sabato 19 gennaio 2013

pc 20 gennaio - Atti dell'assemblea nazionale Rete


LA RETE NAZIONALE E IL SIGNIFICATO DELL’ASSEMBLEA DI TARANTO DEL 7 DICEMBRE

Questo dossier-atti dell’assemblea nazionale del 7 dicembre è rivolto a tutti compagni operai, lavoratori, delegati, rls, familiari, associazioni affinchè si possa comprendere il ruolo e importanza, ma anche l’originalità nel panorama nazionale che l’assemblea ha avuto e l’impatto importante e pensiamo potente che dal piano di lavoro in via di definizione potrà venire e che dovrà attraversare, coinvolgere, ma anche rompere gli equilibri attuali in questo campo. E quando diciamo questo non alludiamo solo alle organizzazioni sindacali confederali che consideriamo complessivamente dall’altra parte della barricata quella dei padroni e dello Stato dei padroni, del parlamento e delle istituzioni complici dei padroni assassini, ma anche al sindacalismo di base, all’associazionismo
ambientalista, a quegli avvocati, esperti, che fanno poco su questo terreno e quasi sempre per
autopromuoversi piuttosto che contribuire a porre questo scontro all’altezza di quello che è necessario.
La Rete vuole unire le energie disponibili, ma anche dividere, spaccare quelle realtà che occupano questo terreno e quei personaggi che ne ostacolano e boicottano il lavoro, a Torino come a Taranto, a Milano come a Roma, nel Veneto come in Toscana, ecc.
L’assemblea di Taranto sia pure ancora su piccola scala è una dichiarazione di “guerra” che sarà portata fino in fondo, non dimenticando mai che questa Rete trasversale agisce ed è nata per portare avanti e contribuire a una ‘rivoluzione politica e sociale che affermi il primato della vita e della condizione degli operai, lavoratori, sul profitto del padrone e del capitale in genere’.


Riportiamo il COMUNICATO FINALE

Circa 70 lavoratori, compagni, rappresentanti di realtà di Taranto e di tutta Italia hanno partecipato all’assemblea nazionale a Taranto della Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro.
Al centro dell’assemblea la questione Ilva, ma non solo, sono state 4 ore di interventi con momenti moltoemozionanti quando parlano gli operai Ilva.
Un lungo applauso ha ricordato e salutato Claudio Marsella e Francesco Zaccaria, morti in meno di un meseall’Ilva. Questi operai, insieme a tutti gli altri operai morti sul lavoro, dalla Thyssen a Molfetta, rafforzanol’impegno del lavoro della Rete e vivono nelle nostre battaglie.
Sono intervenuti organismi provenienti dalla Lombardia con una delegazione articolata di compagni e operai, associazioni di ambientalisti, poi da Marghera, da Roma, da Bergamo, dalla Sicilia, da altre città italiane, insieme a adesioni, messaggi e materiali da tutta Italia, in particolare dalla Thyssen Torino, Napoli, Ravenna, Molfetta, ecc., dalle fabbriche della morte e dei siti inquinanti.
Si sono confrontanti con gli operai Ilva associazioni ambientaliste, ex lavoratori Ilva, abitanti di Tamburi e Statte, lavoratori del Cimitero, precari disoccupati, unendo qualità di analisi, polemica e passione, dando vita ad una assemblea inedita e senza precedenti per Taranto e non solo.
Importante anche la discussione sulla funzione e l’organizzazione unificante della Rete su scala nazionale, la riattualizzazione delle sue proposte in tutti gli ambiti, compreso magistratura/processi, funzione degli RLS, ecc.



Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro - 7 dicembre 2012

informazioni contatti adesioni:
e mail: bastamortesullavoro@domeus.it
blog: http://bastamortesullavoro.blogspot.it/



Da oggi inizieremo la pubblicazione quotidiana degli Atti con gli interventi e i messaggi dell'assemblea nazionale della Rete nazionale per la sicurezza sul posto di lavoro e sul territorio tenutasi a Taranto il 7 dicembre 2012, mentre in questo mese sono in corso le assemblee promosse dalla Rete ma assolutamente aperte a tutti -sulla questione Ilva come su tutte le altre vicende che toccano sicurezza e salute in fabbrica e sul territorio, con la presenza di compagni di Taranto, nella prospettiva di una grossa manifestazione nazionale a Taranto - periodo previsto seconda metà di aprile.


bastamortesullavoro@gmail.com

Introduzione

La Rete per la sicurezza sui posti di lavoro, è bene ribadirlo, è una realtà plurale, in essa vi sono organizzazioni sindacali stabili, lo Slai Cobas per il sindacato di classe e l’USI, ma di volta in volta raccoglie intorno alle attività e iniziative il maggior numero di realtà appartenenti anche ad altri sindacati di base e altri organismi che si occupano di sicurezza, salute e ambiente.

Il fatto che questa assemblea si tenga a Taranto è significativo del fatto che oggi a Taranto si combatte una battaglia decisiva per l’intero movimento dei lavoratori, per tutta l’opposizione, per tutti i cittadini le masse popolari che vogliono tutelare la loro salute e territorio.
È stato perciò giusto tenerla in questa occasione qui l’assemblea nazionale della Rete, come in altre occasione è stato giusto tenere iniziative e assemblee nazionali in altre città, nel momento in cui erano il centro della battaglia.
Per essere chiari, la nostra non è un’assemblea di Taranto e su Taranto. Discuteremo qui oggi tutti i temi, le lotte e le realtà su cui ci siamo impegnati e di cui ci stiamo occupando e che danno il quadro complessivo della situazione e della lotta in Italia sul fronte della salute e della sicurezza sui posti di lavoro e sul territorio.

Questo non è un convegno di specialisti, di tecnici del mestiere, anche se spesso tecnici e specialisti di diverse materie hanno partecipato e contribuito ad iniziative delle nostra Rete.
La Rete è una realtà militante, di compagni e organismi che si sono spesi in questi anni nelle fabbriche e sui territori su questi due fronti. Due manifesti affissi in sala danno l’idea delle tappe principali del lavoro fatto dalla Rete, visibile su scala nazionale, accanto ad un lavoro meno visibile, ma altrettanto importante.
Due sono state le manifestazioni nazionali importanti realizzate dalla Rete. Quella del 6 dicembre 2008 a Torino, a un anno dalla strage della Thyssenkrupp che costò la vita a 7 operai e di cui proprio ieri è stato il 5° anniversario. In quella occasione costruimmo insieme a tante realtà differenti una manifestazione nazionale, che resta tuttora, dopo 5 anni, l’unica manifestazione nazionale che portò a Torino cittadini, lavoratori, parenti e compagni, da Taranto, perfino dalla Sicilia, per un corteo di 5000 persone che ha contribuito tanto a fare di quella vicenda una questione nazionale, non soltanto sulle pagine della stampa, ma nella realtà dei posti di lavoro e sui territori.
E proprio in occasione del secondo anniversario della strage, che dalla Thyssenkrupp venne lanciato la proposta di tenere una grande manifestazione sulla salute e la sicurezza a Taranto. Cosa che realizzammo il 18 aprile del 2009, quando, molto prima che si muovessero i magistrati e tante altre realtà che oggi sono in campo, abbiamo fatto a Taranto una manifestazione nazionale, di cui potete vedere il manifesto e a cui parteciparono nazionalmente numeri che non stati raggiunti neanche da manifestazioni tenute in giorni più recenti e drammatici per questa nostra città. Pochi furono in quella occasione i cittadini di Taranto, circa 120 operai e una cinquantina di abitanti dei Tamburi, ma sfilarono in corteo quasi 5000 persone, in un gigantesco serpente che partì dai Tamburi e arrivo a Piazza Garibaldi, dove intervennero operai, familiari di vittime del lavoro, giuristi, artisti a tanti altri che contribuirono già allora a far diventare l’Ilva/Taranto una questione nazionale.
Certo quella manifestazione era più tematizzata sulle morti in fabbrica che sull’inquinamento, perché allora venivamo da una catena senza precedenti di morti operaie nella realtà dell’Ilva: 5 operai in due anni, che raggiungevano il numero complessivo di 43 operai morti durante la gestione Riva dello stabilimento di Taranto. Per diverse ragioni, ma dopo quella manifestazione non ci furono più infortuni mortali all’Ilva, fino ai tragici giorni delle ultime settimane, in cui altri due operai dell’Ilva sono morti sul lavoro.
Perciò il tema centrale allora fu come fermare quelle morti che allora, dopo la Thyssen e più della Thyssen, faceva dell’Ilva la fabbrica simbolo in cui l’inosservanza delle norme sulla sicurezza in nome del profitto provocava una catena infinita di morti sul lavoro.
Quella manifestazione fu un grande segnale, uno stimolo per tante altre realtà, che già esistevano sul territorio ma non si erano adeguatamente impegnate prima di quella manifestazione. Per esempio, alcuni operai che parteciparono a quella manifestazione oggi sono a capo del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, una realtà abbastanza grossa in questa città, ma con caratteristiche abbastanza particolari.

