mercoledì 27 novembre 2013

pc 27 novembre - contro i padroni assassini - a TARANTO 10-11 gennaio

  • a Taranto 10-11 gennaio 
  • Presidio e Convegno nazionale

- dare forza al sindacalismo di classe 
- rafforzare la rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio

adesioni bastamortesullavoro@gmail.com


OPERAIO MUORE DI CANCRO, IL PADRONE LO AVEVA LICENZIATO PERCHE’ AMMALATO

CONDIVIDI !!Redazione di Operai Contro, Oliviero Biancato era un operaio di 53 anni dipendente di una ditta a Mestre che produce impianti elettrici. Lo scorso anno si ammalò di tumore. […]

Oliviero Biancato era un operaio di 53 anni dipendente di una ditta a Mestre che produce impianti elettrici.
Lo scorso anno si ammalò di tumore. Dopo aver esaurito i giorni di malattia previsti dal contratto nazionale (in tutto 274, da smaltire in tre anni) ricevette, a giugno, la lettera di licenziamento. Arrivederci, si curi definitivamente a casa. Venerdì Oliviero Biancato è morto. Il male lo ha divorato senza possibilità di sconfiggerlo. L’elettricista lascia la moglie, Maria Teresa, 52 anni, che nella vita fa la colf, e un figlio di 24, anche lui operaio.
LA DONNA SALVATA - - Quella di Oliviero era stata una vita normale, come tante: alti, bassi, passioni, hobby. Di lui, e di un suo gesto di altruismo, si occuparono i giornali anche prima che il suo licenziamento -«assurdo e normale, visto che la ditta non ha fatto altro che esercitare un suo diritto previsto dal contratto nazionale» lo definisce con pragmatismo tutto veneto la signora Maria Teresa – diventasse un caso. Fu quando Oliviero, era nel luglio 2012 e lui stava già male, si gettò in mare per salvare una donna che si voleva suicidare. L’elettricista stava rincasando in auto assieme alla moglie quando vide un’ombra affiorare da un canale che costeggia le ciminiere di porto Marghera.
«L’EROE DI SAN GIULIANO» - Poco più in là c’era una macchina con lo sportello aperto e quella a pelo d’acqua, con il volto all’ingiù, era una donna che si era appena gettata dal viadotto. Biancato, un omone massiccio, il volto allegro, un brevetto da istruttore subacqueo, si tuffò, la raggiunse in poche bracciate. La salvò. «Ho perso tutto, volevo morire» furono le prime parole di lei. La vicenda venne raccontata dalle cronache cittadine e Oliviero per tutti diventò «l’eroe di San Giuliano», il nome del ponte da cui si era gettata la sconosciuta.
«PUO’ RESTARE A CASA» - Poi la storia del licenziamento. Penultimo atto di questa storia. Oliviero è in chemioterapia da molti mesi per curare quel carcinoma già guarito una prima volta nel 2005. Ma stavolta il male è più bastardo. Serve tempo. Forse troppo tempo, per chi gli dà lo stipendio. Siamo arrivati al 29 aprile 2013. Dall’azienda lo chiamano. Gli dicono di passare in ufficio. Qui a mano gli consegnano la lettera del benservito» racconta Maria Teresa. Che ripete: «E’ stato fatto tutto in regola, lo abbiamo chiesto anche ad un consulente del lavoro: il contratto nazionale dei metalmeccanici prevede per il datore di lavoro il diritto al licenziamento al termine del periodo di comporto». Ovvero la somma delle assenze per malattia garantite dalla legge.
«NON ME LA PRENDO CON L’AZIENDA» - «Non me la prendo nemmeno con i titolari dell’azienda, è inutile recriminare – prosegue la donna -. Semmai mi chiedo come sia possibile che una disciplina sul lavoro permetta di licenziare chi deve curarsi. A Oliviero non hanno concesso nemmeno l’aspettativa». Quando l’elettricista si è reso conto di non poter più tornare a lavorare si è «chiuso in se stesso, restando a letto». Un aggravarso che mescolava malattia e depressione sopraggiunta inevitabilmente. Poi l’ultimo atto della storia. «Ora so più cosa dire – è la conclusione di Maria Teresa -. Forse una persona non può ammalarsi se lavora»


CONDIVIDI !!Redazione di Operai Contro, Ogni giorno in Italia gli operai muoiono sui posti di lavoro con una media di 3 o 4 decessi . Infortuni mortali causati sempre dalla […]

Operai morti per tumori amianto. Tribunale di Bergamo : condannata la “Dalmine spa” .

