giovedì 4 luglio 2013

pc 4 luglio - contro il golpe militare in egitto - cominciamo a ripercorrere la situazione

testi da clash city workers
 il movimento dei lavoratori in piazza contro il governo Morsi

Il 27 giugno, in migliaia, le operaie e gli operai della “Misr Helvan Spinning and Weaving Industry” di Mahalla el-Kubra sono scesi in strada in solidarietà con la manifestazione che ha lanciato il movimento “Tamarrud” (“Ribellione”) e che in queste ore sta riempiendo le strade e le piazze delle principali città egiziane per protestare contro il governo dei Fratelli Musulmani ed il suo presidente Morsi.
“Solo il 10 per cento dei lavoratori della Misr Spinning and Weaving Co. è al lavoro oggi, gli altri prenderanno parte alle manifestazioni" ha riferito Kamal al-Fayoumi, attivista sindacale egiziano.
Queste operaie e questi operai sono il cuore della classe lavoratrice egiziana, il cuore del movimento rivoluzionario che con la sua esplosione a partire dal 25 gennaio 2011 ha portato alla caduta del trentennale regime del “Faraone” Mubarak. In 25.000 sono impiegati nella più grande fabbrica tessile di un paese per il quale questo settore produttivo vale all’incirca il 48% dell’economia. La loro centralità appare quindi palese e il loro coinvolgimento nella manifestazione di oggi può aiutare a dare un colpo al governo di Morsi, alle prese con un tasso di crescita ben al di sotto delle attese, una disoccupazione galoppante, un prestito di 4,8 miliardi di dollari da parte del FMI, che comporterà licenziamenti, tagli e privatizzazioni, e con l’insoddisfazione e la rabbia di milioni di egiziane ed egiziani.
Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione di un comunicato che il movimento dei lavoratori di Mahalla ha rilasciato lo scorso 21 giugno e che suona come un grido di battaglia contro il governo dei Fratelli. Al di là degli aspetti rivendicativi, che tengono insieme elementi più propriamente sindacali ed altri più politici (si pensi alla richiesta dell’immediata applicazione di salario minimo e massimo), ci pare emerga con forza la coscienza del ruolo che i lavoratori e le lavoratrici hanno giocato e possono continuare a giocare. Fino a poter arrivare all’arma di prender possesso della fabbrica e di autogestirla, convinti di avere le conoscenze e le competenze necessarie per far meglio di una dirigenza che si è dimostrata corrotta e che sta cercando di indebolire l’azienda per poter meglio giustificarne la privatizzazione.



[Egitto] Comunicato dei lavoratori della Misr Spinning, Mahalla
Traduzione a cura di Clash City Workers
Tratto da Mena Solidarity Network

Noi finiremo il lavoro e salveremo la nostra cittadella dal collasso
I lavoratori sono state le vittime del vecchio regime e lo sono del nuovo


Stiamo attraversando un momento cruciale nella storia dei lavoratori dell’Egitto in generale, e di quelli della Misr Spinning di Mahalla in particolare. L’industria dei filati e tessile sta fronteggiando una diabolica cospirazione ordita dalla banda condotta da ‘Mubarak’ Khairat al-Shater (della Fratellanza Musulmana) e da Hassan Malak, sotto gli auspici di Yahya Hamid, ministro degli investimenti, i cui tentativi di risolvere i problemi del settore tessile comprendono la spesa di 80.000 sterline egiziane per pasti per lui stesso e per i suoi compagni di merende, soldi rubati alla ricchezza del popolo egiziano e alle compagnie tessili pubbliche in particolare.

Compagni lavoratori: le nostre rivendicazioni non sono cambiate!
La banda dei Fratelli Musulmani recita solo una parte.

Abbiamo mostrato al signor Yahya Hamid, ministro degli investimenti, e pupillo di Mahmoud Muhyi al-Din, il ministro degli investimenti di Mubarak, proposte per la ripresa della compagnia e per il finanziamento di questi piani. Il signor Hamid aveva promesso di discutere le proposte e di fornirci cotone, ma il ministro della Fratellanza non si è nemmeno preoccupato di pensarci su e ha solo sottolineato che stava seguendo ordini ‘dall’alto’ sulle colline Moqattam (sopra Il Cairo). Questo è quello che ci si deve aspettare dal ministro, visto che il Presidente dà il suo consiglio su come dividere e distruggere l’Egitto da lassù.
Abbiamo portato rivendicazioni al ministro degli investimenti e lui aveva promesso accettarle e renderle esecutive nel mese di giugno. Quelli che mancano di rispetto alle rivendicazioni dei lavoratori non hanno conosciuto la loro rabbia – che è stata la causa della caduta di Mubarak. Ora è il turno della banda dei Fratelli Musulmani!