Dunque, la nostra Rete non ha mai fatto solo convegni, parole e documenti. Ha combattuto in questi anni per fare della sicurezza sul lavoro un tema centrale nella lotta sociale e politica in questo paese, certo avendo come obiettivo l’adozione di leggi, di misure, la conduzione di processi, articolando diverse proposte in questo senso, ma sempre tenendo la visione generale della necessità di trasformare l’intero sistema, perché abbiamo ben chiaro che non è possibile fermare in questa società la catena di morti sul lavoro e da inquinamento senza rovesciare i padroni di questa società, i padroni delle fabbriche, della finanza, i partiti politici e i sindacati legati ai partiti politici e ai governi dei padroni, che fanno sì che nelle fabbriche si sa quando si entra ma non se e come se ne esce e fanno sì che, all’esterno, quelle stesse fabbriche diventino, invece che fonti di benessere, fonti di morte.
La Rete è nata per questo e continuerà questo suo lavoro, siamo una Rete oggettivamente anti-istituzionale, perché non ci sentiamo rappresentati da nessuno, né dai partiti, né dai sindacati confederali, né dal governo; ma questo non ci ha impedito di mettere insieme di volta in volta le forze per pesare nel confronto con istituzioni e governo. Quando, ad esempio, c’è stata l’approvazione del TU 81 sulla sicurezza, una delegazione della Rete è stata in Senato per confrontarsi con i parlamentari che se ne occupavano per spingere affinché quel TU fosse il migliore possibile, desse ai lavoratori in fabbrica e non solo gli strumenti che permettessero loro di contrastare l’insicurezza sui posti di lavoro. Abbiamo presentato proposte di legge, tuttora in attesa di approvazione, alcune non sono mai arrivate ad essere discusse, nonostante vari parlamentari abbiamo spesso partecipato alle iniziative della Rete promettendo il loro impegno. Tra queste , quella per una corsia preferenziale che acceleri i processi per responsabilità sulle morti sul lavoro o quella perché sia accettata senza altre condizioni la costituzione di parte civile negli stessi processi delle associazioni di familiari e sindacali anche dei lavoratori superstiti, restano battaglie ancora tutte da fare e vincere.
Stiamo stati anche attivi nei processi, in alcuni come parte civile; abbiamo realizzato un presidio permanente durante tutte le udienze dei processi Thyssenkrupp ed Eternit, e questo ha pesato sul clima che si è creato in tribunale e che ha portato a pesanti condanne contro i padroni e sancirne le responsabilità per assassini di massa come quelli perpetrati alla Thyssenkrupp e nel territorio della Eternit. Tanti lavoratori, familiari hanno trovato nella presenza della Rete un punto di riferimento stabile.
A Taranto siamo stati noi i fondatori dell’’Associazione 12 giugno’, insieme ad alcuni familiari. Sappiamo che, una volta formate, le associazioni camminano sulle loro gambe, ed è giusto che sia così. Ma rivendichiamo che come parte del lavoro della Rete sia nata la prima associazione di familiari che non si è limitata a chiedere indennizzi per i sopravvissuti, ma ha posto chiaro l’obiettivo che non si muoia più sui posti di lavoro, trasformando il dolore dei familiari in forza irriducibile di lotta. Figure come quella di Franca Caliolo, moglie dell’operaio morto il 18 aprile 2008, sono diventate figure riconosciute e punto di riferimento in tutta Italia per tanti altri familiari di lavoratori morti sul lavoro. Grazie alla Rete, l’Associazione 12 giugno e le altre in relazione con noi, si sono mosse non solo per assistere i familiari ma per trasformare gli stessi familiari in protagonisti di una battaglia di denuncia e di avanguardia affinchè non ci fossero più “familiari di morti sul lavoro”.

La Rete afferma con forza che la trincea principale della lotta per la difesa della vita degli operai è la fabbrica e che gli operai hanno bisogno di avere più forza e più potere in fabbrica per contrastare le morti sul lavoro. Per questo la Rete ha proposto l’estensione per legge delle prerogative degli RLS, che devono essere tutelati durante e dopo il loro mandato per evitare la situazione di oggi in cui là dove gli RLS non sono corrotti o acquiescenti, gli si impedisce di svolgere la loro funzione, e alla fine vengono perseguitati e perfino licenziati se operano seriamente. Su questo ci sono stati casi su cui abbiamo fatto campagne nazionali. Per noi gli RLS devono avere potere ampio in fabbrica per muoversi, controllare, bloccare impianti, senza rischiare di essere puniti per questo. Abbiamo chiesto che gli RLS non siano nominati da un sindacato, perché la sicurezza non può dipendere dal sindacato da cui si appartiene, la carica degli RLS non può essere la riserva per i delegati RSU trombati alle elezioni, ma che siano eletti su scheda bianca da tutti gli operai della fabbrica, indipendentemente dalla loro tessera sindacale, per dagli un’investitura generale che sussidi il potere che necessariamente deve avere per incidere realmente. Solo così gli RLS possono diventare anche delle sentinelle in fabbrica sull’utilizzo della fabbrica stessa, anche sulle emissioni nocive che dalla fabbrica si riversano sul territorio provocando spesso disastri come quelli che stiamo vivendo a Taranto.
Senza il potere degli operai in fabbrica, attraverso le loro organizzazioni sindacali, i loro RLS nessuna lotta per la sicurezza è realmente vincente e non c’è magistrato o legge che garantisca la vita dei lavoratori. Senza potere dei lavoratori in fabbrica non è possibile bloccare alla fonte le ricadute delle lavorazioni sul territorio che in alcuni luoghi sono diventate realtà tanto drammatiche.

Tutto questo la Rete ha sostenuto in questi anni e non lo ha fatto aspettando i magistrati, aspettando che ci scappasse il morto, si è battuta perché i vivi facessero questa lotta, perché non fossero invece, per così dire, i morti a seppellire i vivi, come nel caso in cui si ipotizza la chiusura di interi impianti industriali dove invece la classe operaia potrebbe avere la forza materiale per cambiare lo stato delle cose.
La Rete ha continuato a fare la sua lotta ovunque è presente ed è necessario. Chiunque conosca la Rete sa, ad esempio, che appena muore un immigrato in un cantiere all’Università, in piena rivolta studentesca, come è successo nel dicembre 2008, è stata la Rete a prendere in mano la questione per farla diventare patrimonio di lotta sia degli studenti, sia dello stesso movimento sindacale, non solo dei sindacati ufficiali ma anche in quelli base che sono tutti tuttora abbastanza sordi di fronte alla necessità di impegnarsi con continuità nella battaglia su questo fronte.

Altre stragi sul lavoro hanno attraversato il nostro paese. All’Eureco di Paderno Dugnano, dove ci sono cittadini e familiari che combattono, la Rete è lì, opera quotidianamente.
A Marghera, dove già qualche anno fa si è posto con grande e tremenda urgenza lo scontro tra operai che volevano il lavoro e cittadini che volevano un ambiente sano, questione che certo non è stata risolta a Marghera nonostante i miliardi spesi e gli accordi di programma, tutte cose che oggi si chiedono per Taranto, come se i miliardi dallo Stato e accordi di programma fossero una soluzione. A Marghera ci sono stati gli uni e gli altri ma lì si continua a morire dentro e fuori della fabbrica. Non solo, in fabbrica oggi, al posto degli operai a tempo indeterminato abbiamo una catena di lavoratori con contratti precari, per lo più immigrati che non hanno nessuna sicurezza né di lavorare, né di tornare a casa, e neppure di essere pagati!
A Molfetta, città di un’altra strage, è stata la Rete che con la sua azione, in collaborazione coi familiari, ha portato nel processo ad incriminare i veri responsabili, l’Eni di Taranto, anche se la prima sentenza non ci ha dato ragione.
E ancora, a Ravenna, dove ci sono stati due morti connesse al lavoro interinale, gestito da agenzie e cooperative a loro volte facenti capo a sindacalisti, è la Rete che ha portato alla luce questa realtà, ricavandone denunce, querele, processi a carico dei nostri compagni.
La Rete ha trasformato la geografia delle stragi sul lavoro, dei siti inquinanti, delle morti in fabbrica nelle tappe di una marcia costruendo, per così dire, un legame di sangue tra una realtà e l’altra. Certo, in generale lo abbiamo fatto con forze molto modeste e con difficoltà a coinvolgerne altre, cosa che solo in occasione degli eventi maggiori siamo riusciti a realizzare.