, Ogni giorno in Italia gli operai muoiono sui posti di lavoro con una media di 3 o 4 decessi .
Infortuni mortali causati sempre dalla mancanza di sicurezza dovuta immancabilmente alla negligenza dei datori di lavoro per inosservanza delle leggi in materia antinfortunistica.
Una delle cause più frequenti di operai morti sul lavoro e che ha compiuto stragi infinite nelle fabbriche nel secolo scorso è ancora oggi purtroppo, l’esposizione all’amianto.
Centinaia sono i nomi di grandi fabbriche importanti e storiche dei settori della siderurgia , metalmeccanica pesante, cantieristica navale e cantieri edili dove veniva usato l’amianto e dove le microfibre nocive ai polmoni venivano respirate dagli operai.
Casi molto noti come l’ Eternit di Casale Monferrato e di Pavia, cantieri navali di porto Marghera, le grandi acciaierie di Sesto San Giovanni Breda e Falck , Sofer di Pozzuoli, Goodyear di Cisterna di Latina e tanti altri nomi di luoghi di lavoro dove gli operai sono morti a migliaia per tumori correlati all’uso dell’amianto.
Negli ultimi anni tante sono state le vertenze civili e penali che hanno intentato i familiari e i parenti delle vittime per le richieste di riconoscimento malattia professionale nei confronti dell’Inail oppure per il risarcimento danni o per responsabilità penale nei confronti dei padroni o dei dirigenti colpevoli.
Ma la sentenza del tribunale di Bergamo emessa il 3 luglio scorso ha una particolarità che la contraddistingue dalle altre cause e per le conseguenze che porterà alle prossime vertenze di questo tipo.
La vertenza in questione è stata promossa dagli eredi, vedova e figli di un operaio bergamasco deceduto nel febbraio del 2011 a causa di un mesiotelioma pleurico , tumore dovuto ad una accertata esposizione all’amianto durante gli anni lavorati nei reparti lavorazioni a caldo e acciaieria dalla Dalmine ( BG ).
Il giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo dopo aver sentito i testi ed esaminata la CTU che accertava senza alcun dubbio il nesso causale malattia/esposizione amianto ha condannato la “Dalmine spa” al risarcimento danni non patrimoniali, affermando anche che il fatto era da qualificarsi come omicidio colposo.
La sentenza è particolare e differente dalle altre perché in questo modo il giudice, affermando che il fatto era da qualificarsi come omicidio colposo, è andato oltre al compito per cui era stato chiamato a giudicare , cioè ha trasmesso lui stesso gli atti al presidente del tribunale per i provvedimenti di competenza .
Spesso questa ulteriore denuncia legale, per vari motivi, non sempre viene intrapresa dai familiari degli operai deceduti , così i dirigenti o i padroni colpevoli non verranno mai puniti.