Le nostre rivendicazioni sono:
1.    Fornitura di cotone all’azienda;
2.    Applicare immediatamente il salario minimo e quello massimo;
3.    Aumentare l’indennità per il cibo;
4.    Aumentare il tipo dell’indennità di lavoro ed incorporarla in un aumento del bonus mensile fino a raggiungere 220 sterline egiziane;
5.    Risolvere i problemi di trasporto dei lavoratori turnisti e pagare un’indennità per i trasporti;
6.    Dare ai lavoratori lavori a tempo indeterminato dopo 20 anni di servizio;
7.    Dare alle lavoratrici donne qualificate nella produzione di indumenti delle sezioni in qualità di riconoscimento dei loro diritti;
8.    Dissolvere la Holding Company for Spinning and Weaving e ri-pubblicizzare la compagnia sotto il controllo del ministero dell’industria.

Compagni lavoratori e compagne lavoratrici! Siate pronte/i!

Il vecchio regime sta indossando una nuova maschera, e sta debilitando l’azienda come premessa per la privatizzazione e per venderci al miglior offerente, come hanno fatto con i nostri colleghi alla Shibin al-Kom e alla Tanta Flax. La prova sta nel fatto che il governo non ha ri-pubblicizzato le aziende privatizzate che le corti di giustizia avevano ordinato di ri-nazionalizzare.
Che fare ora? Noi abbiamo una chiara visione di come gestire la nostra azienda e abbiamo ingegneri, tecnici e lavoratori in vari dipartimenti che si impegnano nel lavoro anima e cuore. Non abbiamo bisogno dell’attuale dirigenza corrotta e dobbiamo batterci per mettere in azione la nostra visione.

Il movimento dei lavoratori di Mahalla
21 giugno 2013

[Egitto] Che fine hanno fatto le promesse del governo Morsi ai lavoratori?

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Le piazze d’Egitto tornano a riempirsi di centinaia di migliaia di facce. Donne e uomini, giovani e vecchi si sono riuniti in occasione del primo anniversario della presidenza di Mohamed Morsi per chiedere le dimissioni del presidente.
Più di 200.000 solo a piazza Tahrir, simbolo di quella rivoluzione egiziana capace solo due anni e mezzo fa di deporre un altro presidente, quel Mubarak che era ormai al potere da trent’anni. Era il 25 gennaio 2011. Ma le strade non si sono riempite solo nella capitale: ad Alessandria, ad esempio, in 100.000 hanno protestato; ancora, in decine di migliaia hanno preso possesso delle vie pubbliche di Mahalla, vero cuore produttivo dell’Egitto.
A chiedere le dimissioni di Morsi non è un fronte omogeneo. C’è chiunque. Nelle rappresentazioni di casa nostra si tende però spesso a dimenticare l’apporto che il movimento dei lavoratori organizzato ha dato prima alla caduta di Mubarak e oggi alle manifestazioni contro il suo successore. Da tempo cerchiamo, nel nostro piccolo, di seguire questo movimento, le sue lotte, le sue evoluzioni organizzative, dando risalto alle piattaforme rivendicative, tentando di scorgere qualcosa che vada al di là della semplice fotografia del momento.

Nel documento che abbiamo tradotto e che pubblichiamo di seguito sono ad esempio contenute le principali rivendicazioni che il movimento dei lavoratori va ponendo da tre anni a questa parte e che, come è sottolineato nello stesso documento, non si limitano ad essere “rivendicazioni materiali immediate” né puntano solo ad un “miglioramento delle loro condizioni di vita, ma abbracciano rivendicazioni di carattere generale e politico”.

Perché dall’insediamento di Morsi non ci sono state novità positive per i lavoratori d’Egitto. Le riforme promesse non sono mai state attuate, l’agibilità sindacale è una chimera, la repressione si abbatte su chi lotta, sia sotto la forma del poliziotto che sotto quella di leggi che criminalizzano le lotte e in particolare lo sciopero (in galera ci sono compagni accusati di “incitamento allo sciopero”).

“I lavoratori d’Egitto sono la forza organizzata e produttrice di questo paese. […] Possono costituire la locomotiva della rivoluzione che destituirà i Fratelli Musulmani, il loro governo, i loro ministri e i loro governatori delle province, con l’obiettivo di realizzare le rivendicazioni della rivoluzione e i suoi slogan che chiedevano pane, libertà e giustizia sociale.”
Ecco, a due anni e mezzo dalla deposizione del “Faraone” Mubarak, i lavoratori lottano ancora perché le rivendicazioni della rivoluzione non rimangano lettera morta.