Per questo oggi la Rete è qui a Taranto, promossa dai compagni, dai lavoratori, dagli attivisti dello Slai cobas di Taranto, ma sicuramente qui noi non siamo tarantini, siamo proletari, siamo cittadini del mondo, che ritengono che ovunque si muoia sul lavoro sia nostro compito ribellarci.
Per questo è molto importante ricordare che altrove nel mondo si muore molto di più che nei nostri paesi. 150 operai sono bruciati vivi in una fabbrica in Bangladesh, nostri fratelli di classe che sentiamo tali come i tarantini che muoiono in questa città e in questa fabbrica. E avere senso della giustizia e avere a cuore la salute significa guardare a queste realtà come a una battaglia generale, nazionale e internazionale, perché i padroni agiscono a livello internazionale. Nello stabilimento di Novi Ligure dello stesso Riva ci sono stati negli ultimi mesi un morto e ferito grave. Il figlio di quel Riva è latitante e oggi fa sapere di essere pronto a costituirsi in Inghilterra, significa che si ritiene appartenente al mondo, al mondo dei padroni. A quel mondo dobbiamo opporre il mondo dei proletari, non la “tarantinità”. È giusto che a Taranto tutti i cittadini si sollevino, ma questa non è questione che appartiene alla sola Taranto. l’Ilva è la grande fabbrica del paese, la seconda in Europa, una delle più gradi nel mondo. Questa battaglia si vince su scala nazionale e internazionale.
Lo dimostra il fatto che nonostante le proteste, le ribellioni, spesso molto numerose e combattive dei cittadini di Taranto, un Clini qualsiasi di un governo qualsiasi, per decreto azzera i processi in corso e ti dice: “o magi questa minestra…”. Come si può pensare che solo la città debba rispondere e possa risolvere questi problema? La città è perdente se risponde solo e soltanto come città. È perdente se pensa che le istituzioni, che hanno sostenuto Riva, possano essere una soluzione. Tutte le istituzioni, nessuna esclusa.
Dunque la Rete è qui innanzitutto per dare il suo apporto alla battaglia in corso a Taranto, per portare l’Ilva di Taranto ovunque, in ogni processo. Ieri ad esempio c’erano dei familiari della Associazione 12 Giugno al processo Thyssen di Torino e i lavoratori Thyssen sono virtualmente presenti oggi qui con un loro testo, dato che non hanno potuto organizzarsi per venire di persona per la prossimità dell’anniversario della strage.
Al processo Thyssen per la prima volta i padroni sono stati incriminati per omicidio volontario, rendendo possibile delle condanne che hanno fatto scalpore. In quel processo si è ottenuto il riconoscimento come parte civile non solo dei familiari delle vittime, ma anche degli operai che hanno rischiato la vita nella stessa fabbrica. Così sono state migliaia le parti civili ammesse al processo Eternit. A Taranto un processo del genere potrebbe riguardare decine di migliaia di cittadini e allora si può capire che se non si mettono in rete le esperienze positive che ci sono state ai processi Thyssen ed Eternit così come quelle negative che ci sono state in tanti altri processi finiti nel nulla, non si riuscirà neanche a Taranto a ottenere un minimo di giustizia.
Abbiamo qui oggi una delegazione di lavoratori dei servizi cimiteriali, che non sono né abitanti dei Tamburi né operai dell’Ilva, ma che come e più di loro respirano le polveri dei parchi minerari, dato che il cimitero di Taranto si trova a pochi metri dai parchi minerari dell’Ilva. Come faranno a ottenere giustizia senza mettersi in rete con una visione generale?

Tutto questo dà un’idea dei problemi di cui la Rete deve farsi carico e gestire come Rete nazionale, non tanto come sindacato. È giusto che cittadini e lavoratori siano molto diffidenti verso sindacati che non li hanno tutelati. È giusto che nei processi si associno in associazioni che possano garantire tutti e non lasciare il singolo lavoratore o cittadino nelle mani dell’avvocaticchio di turno a caccia pubblicità.
La Rete è anche uno strumento di questo tipo. Uno strumento di mobilitazione di proposta di piattaforme, di sensibilizzazione generale e organizzazione particolare affinchè i lavoratori ottengano ciò che vogliono ed è necessario che ottengano se si vuole mettere fine all’orrore senza fine delle morti da lavoro e da inquinamento.
In questo senso la riunione di oggi a Taranto ha il significato di una Rete che prende nelle sue mani questa battaglia nazionale, nel confronto con quelle realtà cittadine che con la Rete vogliono confrontarsi, per fare insieme questa battaglia, insieme sotto le bandiere della lotta per il lavoro, la sicurezza e la salute.

pc 19 gennaio - contestazione studentesca a Palermo all'inaugurazione dell'anno accademico all'università

Oggi gli studenti dell'università di Palermo hanno contestato il Rettore Lagalla e altri personaggi istituzionali  contro l'inaugurazione-farsa del nuovo anno accademico.

La cittadella è stata fittamente riempita di camionette della polizia, volanti e sbirri in borghese per la riuscita dell'inaugurazione.
Presenti diverse decine di studenti, questi hanno voluto esprimere il loro dissenso nei confronti del Rettore e di tutti gli esponenti dell'università, hanno aperto uno striscione davanti la facoltà d'ingegneria (dove stava per cominciare l'evento) e a colpi di slogan hanno infastidito la cerimonia e i partecipanti.

Il giorno successivo all'applicazione definitiva del decreto Gelmini nell'ateneo palermitano, "non abbiamo nulla da festeggiare" hanno gridato al megafono gli studenti: non ci sta bene che l'università venga smantellata per colpa dei responsabili che, collaborando attivamente o all'applicazione delle riforme del governo, vogliono scaricare i costi della crisi sugli studenti. 
Mentre venivano denunciate le precarie condizioni dell'università palermitana a causa della riduzione dei fondi destinati all'istruzione pubblica, la riduzione delle borse di studio e delle mense, il livellamento verso il basso dell'istruzione basata sulle logiche del profitto, il Rettore intratteneva il sindaco di Palermo Orlando che, giunto alle porte della facoltà, è stato criticato a suon di "non ci rappresenta nessuno" e "vergogna".

Al suo arrivo, gli studenti hanno tentato di entrare all'interno dell'aula magna ma sono stati bloccati dallo schieramento della polizia che ha sbarrato l'ingresso, provocando così qualche piccola tensione e spintone tra i poliziotti e gli studenti.

Rimasti davanti ai poliziotti in cordone, gli studenti hanno denunciato quanto fosse grave il fatto di impedire loro il diritto di parola all'inaugurazione, in quanto avrebbero interrotto le "belle parole" (e il successivo buffet, a carico di chi paga le tasse!) di Lagalla e company per dare il punto di vista di chi subisce le riforme e l'austerity giornalmente, sempre più pesantemente; "chiediamo diritti ci danno polizia, è questa la loro democrazia" è stato lo slogan gridato mentre la polizia spingeva gli studenti per allontanarli dalle porte.

Alcuni studenti, aderenti al Circolo di proletari comunisti, in particolare hanno ribadito che, proprio perché dal centro-destra al centro-"sinistra" le riforme sono sempre a discapito delle masse popolari, anche in questa occasione nessun voto per le prossime elezioni nazionali ma un'azione invece di boicottaggio attivo che indichi la via della ribellione contro il sistema.

Un'azione di lotta significativa quella di oggi, l'intento dei giovani era quello di interrompere la farsa e, nonostante non si siano introdotti nell'aula magna, hanno dato filo da torcere agli organizzatori della cerimonia disturbandola con il baccano, la denuncia, gli slogans senza sosta.


slp

pc 19 gennaio - Interdizione dai pubblici uffici? Ride ben chi ride ultimo. Iurato, Gratteri, da L'Aquila al mondo intero,aspettiamo ancora di farci una sazia risata. Sarà una risata che vi seppellirà!

Indagine appalti "sicurezza": L'Aquila, le risate al telefono del prefetto Iurato con l'ex capo dello SCO (servizio centrale operativo) Francesco Gratteri: io, commossa per finta.

La conversazione risale al 28 maggio 2010, la Iurato sta parlando con Francesco Gratteri, già capo della Direzione centrale anticrimine, condannato (si fa per dire) a 4 anni per l’irruzione nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova del 2001.

Il gip di Napoli Claudia Picciotti ha firmato un'ordinanza di interdizione dai pubblici uffici nei confronti dei prefetti Nicola Izzo, ex vicecapo della Polizia, e Giovanna Iurato, ex prefetto dell'Aquila, indagati nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza. Izzo è indagato nella sua qualità di autorità di gestione dei fondi Pon sicurezza, mentre la Iurato è chiamata in causa nella qualità di direttore dell'asse 1 dei fondi Pon sicurezza.

Particolare inquietante, poco dopo il suo insediamento nella carica di Prefetto dell'Aquila, città sconvolta dal terremoto, Giovanna Iurato «scoppiava a ridere ricordando come si era falsamente commossa davanti alle macerie e ai bimbi rimasti orfani», stigmatizzano i pm di Napoli commentando una telefonata del prefetto intercettata.
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I magistrati napoletani - titolari dell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza nell'ambito della quale Iurato è indagata per turbativa d'asta - fanno riferimento a una telefonata fra la stessa Iurato e il prefetto Francesco Gratteri, intercettata il 28 maggio 2010.

«Commentando la sua prima giornata ufficiale - scrivono i pm - nella città martoriata dal terremoto (definita sarcasticamente da Iurato "una città inesistente, che non c'è"), scoppiava a ridere, ricordando come si era (falsamente) commossa davanti alle macerie e ai bambini rimasti orfani. Una risata non giustificabile dalle circostanze e dagli eventi tragici di quelle ore, che avrebbero imposto al rappresentante del Governo di assumere comportamenti ben diversi e non certo (a proposito di cinismo) legati alla predisposizioni di condotte e strumenti atti a prevenire e/o scongiurare indagini in corso».

Appalti sicurezza a Napoli, ex capo Dia rivelò nomi indagati
L'ex capo della Dia, generale Antonio Girone, avrebbe rivelato i nomi di alcuni indagati nell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza a Napoli. È una circostanza all'esame della Procura di Napoli che nel corso dell'inchiesta ritirò nei mesi scorsi la delega alla Dia per affidare le indagini al Nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza.

La vicenda è riportata nella richiesta di misure cautelari firmata dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e dai pm della Dda Vincenzo D'Onofrio, Raffaello Falcone e Pierpaolo Filippelli.

Della presunta fuga di notizia si fa riferimento in una telefonata intercorsa tra i vicecapi Francesco Cirillo e Nicola Izzo (quest'ultimo dimessosi e coinvolto nella inchiesta). La telefonata risale al 2 giugno 2010. L'argomento al centro della conversazione è l'inchiesta napoletana e l'eventuale coinvolgimento di alti dirigenti del Viminale.

Gli inquirenti riportano anche la sintesi di una precedente telefonata tra il prefetto Giovanna Iurato e Izzo «nel corso della quale - scrivono i magistrati - concordando la linea difensiva comune da adottare innanzi ai pm, la prima riferisce di ricevere indicazioni e notizie dal Generale Girone su quale fosse la linea investigativa seguita dalla pubblica accusa. Generale Girone, che all'epoca dei fatti era il Capo (nazionale) della Direzione Investigativa Antimafia, e quindi a conoscenza delle più importanti attività di indagini che gli organi periferici (e in particolare il centro operativo DIA di Napoli)».