ILVA TARANTO - Processo al 10 gennaio per 28 morti in fabbrica per amianto

TARANTO – È una nuova conferma quella fatta ieri dai medici consulenti del pubblico ministero nel processo per la morte di 28 ex operai dell’Italsider e dell’Ilva deceduti per mesotelioma pleurico causato dall’esposizione alle fibre di amianto. Il collegio di consulenti composto dai medici Chironi, Molinini e Cassano ha confermato anche nel controesame fatto dalla difesa che gli ex dipendenti «sono stati esposti, direttamente o indirettamente, all’amianto della fabbrica». Con la loro deposizione si è chiusa così la fase di ascolto dei consulenti dell’accusa che nel processo che dovrà dimostrare le responsabilità della morte dei dipendenti. Il sostituto procuratore della repubblica, Raffaele Graziano, ha portato a processo i direttori dello stabilimento dal 1978 fino a Luigi Capogrosso, dimessosi nel 2012 dopo l’arresto per l’in – chiesta «Ambiente svenduto».
Per tutti gli imputati, difesi tra gli altri dall’avvocati Egidio Albanese, Ludovica Coda e Rocco Maggi, le ipotesi di reato sono di omicidio colposo, cooperazione in omissione colposa di cautele o difese contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale.
 Prossima udienza fissata per il 10 gennaio portare in aula il proprio consulente e alcuni testimoni per sostenere le accuse mosse dalla procura della Repubblica.
Nell’udienza di ieri i consulenti del pm Graziano hanno risposto alle domande della difesa ribadendo che «l’amianto solido non esiste» e quindi la rimozione dei pannelli di «amianto compatto» oppure la loro perforazione e sistemazione ha causato l’emissione in aria delle fibre di amianto che vengono inalate da quanti si trovano nelle vicinanze. Eventi che possono essere avvenuti spesso nella fabbrica siderurgica dato che «nella fabbrica tutto veniva fatto con l’amianto» come aveva spiegato nelle udienze precedenti anche Gennaro De Pasquale dello Spesal di Taranto che aveva aggiunto che «con il tempo e l’uso i pannelli tendono a deteriorarsi e quindi devono essere sostituiti».
L’amianto, infatti, era presente anche come protezione dell’impianto elettrico, quindi anche operai con mansioni da elettricista sono stati a contatto col materiale cancerogeno. «Anche nei forni con i mattoni refrattari – come avevano già spiegato i consulenti del pm – si trovavano dei fogli in amianto che servivano a impedire che l’acciaio liquido creasse problemi alla struttura dell’impianto»

pezzi tratti dal sito operaicontro

PROCESSO SOLVAY. UDIENZA DEL 25 NOVEMBRE
Dopo una difficoltosa produzione di documenti da parte degli avvocati Dario Bolognesi e Luca Santa Maria - la Corte li acquisisce essendone stata "convinta per stanchezza", in quanto avrebbe preferito procedere in tal senso solo dopo che fossero stati epurati da quelli in precedenza già consegnatele - inizia l'audizione dei testimoni previsti per la giornata di oggi.
Il primo della lista è Maurizio Maria Lodone, sedicente esperto di sicurezza a livello europeo per la Solvay: questi, evidentemente ben istruito da chi conduce l'interrogatorio, martella insistentemente sulla questione della presenza del cromo nelle rilevazioni nei pozzi nel corso dei decenni precedenti l'anno di acquisizione dello stabilimento di Spinetta Marengo da parte della Solvay Solexis.
Menziona addirittura, nel tentativo - in questo aiutato dal terzo teste della giornata, l'ufficiale di Polizia Giudiziaria (in servizio presso il servizio di igiene ambientale dell'Arpa Alessandria) Aldo Boveri, che aggiunge l'informazione secondo la quale nelle acque di cui si parla sarebbero stati presenti anche solventi clorurati e solventi aromatici - di dimostrare che sia la sola Ausimont la responsabile dell'avvelenamento della falda sottostante l'azienda, una relazione del 1946 del professor Conti dell'Università di Genova secondo la quale l'apparizione del cromo era riconducibile ad almeno quattro anni prima.
Peccato che il suo scarso livello di competenze sarà successivamente messo in evidenza dalle risposte che egli non darà alle domande che gli verranno poste dall'avvocatessa della difesa Guarracino.
Detto del fatto che il quarto, e ultimo, testimone della giornata - il presidente dell'Amag, dal 2001 al 2008, Luigi Inverso - non aggiunge nulla di essenziale a quanto emerso sinora, resta da occuparsi dell'audizione dell'europarlamentare, ex Lega Nord, Oreste Rossi.
Costui - nella sua qualità di perito chimico (ha iniziato la facoltà di Farmacia, ma non ha concluso il corso di studi) - spiega alla Corte gli effetti devastanti dell'inquinamento da acido cloridrico, che lui asserisce di aver sempre notato, in particolare sulle piante e sulle costruzioni presenti nell'abitato di Spinetta Marengo: parla come un vero esperto, ma la sua scarsa conoscenza del tema viene evidenziata dalla sua titubanza nel rispondere alle domande dell'avvocato di parte civile Giuseppe Lanzavecchia.
Alle ore 13:30, esaurita la lista dei testimoni presenti - avrebbero dovuto essere sei, in totale, ma Verri e Piemonti non si sono presentati nonostante siano stati raggiunti dai decreti di citazione, per cui le difese rinunciano ad ascoltarli - la presidente Sandra Casacci sospende definitivamente la seduta, rinviandola a mercoledì quattro dicembre; in quell'occasione verrà ascoltato l'ultimo teste della difesa Guarracino, il signor Cebrero, e due dei consulenti presenti nella lista del pm Riccardo Ghio: i signori Aspes e Fiorucci.
Alessandria, 25 novembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova

