mercoledì 6 febbraio 2013

pc 6 febbraio - CINA, SE I SALARI SI ALZANO, I PADRONI VANNO VIA

"... la Cina raggiungerà tra pochi anni il cosiddetto «Punto di svolta di Lewis»... il punto nel quale, in un'economia, il lavoro diventa scarso al punto da provocare un innalzamento repentino dei salari, una compressione dei profitti delle imprese industriali, una conseguente caduta degli investimenti.
...il punto di svolta dovrebbe arrivare tra il 2020 e il 2025: ma se la sindacalizzazione dovesse prendere piede e gli operai cinesi volessero lavorare meno ore di oggi, grazie anche ad aumenti salariali, potrebbe presentarsi molto prima. Non solo... dati dell'Onu che prevedono l'inizio del declino della popolazione attiva cinese nel 2020. Succede però che l'Ufficio nazionale di Statistica di Pechino ha comunicato che già nel 2012 la popolazione in età lavorativa (15-59 anni) è scesa di 3,5 milioni, a 937 milioni.
Che la carenza di manodopera abbia iniziato a farsi sentire, d'altra parte, è quanto sostengono un po' tutti gli imprenditori: è in questa situazione che di solito inizia la sindacalizzazione dei lavoratori, e per quanto la Cina sia un fenomeno unico non si vede il motivo (a parte la repressione) per il quale i suoi lavoratori dovrebbero comportarsi diversamente da tutti gli altri. D'altra parte, l'aumento dei salari è in corso da tempo. E ormai ha provocato la fine del modello basato sui bassi costi di produzione.
Secondo uno studio del Boston Consulting Group (Bcg), i salari cinesi crescono a due cifre dal 2000. Altre statistiche dicono che dal 2009 a oggi sono lievitati del 43 per cento e che il costo per unità di lavoro in dollari è aumentato del 22 per cento dal 2007. Il vantaggio competitivo dell'economia cinese fondato sulla manodopera a basso costo è sostanzialmente stato annullato. Tanto che parecchie imprese che avevano delocalizzato ( outsourcing ) stanno riportando in America e in Europa le produzioni. Il fenomeno dell' offshoring , del delocalizzare, si è trasformato nel reshoring . Sempre secondo il Bcg, tra le imprese americane con un fatturato superiore al miliardo di dollari, il 37 per cento pianifica o considera di riportare in America produzioni aperte anni fa in Cina. Tra le grandi imprese con fatturato sopra i dieci miliardi, la percentuale sale al 48. La stessa tendenza vale per le aziende europee. Il concetto di «Cina fabbrica del mondo» è insomma già in via di ridefinizione avanzata.
La stessa Foxconn, per dire, sta aprendo fabbriche in Brasile, Europa dell'Est, Nord America. Lenovo, il gigante cinese che comprò da Ibm la produzione del notebook ThinkPad, a giorni riaprirà una fabbrica nella Carolina del Nord. Uno dei gruppi che avevano con più convinzione decentrato fuori dagli Stati Uniti, General Electric, ha invertito la marcia: l' outsourcing è «il modello di ieri», dice il suo boss, Jeff Immelt....
... Pechino dovrà affrontare il cambiamento del modello di sviluppo del Paese, trovare forme di crescita diverse da quella sostenuta dalla manodopera a buon mercato. Il che significa un'economia meno centralizzata e di comando: non è affatto detto che il complicato sistema di potere del Paese lo voglia o sia in grado di farlo. Il guaio è che l'alternativa potrebbe essere caotica..".

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