«Lo stesso Girone che evidentemente, stando alle parole della Iurato, - osservano i pm - non si limitava a fornire informazioni (coperte da segreto investigativo), ma anche a 'dettarè, in forza della sue conoscenze particolareggiate degli atti di indagine, una linea difensiva 'utilè alla sua posizione processuale».

«In altre conversazioni emerge la reiterazione dei contatti tra la Iurato e Girone, nonché i contatti tra quest'ultimo e l'altro vice-capo della Polizia, Francesco Cirillo a cui - scrivono gli inquirenti - comunica illegittimamente il nominativo delle persone iscritte nel registro degli indagati».

Durante la conversazione Nicola Izzo chiede se «Giovanna è indagata o meno». Francesco - sintetizzano gli investigatori - riferisce che «Girone gli ha detto che gli indagati sono: Giovanna (Iurato), Saporito (Salvatore, morto poi suicida, ndr) e poi esce fuori anche Castrese De Rosa».

Concessi i domiciliari all'ex provveditore Mautone
Il gip Claudia Picciotti, infine, ha disposto l'attenuazione delle misure cautelari per una serie di indagati destinatari di provvedimenti restrittivi nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza a Napoli. La decisione è stata adottata a conclusione di tutti gli interrogatori di garanzia.

Sono stati concessi gli arresti domiciliari alle persone che erano finite in carcere: l'ex provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone, l'ad di Telespazio ed ex amministratore delegato di Elsag Datamat spa Carlo Gualdaroni, Francesco Subbioni, ad di Electron Italia e consigliere di Elsag, e Lucio Gentile, indicato come faccendiere e intermediario. Obbligo di firma è stato invece adottato nei confronti degli indagati che erano agli arresti domiciliari, tra i quali l'ex questore di Napoli Oscar Fioriolli.

pc 19 gennaio - Per Visco, presidente della Banca d'Italia, bisogna continuare a fare sacrifici...


Gli studenti che ieri hanno contestato il presidente di Bankitalia Visco sono stati allontanati con la forza e poi “rimproverati” dagli addetti ai lavori, e cioè dai lecchini sempre a disposizione di simili personaggi, di non aver letto la relazione e quindi implicitamente di non capire quello che Visco stava dicendo. Una giornalista del sole 24 ore oggi dice che si è trattato di una Lectio Magistralis di grande spessore scientifico!

E che cosa diceva Visco?

“La ripresa in Italia «sarà lenta e difficile, perché bisognerà affrontare il problema di crescita strutturale». Riprendendo il Bollettino della “Banca d'Italia che rivede al ribasso le sue previsioni portando la stima del pil per il 2013 al meno uno per cento (a luglio scorso gli economisti di via Nazionale stimavano per quest'anno un meno 0,2 per cento).”
“«Al di là della congiuntura sfavorevole, il nostro Paese deve saper trovare le motivazioni e gli incentivi per affrontare con decisione il problema della crescita»” E fin qui solo frasi vaghe che non significano niente!
“«Guadagni di competitività possono essere solo il risultato di un impegnativo ma imprescindibile disegno organico di riforma».” Insomma sulla scia del governo Monti e oltre… “Si va «dalle liberalizzazioni nell'accesso ai mercati al loro migliore funzionamento e al sostegno dell'accumulazione del capitale umano e fisico, [sott. nostra] dal miglioramento della qualità dei servizi pubblici alla riduzione degli ostacoli burocratici, dal contrasto all'evasione fiscale e alla corruzione a una maggiore efficienza della giustizia civile».” Tutte cose che i padroni grandi e piccoli dicono e scrivono ogni giorno al governo perché faccia il suo lavoro!

Quindi la crisi c’è ed è peggio di quello che si pensava. Se ne può uscire? Lo “scienziato” Visco non lo sa ma la butta lì, usando il condizionale: “L'uscita ravvicinata dalla crisi e il ritorno alla crescita dovrebbe essere assicurato dal recupero degli investimenti: non dai consumi, destinati a scendere di quasi due punti percentuali anche nei prossimi mesi … visto che il tasso di disoccupazione appare destinato a toccare il 12 per cento nel 2014.” E perciò “occorre che non vengano vanificati i risultati ottenuti in termini di minor fabbisogno” [Minor fabbisogno e avanzo primario significano che lo Stato spende meno di quanto incassa].

Per evitare qualsiasi fraintendimento contro cui si deve indirizzare la giusta rabbia che nasce da tutto questo Visco puntualizza: “Un punto, però, deve essere chiaro…: «Noi viviamo in un'economia di mercato e bisogna che il mercato funzioni bene. Questo non vuol dire combattere i profitti per i salari; vuol dire combattere le rendite». Quindi niente lotta contro i padroni che fanno profitti…

Per darsi poi un contegno e dare una “risposta” agli studenti che lo hanno contestato Visco “alla funzione essenziale della scuola per lo sviluppo economico crede moltissimo «il capitale umano è fondamentale.»”
  
Tutta questa manfrina “di grande spessore scientifico” per dire che bisogna continuare a fare sacrifici anche nei prossimi anni e che la scuola deve formare giovani che servano al Capitale!

Davanti a tanta arroganza e menefreghismo avevano o no ragione gli studenti che hanno contestato in maniera fin troppo civile questo parassita sociale che incassa uno stipendio da favola per portare avanti una politica che aiuta le banche e i padroni, i ricchi insomma, e raccontare e ripetere fesserie sull'economia e sul “capitale umano”?

pc 19 gennaio - Berlusconi/Monti/Marchionne, dal moderno fascismo istituzionale al fascismo padronale




Cav,a Monti più poteri dei fascisti

Ha usato i decreti legge anche per cose ordinarie

18 gennaio, 22:48
(ANSA) - ROMA, 18 GEN - ''Il governo Monti ha agito con maggiori poteri di quello fascista. Ha usato il decreto legge anche per cose ordinarie''. Lo afferma Silvio Berlusconi al programma Italia Domanda.

Fiat: Berlusconi, stimo Marchionne

Auguri per la produzione di nuovi modelli in momento difficile

18 gennaio, 22:10
(ANSA) - ROMA, 18 GEN - ''Ho grande stima di Marchionne, penso sia una persona seria. Credo abbia assolutamente la possibilita' e l'intenzione di mantenere la produzione della Fiat in Italia''. Lo ha detto Silvio Berlusconi a 'Italia domanda'. ''A Marchionne faccio gli auguri perche' in questo momento cosi' difficile la Fiat possa produrre nuovi modelli non solo per l'Italia ma per conquistare tutto il mondo'', ha concluso.

venerdì 18 gennaio 2013

pc 18 gennaio -«Contro la crisi e l'austerità fuori Bankitalia dall'Università»: il governatore Visco contestato a Firenze





FIRENZE - «Contro la crisi e l'austerità fuori Bankitalia dall'Università». Questo uno degli slogan scanditi dagli studenti dei collettivi di sinistra che hanno contestato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, interrompendo la sua lectio magistralis, nel corso della breve manifestazione nell'Aula Magna dell'Università di Firenze. Gli studenti hanno anche diffuso alcuni volantini in cui spiegavano i motivi della contestazione contro Visco ma anche contro la Bce e il governo di Mario Monti.

L'ingresso degli studenti dei Collettivi nell'Aula Magna dell'Università di Firenze aveva costretto il governatore di Bankitalia a interrompere la sua lectio magistralis. In precedenza, il rettore dell'Ateneo era uscito dall'Aula per cercare di calmare la protesta degli studenti.

La replica del governatore. «Devono leggere la relazione». Così il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha risposto ai cronisti che al termine della lectio magistralis all'università di Firenze gli chiedevano un commento alla contestazione messa in atto dagli studenti dei collettivi di sinistra. «Siete sicuri che fossero studenti?», ha commentato Alessandro Petretto, docente di economia e assessore al Bilancio del Comune di Firenze, rivolgendosi ai giornalisti mentre il governatore l'Aula Magna.

Venerdì 18 Gennaio 2013

pc 18 gennaio - Sbirri impuniti dopo avere massacrato di botte un tifoso bresciano: assolti a Verona


18 GENNAIO 2013

Ingiustizia è fatta!!: Assolti i poliziotti che hanno massacrato di botte Paolo Scaroni

Gli otto poliziotti del reparto celere di Bologna che hanno pestato, massacrato di botte e ridotto in fin di vita, Paolo Scaroni, ultras del gruppo Brescia 1911 durante una carica contro i tifosi bresciani in trasferta a Verona il 24 settembre 2005, sono stati assolti per insufficienza di prove.

Tutti assolti. Il Tribunale di Verona, otto anni dopo i fatti per i quali Paolo Scaroni è rimasto invalido al 100%, decide che gli otto agenti della Celere di Bologna intervenuti alla stazione di Porta Nuova nel settembre 2005 non sono responsabili delle lesioni gravissime. Assolto anche Vladimiro Rulli, per il quale era stato chiesto il proscioglimento.

La sentenza di primo grado arriva al termine di un processo durato anni e non raccoglie la richiesta di condanna a otto anni formulata dal pm per Luca Iodice, Antonio Tota, Massimo Coppola, Michele Granieri, Bartolomeo Nemolato, Ivano Pangione, Giuseppe Valente e Leonardo Barbierato.

