lunedì 27 gennaio 2014

pc 27 gennaio - IL LAVORO DOMESTICO E' SOCIALE - LA POSIZIONE DELLE COMUNISTE (da "L'emancipazione della donna" di Lenin)

"...Cuoca, autista, insegnante, psicologa, contabile, manager, addetta alle pulizie, operaia, lavandaia, babysitter. Dieci professioni in un corpo solo ma, ufficialmente, un non lavoro: casalinga. Stipendio effettivo? Zero euro. Retribuzione teorica ai prezzi di mercato? Quasi 7mila euro al mese. Circa 83 mila euro l’anno. Non una cifra a caso, ma il risultato di un preciso algoritmo — calcolato da una ricerca del sito americano Salary. com che monetizza la rivincita delle desperate housewives....
...Una casalinga avrebbe cucinato per 14 ore settimanali a 10 euro l’ora. Si sarebbe trasformata in autista, per figli grandi e piccoli, per 8 ore alla settimana a 10 euro l’ora. Avrebbe impartito ripetizioni per 13 ore la settimana, alla stessa cifra. Non solo. Per tamponare le varie crisi familiari si sarebbe trasformata in psicologa almeno 7 ore alla settimana, a 28 euro l’ora, e in manager a 40 euro l’ora...
Le casalinghe italiane, secondo i dati Istat, sono 4 milioni 879 mila. Una donna su sei. In parecchi casi sotto i 35 anni...". (Da Repubblica del 26.1.14)

Ben lo sanno le donne, sia casalinghe sia chi fa il doppio lavoro. Come ben lo sanno i governi che utilizzano il lavoro domestico per scaricare sulle donne il taglio dei servizi sociali, gli effetti della crisi sulle famiglie.
Il lavoro domestico è uno sfruttamento del lavoro delle donne, e il suo mancato riconoscimento sociale è chiaramente inaccettabile.
Su questo negli anni ’70 e in altri momenti vi è stato dibattito e lotta, ma anche posizioni diverse nel movimento delle donne: da un lato chi analizzando e denunciando il lavoro domestico non come fatto privato ma come lavoro sociale, di riproduzione della forza-lavoro e quindi funzionale al sistema di produzione capitalista, poneva la questione del salario al lavoro domestico come forma di riconoscimento della sua vera natura; dall’altro chi, pur partendo dalla stessa analisi, sosteneva che la battaglia delle donne dovesse essere per l’abolizione del lavoro domestico, per la sua socializzazione, perché invece nel fare del suo pagamento il centro, questo rischiava di essere una cristallizzazione del ruolo domestico della donna (della serie: una volta che ti pago, allora tu lo devi fare, sia che lavoro fuori o no), e quindi una conservazione del suo aspetto oppressivo e non una liberazione dal lavoro domestico.
Noi pensiamo che il problema delle donne e di una società socialista è liberare le donne dalla schiavitù domestica.
E' che questa è la battaglia principale. E che anche oggi debba ispirare possibili lotte, rivendicazioni su salario per il lavoro domestico, servizi sociali, pensioni più favorevoli per le donne, ecc. 
Ma la questione di fondo, ripetiamo, è, elevare la stessa coscienza delle donne che è il lavoro domestico che va abolito e socializzato, perchè esso non solo è un carico di fatica rilevante per le donne, non solo è un immane lavoro gratis, di cui gode il sistema del capitale per avere la riproduzione della forza lavoro da sfruttare e governi borghesi per tagliare costi sociali, ma è un'attività che incatena le donne, che abbruttisce le loro forze mentali e potenzialità sociali. 

Su questo riportiamo un pezzo del testo "L'emancipazione della donna" di Lenin:

"La donna, nonostante tutte le leggi liberatrici, è rimasta una schiava della casa, perchè è oppressa, soffocata, inebetita, umiliata dai piccoli lavori domestici, che la incatenano alla cucina, ai bambini e ne logorano le forze in un lavoro barbaramente improduttivo, meschino, snervante, che inebetisce e opprime: La vera emancipazione della donna, il vero comunismo incomincerà soltanto allora, dove e quando incomincerà la lotta delle masse contro i piccoli lavori dell'economia domestica o meglio dove incomincerà la trasformazione in massa di questa economia nella grande economia socialista..."

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