lunedì 30 dicembre 2013

pc 30 dicembre - Alti profitti e bassi salari... una "legge" del capitalismo da rovesciare

La crisi attuale mondiale del capitalismo non si risolve “come nel passato” e non si vede effettivamente quando potrebbe finire, se mai finirà, e su questo cominciano ad avere seri dubbi tutti dai premi nobel dell'economia ai capi di governo, tranne Letta, quello che si applaude da solo, e quel povero cristo del suo ministro Saccomanni che per regalo di fine anno potrebbe ricevere una raccolta delle fesserie che ha sparato in questi mesi.
Quello che è sicuro è che come in passato nella crisi i capitalisti, come classe, si arricchiscono e i proletari, come classe si impoveriscono, come oramai si dice: i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri...
Questo divario viene ogni giorno “certificato” dagli stessi borghesi sia in Italia che all'estero con i loro centri studi, compreso quelli degli sfacciati sindacati confederali, Cgil Cisl e Uil, che sono causa di questo peggioramento.


In un articolo di Plus24 – Il sole 24 ore del 28 dicembre, viene presa in considerazione questa crescita dei profitti e la caduta dei salari in particolare negli Stati Uniti (la “democrazia” del “sogno americano”, dell'“opportunità per tutti” ecc. ecc. presa a riferimento da tutti i politici cui piace riempirsi la bocca con questa parola) con l'aiuto di un grafico.


Dice il nostro giornalista che si crede economista, pensando di aver scoperto l'acqua calda: “Una delle fattezze dell'economia americana che più preoccupano sta nella distribuzione del reddito: si è andata facendo più diseguale, e non da oggi.” E mostra questo grafico che spiega bene visivamente quanto sia grande la diseguaglianza nella distribuzione “capitale- lavoro” cioè tra i profitti dei padroni e i salari degli operai per cui “bisogna tornare agli anni Cinquanta per trovare dati più sperequati.”


Dopo gli anni Cinquanta, grazie ai “miracoli” della ricostruzione dalle macerie della guerra (distruzione di uomini e beni materiali), per sintetizzare, riprende la produzione e riprendono le lotte operaie che portano all'aumento dei salari. Ma quand'è che cominciano a cambiare le cose? Dice il giornalista: “Se si guarda ai diversi decenni, si nota che il movimento sfavorevole ai redditi da lavoro è cominciato con l'inizio degli anni novanta...”. E questo, aggiungiamo noi, vale per gli Usa ma anche per gli altri paesi imperialisti, i cosiddetti paesi ricchi o sviluppati; e perché? “in quel periodo miliardi di lavoratori (dall'ex-URSS e da Cina più India che abbandonano lo statalismo) entrano nell'economia di mercato” e, quindi? “e, come da manuale, abbassano il prezzo del lavoro.” Come da manuale? Sì, perché nell'economia capitalistica più operai ci sono sul “mercato” pronti a vendere la propria forza lavoro ai padroni più il padrone può scegliere e scatenare la concorrenza tra gli operai per abbassare il salario. E “Allo stesso tempo, un lavoro meno caro, la rivoluzione della telematica e le opportunità della globalizzazione aumentano i profitti.”



La crisi è così grave che gli stessi capitalisti non solo vorrebbero capirci di più ma cercano in qualche modo di trovare una soluzione: qualche paese pensa all'introduzione del salario minimo e altri a stimolare l'aumento dei salari, (Germania, Giappone, Cina...), e tanto che il giornalista annuncia addirittura che “Nel prossimo appuntamento guarderemo a una possibile inversione di questa tendenza.”

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