Appena pronunciata la sentenza, arrivata dopo tre ore di Camera di Consiglio, qualcuno in aula ha urlato: vergogna. Paolo Scaroni e la sua famiglia, presenti in aula, sono scoppiati in lacrime. All'uscita è stato accolto dall'applauso di circa 500 tifosi, riuniti davanti al Tribunale.

pc 18 gennaio - ilva - il prefetto va verso la precettazione al servizio di padron riva

il prefetto ha posto la questione sicurezza così come gliel'ha prospettata l'Ilva e ha chiesto, riferiscono fonti sindacali, che nelle prossime ore 87 persone tornino al lavoro nelle due acciaierie per salire poi a 130 unità nella giornata di domenica. Si va verso la precettazione degli operai.

lo slai cobas per il sindacato di classe considera falsa l'affermazione aziendale di rischio grave degli impianti che giustifichi la precettazione e considera questa una intimidazione antioperaia in chiave preventiva verso lunedì che dovrà esserci una mobilitazione generale degli operai

 

pc 18 gennaio -Ilva impianto bloccato- l'azienda chiede l'intervento delle forze dell'ordine- il governo convoca un vertice straordinario

dalla sala del consiglio di fabbrica occupata dagli operai viene la decisione di proseguire ad oltranza la lotta - gli operai si stanno dando dei turni di presenza - e il blocco di tre varchi al porto e della portineria delle merci

non è vero che l'impianto può esplodere e vi sia un rischio grave per gli impianti, quello che è certo che vi sono operai
che stanno scioperando ed altri che stanno bloccando le merci e che giustamente rivendicano una soluzione urgente e straordinaria che garantisca lavoro e salario, in una vera emergenza che imponga la messa a norma della fabbrica in tempi
brevi e il rientro dei cassintegrati per tutelare salute sul territorio

il vertice straordinario convocato dal governo è per affrontare la situazione dal punto di vista dell'ordine pubblico?
il governo vuole imporre il lavoro forzato con la repressione e la militarizzazzione dello stabilimento ?

questo aggraverebbe la situazione
in ogni caso gli operai in lotta non si toccano e la mobilitazione deve continuare
lunedì occorre paralizzare fabbrica e città

slai cobas per il sindacato di classe
18-1-2013

pc18 gennaio - Ilva prosegue la mobilitazione operaia ma la confusione regna sovrana

sin da ieri pomeriggio si susseguono iniziative - la fim indice uno sciopero aziendalista che ha una certa riuscita in alcuni reparti e cavalca la tigre antimagistratura,  Fiom e uilm non partecipano allo sciopero ,altri operai partecipano ad una assemblea spontanea nella sala del consiglio di fabbrica protestando a gran voce contro Riva e sindacati confederali, altri operai bloccano al porto
l'azienda blinda le portinerie e la polizia si fa sempre più presente
lo slai cobas per il sindacato di classe sin dae presidi degli ultimi giorni chiama alla mobilitazione i cassintegrati e si batte per una mobilitazione unitaria dei lavoratori per far pesare la forza operaia sulle decisioni che devono prendere padroni e governo per il rientro dei cassintegrati, la tutela di lavoro e reddito e la messa a norma degli impianti
gli appuntamenti indicati sono per lunedì alle portinerie dalle prime ore del mattino, per il blocco della fabbrica ma che arrivi anche alla città

slai cobas per il sindacto di classe ilva taranto
18 gennaio 2013

pc 18 gennaio - LE LISTE DEI DELINQUENTI... DELL'UTRI, RICHIESTI 7 ANNI PER MAFIA


Chiesti sette anni per Dell'Utri
il Pg: "Provati rapporti con Cosa Nostra"

Il procuratore generale Luigi Patronaggio ha aperto l'ultima udienza dedicata alla requisitoria nel processo per mafia a carico di Marcello Dell'Utri. A Berlusconi dai boss una cassata da undici chili


Sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Il procuratore generale Luigi Patronaggio ha chiesto la conferma della condanna già comminata due anni fa dalla Corte d’appello di Palermo a Marcello Dell’Utri e poi annullata dalla Cassazione per un difetto di motivazione in un arco temporale di otto anni nelle condotte contestate a Dell’Utri. "Caduto Craxi, Cosa nostra pose le sue attenzioni su Forza Italia. Non fu la mafia a fare vincere le elezioni a Forza Italia, ma votò quel partito", ha detto il pg Luigi Patronaggio insistendo nel ruolo di mediatore che dell’ Utri avrebbe avuto tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi a partire dal 1994".

Dell’Utri, che negli ultimi dieci anni ha sempre seguito tutti i processi che lo hanno visto imputato a Palermo, non era in aula. Non è mai stato presente in aula per questo processo, il quarto per concorso esterno in associazione mafiosa, iniziato un anno fa e la cui sentenza è attesa per marzo.

La scontata riproposizione della richiesta di condanna per Dell’Utri potrebbe condizionare la scelta dello schieramento, dal Pdl a Grande sud, che potrebbe ricandidarlo al Parlamento. "Certo che mi candido. Finché sono vivo continuerò a candidarmi. Non lo farò più solo da morto. Ma fino a quando non sarò morto...", ha dichiarato il senatore in una intervista al Corriere della Sera, chiarendo che per ora "nessuno mi ha candidato, non ho ricevuto proposte" e che l'ipotesi di candidatura con Grande sud è "una grande minchiata".

Secondo il pg di Palermo Luigi Patronaggio, "sono provate le condotte di dell’ Utri dal '74 al '78 che ha avuto rapporti continuativi con Cosa nostra, agevolando anche il patto di protezione nei confronti di Silvio Berlusconi". E proprio a Berlusconi, da Palermo, il boss di Cosa nostra Gaetano Cinà avrebbe mandato una cassata di oltre undici chili, da guinness dei primati, nel Natale del 1986 con la scritta "Canale 5". Secondo l’accusa anche questa cassata proverebbe i rapporti tra Cosa nostra e Marcello dell'Utri, che avrebbe fatto da mediatore.

(18 gennaio 2013)


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/01/18/news/processo_dell_utri_oggi_la_richiesta_di_condanna_il_pg_provati_i_rapporti_con_cosa_nostra-50793525/

pc 18 gennaio - BONANNI, CISL, vuole SUBITO I SOLDI PER I PADRONI...


Non ce la fa Bonanni ad aspettare i tempi del governo e si arrabbia. Non vuole perdere i soldi promessi ai padroni con l'accordo sulla produttività.
Mentre le cifre dei disoccupati crescono a dismisura, e crescono le difficoltà dei lavoratori e delle famiglie, ai limiti della povertà, come li definiscono le stesse statistiche e gli stessi studi dei sindacati confederali, BONANNI grida come un pazzo per dare i soldi ai padroni...

***
Produttività: Bonanni, governo chiarisca su decreto

L'accordo sulla produttività è stato raggiunto a Palazzo Chigi e "dal governo vogliamo un chiarimento" sul decreto che ancora non è stato emanato. A dirlo è il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Spero che l'esecutivo non crei problemi. È singolare che non si riesca ancora a fare un decreto e a discutere con chi ha voluto l'intesa i criteri che dovranno sovrintendere a una buona gestione". Bonanni conta "sul senso di responsabilità della presidenza del Consiglio" perché, sottolinea, "non vorrei che questa vicenda si perdesse nei mille rivoli di vari ministeri". A chi chiedeva se la Cisl chiederà un incontro, ha risposto: "Chiediamo un chiarimento".

http://www.rassegna.it/articoli/2013/01/18/96137/produttivita-bonanni-governo-chiarisca-su-decreto

giovedì 17 gennaio 2013

pc 17 gennaio - la lista Ingroia anche il poliziotto.. non un voto, boicottaggio elettorale


La campagna acquisti dell’ex magistrato prosegue spedita. E nelle liste di Rivoluzione Civile approda Claudio Giardullo, segretario del sindacato di polizia della Cgil. Contrario alla legge sulla tortura e al codice identificativo.

“Serve una rappresentanza politica del mondo della sicurezza e della legalità, due versanti strategici per la crescita e lo sviluppo del Paese e per la garanzia ed il rispetto dei diritti dei cittadini a fronte di una crescita rapida e pericolosa della criminalità mafiosa e della sua espansione non soltanto nelle regioni in cui é tradizionalmente presente''. E sono necessarie “politiche a tutela degli operatori delle forze di polizia che svolgono un compito fondamentale per la difesa della legalità e della democrazia”. E’ con questa dichiarazione che Claudio Giardullo, segretario nazionale del sindacato di polizia Silp-Cgil, ha annunciato oggi la sua candidatura nelle liste di Rivoluzione Civile per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Di Ingroia, ha detto Giardullo, “mi convince la credibilità del progetto ed il rigore professionale e intellettuale di una persona che ha dedicato gran parte sua vita alla battaglia per la legalità”.
Il candidato premier della lista nata dall’appello Cambiare di Può e poi diventata strada facendo l’ombrello di Idv, Pdci, Verdi e Rifondazione, ha voluto candidare Giardullo in ben 5 diversi collegi.
Il che, c’è da scommetterci, sarà fonte di non poche polemiche, perché il segretario del sindacato più 'a sinistra' che c'è nelle forze dell’ordine non è stato sempre in prima fila in battaglie e prese di posizione controcorrente, anzi.
A pochi mesi fa risale la sua ultima presa di posizione contro l’identificazione degli agenti tramite un codice di riconoscimento da apporre sui caschi dei celerini o sulle divise, chiesto a gran voce dalle associazioni in prima fila contro gli abusi, sempre più frequenti, dei membri degli apparati di sicurezza. E non si era neanche sottratto al dibattito sull’introduzione del reato di tortura, prendendo posizione contro una legge da un iter più che travagliato. (Qui l'intervista a Giardullo di Eleonora Martini, de Il Manifesto www.veritagiustizia.it/rassegna_stampa/il_manifesto_la_mattanza_del_g8_fu_una_scelta_politica.php)

Come si concili un candidato con questo retroterra – che oltretutto si candida a rappresentare e tutelare in Parlamento gli operatori di Polizia, come lui stesso ammette – con le richieste che gli sono venute nei giorni scorsi dalle vittime di molti casi di ‘malapolizia’ è difficile comprenderlo. Ed è anche difficile capire quali posizioni potrà prendere un Giardullo eletto alla Camera su questioni come il fiscal compact, o le missioni militari all’estero, o altre battaglie caratteristiche di una coalizione che comunque si schiera a sinistra.

