venerdì 26 aprile 2013

pc 26 aprile: Violenta protesta di operai del settore tessile a Gazipur, a nord di Dacca. Per 25 euro al mese questi operai tessili sono sfruttati per conto dei padroni USA ed europei (come l'italiano Benetton), quelli che mettono il loro marchio sul sudore e sul sangue dei lavoratori del Bangladesh




 Centinaia di lavoratori erano scesi in piazza per reclamare l'arresto e la messa a morte dei proprietari dei laboratori ospitati nell'edificio di otto piani, crollato mercoledì nel vicino sobborgo di Savar per l'inosservanza delle misure di sicurezza che ha provocato la morte di almeno 292 loro colleghi e il ferimento di più di altri mille.
La polizia ha sparato proiettili di gomma e lanciato lacrimogeni contro i manifestanti a Savar. I parenti delle vittime e i sopravvissuti  chiedono giustizia e vendetta. “Vogliamo vedere il proprietario impiccato”,  urlano questi  uomini, ma l’uomo, esponente di spicco anche del partito di governo è scomparso. La polizia disperde i manifestanti  con bastoni e lacrimogeni fare il sindacalista in Bangladesh è un lavoro rischioso, sei mesi fa uno di loro è stato ucciso proprio dopo aver denunciato l'ennesima fabbrica illegale dove lavoravano come schiavi donne e  bambini.
I dimostranti, molti dei quali armati di spranghe e bastoni, hanno preso d'assalto le fabbriche, imponendone la chiusura, hanno devastato i veicoli in sosta, occupato le strade lungo le quali hanno dato alle fiamme pneumatici e hanno cercato d'incendiare negozi e bancarelle. Rivolte sono state segnalate anche in altre località intorno alla capitale. Sui muri del palazzo accartocciatosi su se stesso martedì sera erano comparse profonde crepe: dapprima i circa 3.000 dipendenti erano stati fatti allontanare, ma poco dopo era giunto loro l'ordine di tornare ai propri posti, ponendo così le premesse per la successiva strage.
 Il palazzo fabbrica ospitava la relizzazione di prodotti per grandi marchi europei, anche italiani, dalla spagnola Mango, all'inglese Primark e alla Benetton, oltre ad altri marchi italiani, rumeni, canadesi e inglesi.
Sul loro sito web, le aziende elencano tra i loro clienti altrettanti noti brand, tra cui C&A, KIK e Wal-Mart, già noti alle cronache per l'incendio nella fabbrica bengalese Tazreen, dove 112 lavoratori sono morti esattamente cinque mesi fa, e, per quanto riguarda la tedesca KIK, per l'incendio della pakistana Ali Enterprises, dove quasi 300 lavoratori sono morti lo scorso settembre.





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