcontento popolare contro le leggi repressive in particolare, sono diventate evidenti quando, nel settembre 2004, il Presidente dell'India ha indirizzato al Parlamento indiano due ordinanze; una che abrogava il Prevention of `Terrorism Act (POTA) e l’altra che portava le stesse disposizioni della vecchia legge abrogata sotto un nuovo titolo, l’Unlawful Activities Prevention Act (UAPA). Il paradosso era che la nuova legge era più draconiana della precedente! Come già detto a proposito dell’Armed Forces Special Powers Act (AFSPA) anche per l’UAPA solo sospetto che assume una persona capace di commettere quello che viene definito come un atto di ‘terrorismo’ è sufficiente a metterla dietro le sbarre. Per qualsiasi legge che si presume debba combattere il terrorismo, il principio discriminante dovrebbe essere che le misure antiterroriste non dovrebbero facilitare, neanche in forma potenziale, implicita o deliberata, il terrorismo di Stato. È definita ‘attività terroristica’ (sezione 15) “qualsiasi azione con l’intento o minaccia o probabilità di minacciare” la “unità, integrità, sicurezza o sovranità dell’India o che possa incutere terrore nel popolo dell’India, di qualsiasi sua parte o in qualsiasi paese straniero...”. si lascia così all’immaginazione autorità di definire questo intento, e questa centralità all’elemento dell’intenzione rende l’UAPA (modificato) (2008 ), una delle peggiori leggi draconiane.

Secondo l’UAPA, chiunque può essere detenuto in custodia dalla polizia o in prigione per 180 giorni senza processo, in deroga al termine delle leggi ordinarie che è di 90 giorni, trascorsi i quali al prigioniero sarà concesso la libertà su cauzione. Durante questo periodo, il detenuto può essere portato alla stazione di polizia per essere interrogato tutte le volte che i funzionari di polizia lo ritengono necessari. È molto difficile ottenere il rilascio su cauzione ai sensi di questa legge.

Ci sono nell’UAPA molte clausole ancora più rigorose, che la rendono la peggior legge draconiana di sempre. Le affronteremo più avanti.

L’UAPA, come tutte le leggi emanate per contrastare il dissenso politico, è stato adottata nel 1967 per frenare la lotta di liberazione nazionale dei Naga. Applicata uniformemente in tutti gli altri stati, fu estesa dal governo centrale a Jammu e Kashmir il 1 ° settembre 1969 attraverso il provvedimento di emendamento costituzionale (applicazione di Jammu e Kashmir ) del 1969. La legge del 1967definiva le attività e le organizzazioni illegali, in particolare la procedura di messa al bando, in quanto illegittime, di quest’ultime.

La legge ordinaria di India è più rigida delle leggi anti-terrorismo di Regno Unito e Stati Uniti. Perfino nei draconiani TADA e POTA c’erano almeno disposizioni di riesame che garantivano che lo ‘straordinario’ in quelle leggi non si tramutasse in ordinario nella loro attuazione. Il principio fondante è che tutti sono sospettosi o sospetti, senza alcuna sottile distinzione tra i due. Ciò che si crea è uno stato sospettoso che dà potere a funzionari e cittadini sospettosi di agire sospettosamente contro ogni presunto sospetto.

Significativamente, più che mai in passato, la ‘minaccia’ percepita assume rilievo principale per definire la punibilità di un atto di un individuo/gruppo/organizzazione più che la fattispecie della stessa legge. Ai sensi della presente legge, la realtà percepita diventata sacrosanta rispetto alla stessa realtà.

Dunque, se da un lato c’è grande opposizione alla AFSPA che viene dai settori più sensibili, resta il fatto che con l’introduzione di NCTC, NIA e il pieno dispiegamento sulle masse popolari dell’UAPA, il subcontinente Indiano è sottoposto a uno stato di emergenza non dichiarato per giorni, mesi, anni. Il governo sostiene che queste leggi eccezionali sono prodotto e risposta a situazioni ‘straordinarie’. Ma con l’UAPA 2008 lo ‘straordinario’ è stato reso ‘ordinario’. Il temporaneo è diventato permanente, senza alcuna procedura di riesame.

Il NCTC, in realtà, è prodotto della collaborazione indo-americana. Nel popolo c’è sempre più consapevolezza del fatto che le questioni relative alla ‘sicurezza interna’ dell’India sono definite sotto i dettami degli imperialisti americani. Il NTPC è fascista, antipopolare e draconiano per natura, è inteso a reprimere le giuste lotte del popolo, a stroncarle sul nascere, ad affogare nel sangue i movimenti popolari per applicare le politiche centrali di saccheggio delle risorse e ricchezze naturali del popolo, causando, inutile dirlo, devastazione. Per lungo tempo dopo il 1947, è stato permesso a nuove Compagnie delle Indie Orientali di avere le loro basi nel subcontinente da parte dei governi, centrale e di stato, quale che fosse il loro colore, e queste stanno facendo scempio della terra, dell’ambiente, degli adivasi, dalit, lavoratori, poveri, piccolo borghesi e ampi settori della popolazione. La rivendicazione del rispetto dei diritti civili e democratici o dei diritti umani non è più questione di mero garantismo giuridicio, è diventata questione di vita o di morte per il popolo.