Insieme al poliziotto, nelle liste di Rivoluzione Civile, ci sarà anche un avvocato. Sarà Luigi Li Gotti, capogruppo uscente dell'Italia dei Valori in commissione Giustizia a Palazzo Madama, a guidare la lista per il Senato in Sicilia della coalizione arancione. L'ex procuratore aggiunto di Palermo prestato alla politica, AntonioIngroia, per conquistare consensi nell'isola punta sull'avvocato 65enne conosciuto per essere stato difensore di noti pentiti quali Tommaso Buscetta,, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo. Inoltre Li Gotti é stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ma ha anche rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi nel processo Aldo Moro e ha tutelato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale.

Non sarà invece candidato, in Sardegna, Antonello Zappaddu, il paparazzo che con i suoi scatti rubati ad alcuni ospiti di Berlusconi di Villa Certosa qualche tempo fa. Ma non certo per la sua sensibilità sociale, o per la sua competenza nei temi ambientali o del lavoro. E neanche l’operaio Antonello Pirrotto; quello che in diretta tv mandò a quel paese l’ex ministro leghista Castelli, ma che è iscritto alla Cisl e non nasconde le sue simpatie per il sindaco PD di Carbonia. Due candidature, volute di Ingroia in persone, che sarebbero saltate per l’indisponibilità degli interessati ma anche a causa delle proteste suscitate in Sardegna dalle eccentriche selezioni dell’ex magistrato. Che molti hanno accusato di voler riempire le liste di volti noti prescindendo da serietà, competenza e identità politica.

Ed intanto, per protesta contro il metodo di scelta della candidatura marchigiana nella lista Ingroia e in polemica con i vertici del partito, oggi si é dimesso il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Marco Savelli. Che in un comunicato denuncia: “il Prc delle delle Marche è stato espropriato dell'indicazione di un suo candidato da parte di un'assemblea civica variegata e composita con l'esplicito sostegno del segretario nazionale del partito''.

da contropiano

pc 17 gennaio - il governo israeliano ammette il criminale assassinio di ARAFAT



Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha  ammesso venerdì 11 gennaio, per la prima volta, la partecipazione delle autyorità di Tel Aviv nella morte dell’ex presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Yasser Arafat.

Il presidente israeliano,  inoltre, ha affermato  che sarebbe stato meglio non  eliminare Arafat, perchè con lui si potevano scambiare opinioni.

A giudizio di Peres, la morte di Arafat ha generato una situazione più difficile e complessa.
Il leader palestinese, Yasser Arafat, è morto l’11 novembre del 2004 in Francia, dopo varie  settimane di trattamento medico.
Allora le autorità francesi si rifiutarono di rivelare la causa esatta della morte del leader della ANP; con la motivazione di rispetto delle leggi sulla privacy.

Nonostante tutto, circolavano  notizie che il servizio segreto del regime israeliano, il Mossad, aveva avvelenato Arafat  con il talio, un elemento radioattivo.

Alla fine di novembre, un gruppo di esperti francesi e svizzeri dopo avere riesumato le spoglie di  Yaser Arafat dal mausoleo di Ramallah, in Cisgiordania, le ha analizzate per indagare sulle cause della morte alla ricerca di elementi che confermassero l'avvelenamento.

I risultati hanno rivelato che il regime israeliano è implicato nell’assassinio del leader palestinese, sia perché è stato scoperto che è stato l'avvelenamento a causarne la morte, e sia perché ci sono documenti che dimostrano che l’ex primo ministro israeliano, Ariel Sharon, aveva ordinato l’assassinio di  Arafat durante un incontro con l'allora ministro alla difesa, Shaul Mofaz.

pc 17 gennaio - Goodyear .. lievi condanne per i padroni assassini

Goodyear: condanne lievi e assoluzioni per i fabbricanti di morte

di  Redazione Contropiano
Michael Claude Murphy, Antonio Corsi e Adalberto Muraglia non sono colpevoli delle morti di cui erano accusati. La lieve condanna di primo grado confermata solo per uno degli ex dirigenti Goodyear.
Per altri cinque imputati, statunitensi, "irreperibili" e condannati in contumacia in primo grado, l'udienza di appello sarà fissata nei prossimi mesi.

Smentendo le condanne di primo grado, per i morti da amianto allo stabilimento Goodyear Italia a Cisterna (provincia di Latina), la Corte d'Appello di Roma ha confermato la condanna ad un anno e 6 mesi di reclusione di Pierdonato Palusci, presidente del cda dell'azienda dal '90 al '96, assolvendo invece altri tre dirigenti. Le motivazioni della sentenza emessa ieri e che ribalta quella del tribunale di Latina, saranno depositate entro 90 giorni, ma i legali di parte civile già annunciano ricorso in Cassazione. Ed esprimono comunque una moderata, e forse ingiustificata, soddisfazione.
"Per la prima volta un giudice di secondo grado, in particolare la prima sezione della corte di appello penale di Roma, ha confermato la Sentenza di condanna alla reclusione di un anno e sei mesi nei confronti di un ex legale rappresentante della Goodyear Italiana S.p.A., per patologie neoplastiche delle vie respiratorie di alcuni ex dipendenti, nel frattempo venuti a mancare" dice l'avvocato Luigi Di Mambro.

I difensori dei familiari delle vittime e l’associazione formata dagli ex dipendenti sottolineano che si formulerà istanza alla Procura Generale presso la corte di appello di Roma, "affinché le vittime possano avere giustizia, e i responsabili la giusta punizione". Esprime soddisfazione anche l’Osservatorio Nazionale Amianto, attraverso il suo presidente Ezio Bonanni, il quale è difensore di parte civile nel procedimento fissato per l`udienza dibattimentale del prossimo 25 marzo davanti al tribunale penale di Latina, e che richiama l`attenzione sul fatto che "il giudizio di oggi è relativo a poche posizioni e ci sono decine e decine di altre istanze di giustizia sulle quali la Magistratura si deve ancora pronunciare, oltre che nel procedimento di cui è stata già fissata l’udienza dibattimentale".

Il processo "1420 del 2008" conclusosi ieri davanti al tribunale di Latina riguardava nove dirigenti della Goodyear che sono stati ai vertici dell'azienda negli ultimi quarant'anni. L'accusa contestava loro il reato di omicidio colposo plurimo e lesioni plurime aggravate. Le vittime riconosciute dalla Procura erano decine ex dipendenti dello stabilimento di Cisterna di Latina, morti o malati di patologie tumorali riconducibili alle sostanze utilizzate e alle scarse condizioni di sicurezza, nel sito produttivo pontino. Secondo gli inquirenti il conto degli operai morti da amianto ammonta a 34 e dieci sono quelli ammalati di tumore che hanno respirato per anni, dal 1974 al 2000, le sostanze tossiche. La maggior parte di loro lavorava nel reparto 'Bambury' e nessuno secondo le contestazioni aveva adeguate protezioni. La fabbrica è stata chiusa nel 2001, e la produzione delle gomme è stata delocalizzata dalla casa madre in Polonia.
Ma il numero dei decessi reali è oggetto di scontro tra le parti. Secondo alcune stime le vittime della fabbrica della morte sono finora almeno 300.
Naturalmente i difensori della multinazionale hanno messo sempre in dubbio il legame fra le condizioni ambientali e l’insorgere delle malattie, mentre i consulenti della Procura e delle parti civili ritengono il nesso scientificamente dimostrato. L’ultima vittima, Fausto Mastrantonio, è morto a 54 anni a Capodanno, di tumore allo stomaco.

Nel novembre scorso il gup del tribunale di Latina ha mandato a processo altri ex direttori. Dopo il primo processo che portò a condanne per 21 anni di reclusione e al risarcimento danni, la Procura pontina è andata avanti contestando altri decessi avvenuti negli anni successivi. Da qui la nascita di altri due filoni d`inchiesta, Goodyear bis e ter. Sotto accusa altri dirigenti per un totale di dodici persone, una delle quali nel frattempo è deceduta. Il processo comincerà il 25 marzo di fronte al giudice monocratico. Le contestazioni sono omicidio colposo plurimo e lesioni aggravate.