Leggi anche: Anche il movimento dei lavoratori in piazza contro Morsi


Comunicato congiunto: “Insieme butteremo giù il regime”

Traduzione a cura di Clash City Workers
Tratto da Mena Solidarity Network
Originale in arabo

La rivoluzione ha risvegliato lo spirito di lotta del popolo egiziano, coronando l’escalation di sit-in e scioperi dei lavoratori che sono andati crescendo dal 2006 – una mobilitazione guidata ed organizzata dagli stessi lavoratori oppressi. Le lotte dei lavoratori hanno giocato un ruolo centrale negli ultimi tre giorni dell’occupazione da parte di milioni di persone di Piazza Tahrir, costringendo il dittatore Mubarak a dimettersi, visto che il movimento di protesta dei lavoratori si diffondeva in gran parte del paese e con la sua radicalizzazione terrorizzava i governanti. Scelsero di sacrificare Mubarak, piuttosto che assistere alla caduta di tutto il regime.
Eppure, dopo pochi mesi la situazione dei lavoratori era proprio come prima o addirittura in via di peggioramento. Da allora abbiamo assistito ad ondate di proteste dei lavoratori, che non si limitavano alla coscienza delle loro rivendicazioni materiali immediate e alla battaglia per il miglioramento delle loro condizioni di vita, ma abbracciavano rivendicazioni di carattere generale e politico. La principale era quella di liberarsi dei padroni corrotti e di sottoporre a giudizio i responsabili della corruzione finanziaria ed amministrativa, così come i responsabili dell’ingiustizia che i lavoratori soffrivano in ogni aspetto delle loro vite, a dimostrazione della crescita della coscienza politica dei lavoratori stessi.
Oggi viviamo nel terzo anno della rivoluzione, ma stiamo raccogliendo ancora i frutti amari della dittatura sotto il governo dell’attuale regime, che ha riportato l’Egitto nella lista nera dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) dei paesi con le peggiori statistiche in merito ai diritti dei lavoratori.
Ora, alla vigilia di una nuova ondata della rivoluzione del nostro popolo, ricordiamo al mondo le rivendicazioni dei lavoratori egiziani all’indomani della rivoluzione, chiedendo:
•    Dov’è la nuova legge sui sindacati, la cosiddetta legge sulle libertà sindacali? Perché non è stata promulgata benché sia stata oggetto di discussione per più di due anni?
•    Perché la macchina della repressione viene usata sempre più contro le proteste dei lavoratori, fino al punto che lo sciopero presso la Portland Cement ad Alessandria è stato piegato dall’uso della polizia con cani?
•    Perché si stanno licenziando i lavoratori perché colpevoli di esercitare i propri diritti alla protesta ed allo sciopero, ed alcuni lavoratori stanno addirittura affrontando condanne in carcere con l’accusa del cosiddetto “incitamento allo sciopero”?
•    Perché ci sono migliaia di lavoratori disoccupati a causa della chiusura delle loro fabbriche o della fine dei loro contratti a termine? Perché lo stato è rimasto in silenzio mentre quasi 4000 fabbriche hanno chiuso, senza nemmeno porre domande ai proprietari e senza proteggere i diritti dei lavoratori?
•    Cos’è che impedisce l’attuazione delle leggi che migliorano le condizioni dei lavoratori, come la legge sul salario minimo e massimo, la nuova legge sul lavoro? Al contrario, sono state promulgate leggi contro gli interessi dei lavoratori, come quella sulla criminalizzazione dello sciopero, o leggi che chiedono tasse ai poveri e non toccano invece i ricchi e gli investitori. Bisogna additare l’attuale governo come colpevole e quelli precedenti, sia prima che dopo la rivoluzione, visto che hanno lavorato contro gli interessi dei lavoratori e in favore di quelli di una minoranza di investitori, di ricchi e grandi imprenditori. Questa gente non ha altro interesse se non quello di far crescere i suoi profitti succhiando sangue e sudore dai lavoratori e dai poveri.

E quindi che fare ora che una nuova ondata della rivoluzione è sul punto di scoppiare, il 30 giugno? Non c’è dubbio che la risposta per noi è andare nelle strade con i nostri compagni egiziani, raggiungendo i milioni che hanno firmato la petizione che ritirava la fiducia al presidente Mohamed Morsi. Quelli di noi che sono al lavoro nelle nostre fabbriche dovrebbero scioperare, fermando l’ingranaggio della produzione che porta profitto ai nostri padroni e niente a noi.
Quello che sta accadendo oggi porta alla mente i giorni che hanno preceduto la caduta di Mubarak: gli scioperi dei lavoratori scoppiano ovunque, le proteste contro la designazione di nuovi governatori riempiono le strade nelle province e la nostra situazione va di male in peggio con frequenti interruzioni di corrente e carenza di carburante. E quindi che stiamo aspettando?
I lavoratori d’Egitto sono la forza organizzata e produttrice di questo paese. Solo loro sono capaci di cambiare l’equilibrio di potere il 30 giugno e oltre. Possono costituire la locomotiva della rivoluzione che destituirà i Fratelli Musulmani, il loro governo, i loro ministri e i loro governatori delle province, con l’obiettivo di realizzare le rivendicazioni della rivoluzione e i suoi slogan che chiedevano pane, libertà e giustizia sociale. Non possiamo lasciare il campo libero ad altre forze permettendo che rubino la nostra rivoluzione e la nostra campagna per il cambiamento, dal momento che né la rivoluzione né il popolo trionferanno se non esprimiamo le nostre preoccupazioni ed aspirazioni.

Egyptian Federation of Independent Trade Unions, the Permanent Congress of Workers in Alexandria, the Revolutionary Socialists, Rebel Movement, the Egyptian Centre for Social and Economic Rights


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