Nel 2005 è stato firmato un nuovo accordo quadro per le relazioni USA-India per la difesa, seguito dalla firma dell’accordo nucleare 123. Di fatto, il NCTC è stato istituito sotto i dettami e la guida degli imperialisti americani per dare agli USA la legittimità di condurre le sue azioni terroristiche nel subcontinente indiano. L’obiettivo della “politica anti- terrorismo” degli USA è creare una struttura in grado di raccogliere informazioni, svolgere operazioni sotto copertura, usare attori non statali, utilizzare droni, per affrontare le forze anti-americane, come abituati impunemente a fare nella loro lotta ai popoli di tutto il mondo, e in tutte queste operazioni, le agenzie di intelligence e le forze di sicurezza indiane agiranno a braccetto con le agenzie di sicurezza USA.

La situazione attuale ci riporta la realtà che la guerra non dichiarata condotta dal governo centrale indiano contro il popolo del subcontinente in molte parti dell’India sotto il nome di ‘Operazione Green Hunt’ è pienamente sostenuta e guidata dietro le quinte dalle agenzie americane. L’estensione e profondità di questo coinvolgimento sono evidenti se si studiamo i documenti della difesa e dei servizi segreti UDSA sugli interventi/operazioni antisovversivi fuori dei propri confini. In questi documenti si possono leggere i piani operativi della Operazione Green Hunt. Esercitazioni militari congiunte con le truppe americane nelle giungle di Mizoram, forniture di armi sofisticate e di UAV da Israele e loro uso nelle aree di lotte popolari, tutto ciò punta nella stessa direzione.

Per concludere, la stima approssimativa degli adivasi incarcerati per aver osato resistere contro le politiche cane-mangia-cane dello Stato indiano ha raggiunto una cifra non inferiore a 25000. Un numero enorme di dalit (alcune stime lo approssimano a 200.000) sono perseguiti dalla legge a vario titolo, dai piccoli furti alle imputazioni per motivi politici, in quanto gran parte dei dalit sono braccianti agricoli senza terra o sottoproletari. La forza lavoro dei dalit fornisce una fonte a buon mercato di massimizzazione dei profitti per i settori dei proprietari terrieri feudali e questa relazione di sfruttamento viene imposta attraverso l’ulteriore criminalizzazione della comunità dalit. Ampi settori della comunità musulmana, a migliaia, sono incarcerati nel corso della cosiddetta guerra al terrorismo per attentati dinamitardi e altri episodi o per essere parte di ‘reti terroristiche’ ‘organizzazioni terroristiche’. La maggior parte della classe artigianale, di cui una sezione importante viene dalla comunità musulmana, è alla fame per mancanza di opportunità e anche il loro crescente malcontento viene criminalizzato dallo Stato brahminico indiano sotto l’ideologia della guerra al terrorismo. Anche i settori più giovani ed istruiti all'interno della comunità musulmana sono facili bersagli della politica di ‘guerra al terrorismo’. Migliaia di musulmani kashmiri sono messi dietro le sbarre in risposta alla persistente rivendicazione del popolo di Jammu e Kashmir del diritto all’auto-determinazione. Per chiunque è ‘normale’ sospettare di un musulmano kashmir come minaccia alla ‘integrità’ dell’India. Lo spettro della crisi economica mondiale sta provocando linee di faglia in Asia meridionale con l’aumento della disuguaglianza tra campagne e città, agricoltura tradizionale e industria, grande industria ad alta intensità di capitale e piccole e medie industrie, tra aree di grande concentrazione di capitale e aree in cui è quasi o totalmente assente, tra ricchi e poveri, casta superiore e caste oppresse, tra le nazionalità oppresse e la grande borghesia compradora indiana, tra il popolo e il feudalesimo e l’imperialismo. Il profilo del prigioniero politico come bersaglio dello Stato dello sfruttamento per le sue azioni e convinzioni, non per interesse personale ma, direttamente o indirettamente, per il bene comune, è diventato più sfumato e complesso strettamente intrecciato con la lotta per i diritti civili e democratici, e anche con la lotta per farla finita con la base di tutte queste disuguaglianze e sfruttamento. La necessità del momento è realizzare a livello mondiale il consolidamento di tutte le lotte dei popoli, perché lottino uniti per la liberazione incondizionata di tutti i prigionieri politici, quali che siano le loro convinzioni politiche e ideologiche.

testo di provenienza PCI m tradotto dal comitato internazionale di sostegno in Italia
csgpindia@gmail.com

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