Scrive Laura Pesino – uno degli autori del documentario Happy Good Year, in uscita in primavera – sul sito www.popoff.org:

“La Goodyear in Italia era arrivata nel '65 con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, scegliendo il piccolo comune di Cisterna, in provincia di Latina, avamposto del Centro Sud. Per decenni è il simbolo dell'industrializzazione di un territorio agricolo, del progresso felice e sfrenato, dei soldi e della ricchezza. Per tutti è "mamma Goodyear", che strappa gli uomini alla disoccupazione, offre stabilità economica a famiglie monoreddito, fa coltivare il sogno dei figli all'università e spalanca le porte a mogli e bambini in occasione della tradizionale "festa della famiglia". Per decenni occupa migliaia di persone sfiorando picchi di produzione di 20mila pneumatici al giorno. C'è lavoro e guadagno per tutti. Ma dentro è l'inferno. Nel reparto presse, nel Banbury, nelle trafilature e nella vulcanizzazione si lavora si lavora a mani nude o con guanti d'amianto per resistere alle temperature incandescenti. Gli operai respirano ogni giorno polvere di nero fumo, fibre di amianto, ammine aromatiche, vernici, solventi, benzene, pigmenti, silice, talco, almeno 100 composti chimici differenti altamente cancerogeni. Ma non lo sanno. La loro divisa è una tuta blu che non tolgono neppure quando siedono a mensa. Nessuno fornisce loro mascherine o dispositivi di protezione, nessuno li informa del fatto che le sostanze che quotidianamente maneggiano sono letali. Così tutti tornano a casa ricoperti di nero, fin dentro gli occhi. Quel nero che non viene via neppure dopo la doccia e che resta impresso sulle lenzuola e sui cuscini anche quando dormono. Ma nessuno si lamenta perché nessuno sa.

Solo dopo gli anni '80 cominciano le prime malattie, tumori e neoplasie ai polmoni, allo stomaco, alla vescica, alla laringe. Le annota tutte il sindacalista Agostino Campagna sulla sua agenda rossa. Sono dieci, venti, cinquanta, poi diventano duecento. Ma è solo una stima in difetto, perché il tumore colpisce anche vent'anni dopo e oggi, a tredici anni dalla chiusura dello stabilimento di Cisterna, ci si ammala più di allora”. 

pc 17 gennaio - ILVA: IL "TEATRO" E LA GRAVE REALTA' DEGLI OPERAI

(Dal blog tarantocontro)
 In questi giorni sulla questione Ilva/Procura/governo tutti fanno esattamente la loro parte come in un teatro. Solo che in platea vi sono gli operai che rischiano lavoro e salario, a parte la salute (e a volte anche la vita) in cui il rischio sembra "ordinario".
L'azienda in risposta alla mancata commercializzazione dei prodotti, ha la via facile di aumentare giorno per giorno i numeri degli operai in cassintegrazione, si è arrivati a 2600 (chi offre di più?), come se fossero pezzi per ora inservibili da mettere da parte e non persone; ha ripreso a minacciare il mancato pagamento degli stipendi, dal prossimo del 12 di febbraio. Nello stesso tempo fa trovare agli operai in cig i cancelli della LORO fabbrica sbarrati, o improvvisamente i tesserini bloccati (come alla Semat), una forma odiosa per affermare la SUA "proprietà", contro i veri produttori della fabbrica.
Riva e Ferrante ricattano, fanno uscire "voci" su prossimi avvii di licenziamenti (e chiaramente siamo sempre nell'ordine di migliaia), di scorpori di reparti, di trasferimento in altri paesi esteri, ecc.. Alimentano attesa e forte preoccupazione. Non si sa mai esattamente quanto ci sia di vero e quanto di uso politico per aumentare la pressione verso il governo, le istituzioni perchè si muovano in fretta e pesantemente contro la magistratura per imporre il diktat del decreto salva-Riva. Le stesse alte grida sul fermo dei prodotti non sta esattamente come la raccontano, visto - come dicono gli operai - che i coils continuano a partire verso Genova.
Il governo e Clini certo sono incazzati con la magistratura tarantina. Con la perdita dell'Ilva (dopo il forte ridimensionamento della Fiat) e il suo pesante impatto sull'economia nazionale e sui mercati esteri, l'Italia rischia sulla scena internazionale di essere ridotta e considerata alla stregua di un paese sottosviluppato, scendendo ancora più in basso nella scala delle potenze imperialiste.
Questo Stato, governo mentre si mette al servizio di padron Riva e dei padroni internazionali, verso gli operai invece suona tutt'altra musica: la Digos, la Prefettura, le forze dell'ordine sono allertate contro proteste e lotte che fuoriescano da quelle pilotate dalla stessa azienda e dai sindacati suoi servi; soprattutto le forze dell'ordine devono impedire il legame degli operai con le forze "estremiste" - come è accaduto martedì alla portineria A dell'Ilva quando la Digos con i vigilanti dell'azienda hanno materialmente impedito ai rappresentanti esterni dello Slai cobas per il sindacato di classe di entrare con gli operai in fabbrica.
La recente nomina a garante di Vitaliano Esposito, 71 anni, napoletano è un altro tassello della politica padronale di questo governo. La nomina di Esposito, è stato frutto di una guerra interna contro Magistratura Democratica, per imporre un uomo nelle grazie della destra, quindi fidato, un amico di Nicola Mancino inquisito per il patto con la mafia.  
I segretari confederali, e non poche volte anche i loro delegati, di Uilm e Fim in questi giorni devono rincorrere gli operai in cassintegrazione che autonomamente e organizzandosi tra loro stanno lottando per il rientro in fabbrica; questi parlano agli operai come se fossero l'azienda, ripetendo le stesse giustificazioni di Ferrante circa la tenuta in cig; la Fiom, poi, la butta sui temi generali, evitando di dare risposte. L'obiettivo comune è di tenere a freno la protesta - la Fim arriva anche a minacciare nuovi blocchi, ma parla per conto di capi, quadri, ecc. - e di buttare acqua sul fuoco. Anche loro hanno il problema di spezzare il legame operai e slai cobas, operai del Comitato liberi e pensanti, ecc. Certo, sono anch'essi preoccupati, ma soprattutto la Uilm (sindacato maggioritario all'Ilva) non ha soluzioni se non quelle dell'azienda; per questo cerca di indirizzare la protesta degli operai contro la magistratura, o verso la Prefettura dove non può dare fastidio a nessuno.
Ma in questo "teatro" fa la sua parte anche la Magistratura. Anche la stessa Procura di Taranto, impegnata in questa guerra giudiziaria contro governo e Riva, non parla più della "messa a norma", delle prescrizioni stabilite dal riesame, degli impianti da mettere in sicurezza, dei parchi minerali da coprire, ecc. ecc. Parla ora solo del blocco dei prodotti. Con l'assurdo che mentre l'area a caldo, quella che effettivamente inquina, non è di fatto sequestrata e lavora più o meno come prima (quindi con tutti i problemi di salute per gli operai e la popolazione di Taranto), restano sequestrati i prodotti da vendere, che sicuramente sul piano dell'inquinamento non possono fare più danni.
I ricorsi fatti dai giudici contro le istanze di dissequestro di Riva sono legalmente ineccepibili, si parla di uguaglianza della legge verso ogni azienda, che l'Ilva non deve essere trattata in maniera diversa da altre Ditte, ecc. Si usano per questo gli articoli della Costituzione. Tutto perfetto. Ma, a parte il fatto che questo bandiera della "giustizia uguale per tutti" la vorremmo vedere agire in tanti altri momenti - quale legge tutela gli operai perchè nel frattempo che questa lunga "guerra" legale vada in porto sia loro salvaguardato i diritti (anche questi costituzionali) al lavoro, al salario?
In questa querelle Procura/governo gli operai, ma anche la stessa popolazione dei quartieri inquinati sono semplicemente spariti. Non vediamo usare Costituzione e leggi per imporre la messa a norma degli impianti, la salvaguardia della salute, la requisizione degli utili per fare gli interventi necessari (non sono anche gli utili "oggetto di reato" nel momento in cui sono stati fatti violando le norme di sicurezza della salute?).
Infine, gli unici che (per fortuna) non appaiono in questo "teatro" sono i partiti. Sono tutti impegnati nella campagna elettorale e al massimo l'Ilva può essere usata nella propaganda elettorale. Anche i Verdi e buona parte degli ambientalisti sono spariti, in tutt'altre faccende affacendati.

Gli operai sono e devono stare totalmente fuori da questo "teatro", non farsi fregare dalle sirene di schierarsi con una o l'altra delle parti in gioco. E' una guerra di classe e gli alleati della classe operaia non stanno in questi "attori".
Gli operai dell'Ilva, delle Ditte devono prima di tutto costruire nella lotta il loro esercito, devono unirsi, facendo fallire una "guerra tra poveri" che gli stessi sindacati confederali alimentano, amplificando artatamente condizioni che al momento possono essere diverse tra i lavoratori, ma che l'immediato futuro penserà subito di unire. Gli operai devono creare un problema di "ordine pubblico" per pesare sulle soluzioni.
Gli operai che in questi giorni si sono mossi in maniera autorganizzata (i lavoratori in casintegrazione), devono rendere stabile e dare forza organizzata (costruendo i Comitati di Base - Cobas, imponendo la presenza anche negli incontri dello Slai cobas per il sindacato di classe, come de l'Usb) a questo loro mobilitarsi in maniera indipendente dai sindacati confederali, altrimenti, come diceva la "maledizione" di un vecchio dirigente sindacale, Trentin, alla fine sempre i sindacati confederali riprenderanno le redini.
Gli operai hanno poi bisogno di non essere soli, mentre la "città" va per conto suo. Ma per questo devono cadere inutili idee: "non tocchiamo, non diamo fastidio alla città, ai cittadini..." (come se i "cittadini" non sono strettamente legati all'Ilva, con quartieri in cui ogni famiglia ha un parente occupato all'Ilva). Se operai e masse popolari si devono unire per difendere lavoro e salute, gli operai dell'Ilva devono rendersi visibili (non solo sui giornali), e la visibilità è di fatto legata a portare anche in città la lotta.