Sulla strage ferroviaria di Viareggio
Lo Stato c'è e si vede .

.mi può uccidere, ma non strazi quei corpi come uno sciacallo fa con i suoi cadaveri. Mia moglie e i miei figli non lo meritano .
Così scrive, il 14 novembre, Marco Piagentini, marito di Stefania e padre di Luca e Lorenzo, presidente onorario dell'Associazione dei familiari delleVittime "Il Mondo che vorrei", al presidente del Consiglio Letta. Marco, ustionato nella strage ferroviaria del 29 giugno 2009, oltre ad aver perso
moglie e due bambini rimarrà permanentemente ferito tutta la vita. Un ustionato grave mai sarà ex-ustionato.
Lo Stato alla prima udienza del processo, il 13 novembre, non si è costituito parte civile. Sta trattando un consistente risarcimento (?!)sulla pelle bruciata di 32 suoi cittadini tra cui bambini, ragazze, giovani.
Sta (s)vendendo la propria gioventù. Lo Stato ha rinominato Mauro Moretti Amministratore delegato delle ferrovie dello Stato italiane (Fsi). Prima ha cestinato 10.000 firme raccolte a
Viareggio per le sue dimissioni, poi lo ha riconfermato nel giugno 2010 ad un anno dalla strage ed infine lo ha rinominato il 9 agosto scorso, quando era stato rinviato a giudizio con l'accusa di essere responsabile
dell'immane tragedia avvenuta nella stazione di Viareggio.
Lo Stato, più volte, ha blindato e spintonato i familiari delle Vittime, fino a strappargli di mano le foto dei propri cari. Fatti avvenuti a Roma Tiburtina, a Firenze, a Roma Termini, a Genova, a Montecitorio . E' tutto
documentato per chi non è stato presente. Lo Stato ha recentemente tagliato centinaia di milioni di euro per lasicurezza e la manutenzione in ferrovia. Ha nominato cavaliere l'ing. Moretti e l'ing. Elia, Ad di Rfi anch'esso rinviato a giudizio per la strage ferroviaria.
Uomini di Stato, dal presidente Napolitano al presidente Letta, dal ministro Lupi al ministro Saccomanni, per citarne alcuni, fino ad oggi, mai si sonodegnati di dare una risposta alla richiesta dei familiari di essere
ricevuti.
Dobbiamo continuare . per mostrare quanto vigliacco (come scrive Marco) sia stato lo Stato in questi 53 mesi.Con la rinomina di Moretti, lo Stato si è reso complice di una politica di abbandono sulla "sicurezza" in ferrovia; una politica che subordina beni inalienabili come la salute e la vita a logiche di mercato, di
competitività, di profitto. Come potevano presidenza del Consiglio, ministeri dell'Ambiente e degli Interni, costituirsi parte civile nel processo sulla strage ferroviaria?! Si può inequivocabilmente affermare che
sono stati ineccepibilmente coerenti e . complici. strage del 29 giugno 2009 uccidendo per l'ennesima volta le 32 Vittime e offendendo ancora feriti e familiari.
  - Associazione il"Mondo che vorrei - Assemblea 29 giugno


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