giovedì 16 gennaio 2014

pc 16 gennaio - In morte del criminale di guerra Ariel Sharon


«Ne faremo (dei palestinesi, ndr) un sandwich al pastrami,
infilandoci in mezzo una striscia di insediamenti ebraici
e poi un'altra ancora che attraversi da un capo
all'altro la Cisgiordania di modo che,
tra venticinque anni, né le Nazioni Unite, né gli Stati Uniti,
né nessun altro, riusciranno a farlo a pezzi».


Era l'anno 1973 e Sharon esponeva il suo progetto politico
a Winston Churchill III, nipote del primo ministro britannico.
Ariel Sharon è morto. Dopo otto anni di coma vegetativo causato da un doppio ictus, l’ex primo ministro israeliano è stato costretto alla morte dalla malattia che lo affliggeva da anni, ed è fuggito così, ancora una volta, al giudizio della Storia, la storia dei vinti e degli oppressi che cerca ancora di costruirsi una voce determinante nello scenario internazionale.
Il revisionismo di questi giorni in cui, dopo la sua morte, Sharon è stato omaggiato dalle più alte cariche nazionali e internazionali e dai media mainstream che esaltano ancora oggi sui giornali le sue qualità di generale militare e di – incredibilmente – uomo di pace, nella sua assurdità ci permette di ricordare Ariel Sharon per l'uomo che realmente è stato: uno tra i più grandi e spietati artefici del progetto e dell’apparato politico sionista e di conseguenza uno tra i più grandi carnefici del progetto di liberazione nazionale e sociale palestinese.
Queste parole potrebbero essere la sintesi dell'agire politico dell'ex premier israeliano descritto in questi giorni come il politico più controverso nella storia d'Israele, quando di controverso nel progetto politico che ha portato avanti con una luminosa carriera di massacri e di regolarizzazione e normalizzazione dell’occupazione e dell’apartheid sionista in Palestina c’è, ça va sans dire, ben poco.

Dalla partecipazione all’Haganah con il massacro di Qibya nel 1953 alle azioni militari durante la guerra dei Sei Giorni e dello Yom Kippur, dalle stragi di Sabra e Chatila nel 1982 che videro più di 3500 morti, alla pianificazione del Muro e della stutturazione dell’occupazione in Cisgiordania e a Gaza, Sharon è sempre stato protagonista e indiscutibilmente promotore - secondo gli stessi standard internazionali riconosciuti - di crimini di guerra e contro l’umanità, senza essere mai stato per questo processato e condannato dai tribunali internazionali.

Nel 2002, il “Tribunale per i Crimini di Guerra” dell’Aja lo mise sotto accusa, contando sulla testimonianza di Elie Hobeika, politico libanese, che fu però vittima, pochi giorni prima del processo, di un attentato con un’autobomba. Alla sua morte il processo venne rinviato e successivamente caddero tutte le accuse, portando ancora una volta il silenzio internazionale sulle migliaia di vittime e sopravvissuti che chiedono giustizia e verità sul suo operato politico, che non è mai stato discordante e estraneo al progetto politico sionista in Israele.

E così oggi il mondo ha dimenticato che Sharon si è opposto al trattato di pace nel 1979 con l’Egitto, che ha votato contro il ritiro delle truppe israeliane dal Libano nel 1985, che si è opposto alla partecipazione di Israele nella conferenza di Madrid del 1991 e al voto sugli accordi di Oslo alla Knesset nel 1993, mentre condannava il ritiro dal Libano nel 2000 e nel frattempo nel 2002 aveva portato alla costruzione di 34 nuove colonie illegali nelle terre palestinesi, lasciando oggi solo il 7% alla gestione palestinese, letteralmente rinchiusa in bantustan, in un immenso sistema carcerario a cielo aperto.
No, oggi Sharon è un uomo di pace, perché nel 2005 ha ritirato poche migliaia di coloni dalla Striscia di Gaza, quando tutti sapevano che quella scelta era dettata da un piano ben preciso: concentrarsi sulla costruzione e l’ampliamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est - oggi comprendenti 500.000 coloni – per lasciare il destino di Gaza nell’isolamento, nell’embargo, nell’assedio e nella disperazione.

Non a caso, il generale Sharon oggi viene semplicemente dipinto come “il bulldozer”, per il suo “pragmatismo politico” che ha scritto pagine e pagine di storia di Israele, una storia che puzza, però, di cadaveri, di razzismo, di indifferenza, di responsabilità mai chiarite di chi ancora oggi lascia che ci siano altri Sharon a continuare il progetto politico coloniale nei territori occupati e l’assedio sulla striscia di Gaza, altri Sharon ad implementare l’apartheid tra ebrei israeliani e arabi palestinesi, tra immigrati accettabili perché di “discendenza ebraica” e immigrati dell’africa subsahariana, considerati non identificabili come parte di una comunità umana che cerca di definirsi esclusivamente per caratteri etnici e inevitabilmente, nazionalisti.

Sappiamo allora che, i bulldozers, guidati dai nuovi Sharon di turno, continuano a distruggere e implementare la pulizia etnica nei territori palestinesi per rendere impossibile qualsiasi soluzione giusta e pacifica al conflitto, sappiamo che il sistema di sfruttamento che li guida non si ferma dinanzi a nessun obbligo morale perché non ha morale, ma fame di profitto e di conquista, ma, sappiamo anche che questi bulldozers possono essere fermati nonostante il seme velenoso della deportazione, nonostante le città bruciate, il ferro in gola e i ferri della prigione, perché contro tutta questa morte si ritroverà ad organizzarsi e vincere la vita, la vita di chi, escluso e dannato dalla barbarie che ci governa, saprà finalmente ridare senso semantico e pratico alle parole pace, giustizia e libertà.





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