pc 17 gennaio - Strage della Marlane-Marzotto_Ghedini ottiene rinvio perchè impegnato al processo RUBY

 BATTUTA D’ARRESTO AL PROCESSO MARLANENon si terrà l’attesa udienza del processo Marlane Marzotto di Praia a Mare fissata per venerdì 18 gennaio, venendo meno alla consueta cadenza  settimanale finora prevista. A determinarne il depennamento è ancora una volta il  legittimo impedimento, riaffacciandosi alla ribalta il discusso caso “Ruby” patrocinato dai vari Sisto, Ghedini & C. impegnati anche nel processo Marzotto. Come a dire che i morti della Marlane possono attendere, essendo “nulla” a confronto delle implicazioni del noto personaggio da cronache rosa e ciò ha costretto la procura a riconsiderare le convocazioni rimandando le audizioni ad altra data.
Sarebbe auspicabile che in futuro si ponesse un freno a tali impedimenti, aventi lo scopo non tanto celato di condurre il processo sulle secche della prescrizione. La magistratura paolana pur nel rispetto delle esigenze delle parti, deve farsi carico di tutte le richieste dilatorie che ad essa provengono. Un processo come è quello in itinere, notoriamente a caratura nazionale, non può scadere come già avvenuto nel recente passato col caso delle navi dei veleni”. Si leva forte l’urlo dello SLAI Cobas, respingendo con sdegno il baratto dei 100 e più morti della Marlane con un grottesco “bungabunga” qualsiasi, e fa voti a chi è chiamato a farlo affinchè vigili responsabilmente sul corretto svolgimento di questa causa da corte d’assise sussistendo la volontarietà e il dolo e approdata incredibilmente in un tribunale di provincia. Prossima “puntata” venerdì 25 gennaio salvo  imprevisti dell’ultimora, ovviamente Ruby e C. permettendo.

Comunicato stampa SLAI Cobas Cosenza


pc 17 gennaio - La battaglia in Mali riguarda anche noi... dicono i padroni italiani... e quindi ancor di più riguarda noi proletari


I padroni italiani non hanno peli sulla lingua, basta con le finzioni e i motivi umanitari, si tratta di “una partita strategica” che vede in ballo “interessi politici, economici e risorse energetiche”!


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La battaglia in Mali riguarda anche noi

16 gennaio 2013



Qualche italiano si vergogna della geografia del nostro Paese e forse vorrebbe spostare i nostri confini più a Nord. In realtà dovremmo essere più sensibili alla collocazione geografica dell'Italia per comprendere meglio i nostri interessi politici, economici e di sicurezza. Anche il Sahara e il Sahel confinano con noi e la guerra del Mali ci riguarda più o meno direttamente, come quasi tutto quello che avviene nel Nordafrica: basti pensare all'attentato contro console italiano a Bengasi, in quella Cirenaica che custodisce l'80% delle risorse petrolifere libiche.
La battaglia del Mali avviata dall'intervento francese è una partita strategica per definire chi comanderà o avrà influenza in una regione molto vasta dell'Africa. Se gli islamici avranno la meglio incoraggeranno altre rivolte nei Paesi del Maghreb, anche in quella Libia che dopo l'entusiasmo romantico per la rivoluzione contro Gheddafi si sta dibattendo per darsi la parvenza di uno stato. E se saranno sconfitti la partita comunque non sarà chiusa: il Mali è uno stato quasi fallito che si aggiunge ad altre “aree grigie” del mondo dall'Atlantico al Mar Rosso.
Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto: da qui vengono gran parte delle nostre risorse energetiche; in tutti questi Paesi l'Italia è sempre tra i primi tre partner commerciali e suscita rispetto per la qualità del lavoro e il modello delle piccole e medie imprese.
Ebbene sì, anche noi confiniamo con il Sahara, che in arabo vuol dire grande vuoto, un vuoto che invece si sta rivelando pieno di problemi ma anche di opportunità. (a.n.)



http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-01-16/battaglia-mali-riguarda-anche-063952.shtml?uuid=Ab3kzmKH

mercoledì 16 gennaio 2013

pc 16 gennaio - Con la foglia di fico dell'ONU, il governo Monti-Terzi sostiene l'intervento imperialista di Francia e USA


L'Italia s'avvicina alla guerra in Mali, pronta a missione


Istruttori e supporto logistico. Una ventina gli addestratori. Possibile anche l'invio di Predator. Pronta anche la Germania

Roma, 16 gen. (TMNews) - L'Italia s'avvicina alla guerra in Mali seppure nel quadro delle risoluzioni Onu. Roma ha offerto sostegno logistico alle truppe di Parigi che da alcuni giorni sono intervenute nel paese africano per arginare l'offensiva islamista. "Italia e Stati Uniti hanno espresso supporto per l'azione della Francia contro l'avanzata dei jihadisti verso il sud del Mali", ha detto il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, dopo il suo incontro a Roma con il capo del Pentagono Leon Panetta. "Dopo il Consiglio Affari Esteri di domani a Bruxelles si avrà un'idea più chiara dell'azione dell'Ue e di quale assistenza potrà essere fornita sulla base delle richieste dei francesi", ha commentato Di Paola.

Anche la Germania ha annunciato disponibilità ad un supporto logistico. Berlino metterà a disposizione della missione militare in Mali della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentali (Ecowas) due aerei da trasporto.

Se non ci sarà "un aiuto immediato", il governo del Mali "crollerà" sotto i colpi dei ribelli islamici armati perché la situazione nel paese è "precipitata" improvvisamente e la missione francese sta solo rallentando il collasso definitivo di Bamako. Di fronte a questa prospettiva, il Consiglio Affari Esteri si riunirà domani in seduta straordinaria a Bruxelles per "accelerare" il dispiegamento della missione Ue di addestramento delle forze di sicurezza maliane.

L'Italia farà la sua parte, inviando una ventina di uomini, sui 250 complessivi. Il governo italiano, in particolare, intende muoversi secondo "tre linee" guida, ha spiegato il titolare della Farnesina Giulio Terzi: sul piano politico, l'Italia intende ribadire il "pieno sostegno" all'operazione francese in corso, "nel quadro della risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu"; in secondo luogo, Roma offrirà "un concreto sostegno logistico all'intervento, soprattutto a quei paesi africani che hanno difficoltà a trasferire truppe sul terreno"; in ultimo, il ministro Terzi sosterrà domani "l'assoluta urgenza del dispiegamento di 250 formatori europei".

Da questo punto di vista, l'impegno italiano dovrebbe limitarsi all'invio di una ventina di addestratori. Non è escluso, però, che il Consiglio Affari Esteri di domani possa anche decidere di rafforzare numericamente la missione. A quel punto, ha spiegato oggi il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, "bisognerà fare ricorso a un emendamento al decreto missioni o a un decreto ad hoc".

D'altra parte, l'Italia è pronta a garantire pieno sostegno logistico alla missione francese, con l'invio di aerei da trasporto truppe C-130 e "la possibilità di rifornimenti in volo, qualora fosse richiesto". Alcune fonti contattate da Tmnews, hanno riferito anche della possibilità di mettere a disposizione alcune basi aeree, in particolare quella siciliana di Trapani.

Il presidente francese Francois Hollande ha richiesto all'Italia l'invio di droni per attività di sorveglianza ed intelligence. Secondo quanto appreso da Tmnews, nessuna risposta è giunta ancora da Roma, che eventualmente potrebbe muovere i suoi Predator di stanza alla base militare pugliese di Gioia del Colle. Con ogni probabilità, dell'argomento discuteranno domani a Bruxelles alcuni funzionari dei ministeri della Difesa dei due paesi, che dovrebbero partecipare a una sessione di lavori parallela al Consiglio Affari Esteri. Per il momento otto paesi della regione stanno già fornendo assistenza a Bamako, sul piano bilaterale, in modo da creare il quadro per il dispiegamento della forza internazionale, per la maggior parte africana.

Intanto si fa sempre più pressante l'emergenza umanitaria nel paese: 19 milioni di persone sono a rischio alimentare e 350.000 sono i rifugiati e gli sfollati, ha spiegato il ministro Terzi. E già da giorni è cominciato un esodo molto importante verso la Mauritania e il Niger. Una situazione che richiede "un intervento immediato di contrasto alle operazioni della jihad, prima che diventi fuori controllo". Appelli accorati ai paesi membri delle Nazioni Unite sono stati ripetuti nelle ultime settimane, affinché si dia un contributo per una soluzione rapida della crisi.

pc 16 gennaio - ilva taranto .. la lotta operaia conttro padron riva e governo è la chiave della soluzione


ilva situazione sempre più difficile Riva cavalca la tigre e gli operai rischiano

è necessaria la mobilitazione di tutti gli operai non con riva contro la magistratura ma
contro riva e governo per il lavoro e al salute
per mantenere la fabbrica aperta deve essere a norma
i padroni restino in galera , ma gli operai devono restare in fabbrica e non in cassa integrazione o in mezzo alla strada come tanti vogliono

cassintegrati devono rientrare subito. Se negli immediati prossimi giorni questo non avverrà, è inevitabile che Slai cobas per il sindacato di classe Ilva e operai torneranno in azione  - lunedì al massimo martedì - per bloccare le merci e il carico e scarico, attività che comunque non è fermata erichiederanno a tutti gli operai che stanno lavorando di fermarsi a loro volta, contro azienda e sindacati confederali che non lo vogliono fare.

SLAI COBAS per il sindacato di classe ILVA
Taranto - 15.1.13 slaicobasta@gmail.com - 3475301704