lunedì 7 gennaio 2013

pc 5-6-7 gennaio - LE ELEZIONI E LA COSTITUZIONE CHE VERRA’: LEGITTIMAZIONE DELLO STATO DEL FASCISMO, DEL RAZZISMO DELLA GUERRA IMPERIALISTA, tre casi emblematici


Lapide per i partigiani presa di mira dai vandali
E' accaduto in via Guerzoni
L'indignazione dell'Anpi Milano sull'accaduto: "Questo episodio si inserisce nel rifiorire nella nostra città di movimenti neofascisti e neonazisti, con l’apertura di nuove sedi e punti di riferimento"

Milano, 5 gennaio 2013 - Monumento ai caduti della Resistenza in via Guerzoni preso di mira dai vandali. La polizia è intervenuta questa notte dopo un principio di incendio che è stato spento dai vigili del fuoco.
Secondo le prime indagini, ignoti avrebbero appiccato il fuoco a un manifesto affisso vicino alla lapide, quindi le fiamme hanno interessato le corone che hanno preso fuoco. Al momento sono in corso le indagini per far luce sull'accaduto.
Sull'accaduto, l’Anpi Provinciale di Milano, esprime "la propria indignazione e la propria ferma condanna del grave gesto compiuto nella notte tra venerdì e sabato 5 gennaio ai danni della lapide posta in via Guerzoni, dedicata ai partigiani caduti nella lotta di Liberazione contro il nazifascismo".

"Questa ennesima provocazione neofascista, preceduta il 2 dicembre 2012 dall’aggressione di un militante di un centro sociale milanese da parte di un gruppo di naziskin, si inserisce nel rifiorire nella nostra città di movimenti neofascisti e neonazisti, con l’apertura di nuove sedi e punti di riferimento - dichiara Roberto Cenati, presidente Anpi Milano -. L’Anpi Provinciale di Milano nell’esprimere la propria preoccupazione per il rinnovato manifestarsi di questi movimenti che si pongono in aperto contrasto con i principi e i valori sanciti dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, sottolinea l’urgenza di un impegno comune delle istituzioni, delle forze preposte alla difesa dell’ordine pubblico, dei partiti, dell’associazionismo democratico, dei cittadini, affinchè queste inaccettabili provocazioni neofasciste abbiano finalmente a cessare e diventino improponibili a Milano, Città Medaglia d’Oro della Resistenza".

Trapani come l’Alabama degli anni ’60: bus separati per bianchi e immigrati
Vicino alla frazione di Salinagrande sorge un centro per richiedenti asilo africani che usano mezzi pubblici per spostarsi in centro. La proposta del consigliere comunale Andrea Vassallo per risolvere il sovraffollamento dei trasporti: "Gli immigrati spesso creano un clima di tensione"
Due linee di autobus diverse: una per gli “indigeni” bianchi , l’altra per gli immigrati africani, dovutamente scortati dalla polizia. Sembra l’Alabama degli anni ’60 e invece è semplicemente Trapani nel 2013. Nella città siciliana, infatti, da qualche tempo i cittadini lamentano un problema: gli autobus che collegano il centro della città con la periferia meridionale sono spesso troppo affollati. Questo perché dalle parti della frazione di Salinagrande sorge un centro per richiedenti asilo, uno dei più grandi dell’isola con circa 260 ospiti, soprattutto africani. Logico dunque che i rifugiati ospiti di Salinagrande utilizzino i mezzi pubblici per spostarsi in centro. Solo che in questo modo le linee esistenti non sono sufficienti per servire la popolazione dei quartieri periferici trapanesi. Come risolvere la situazione? Forse aumentando le corse degli autobus? Ma neanche per idea. Piuttosto si potrebbero creare due linee diverse: una per i bianchi e una per i neri.
L’insana proposta è contenuta in un comunicato ufficiale pubblicato sul sito del comune di Trapani e firmato dal consigliere comunale Andrea Vassallo, presidente socialista della sesta commissione per le problematiche del territorio urbano. “Sono state rappresentate al Presidente Saluto (il dirigente dell’azienda municipale dei trasporti, ndr) le numerose lamentele degli abituali viaggiatori indigeni della tratta i quali riferiscono di comportamenti poco civili adottati dagli immigrati che spesso creano ed alimentano all’interno del bus un clima di tensione tale da lasciar presagire, prima o poi, il verificarsi di episodi spiacevoli”, avverte Vassallo nel comunicato ufficiale. Quale soluzione adottare dunque per evitare che si verifichino i non meglio specificati “episodi spiacevoli”? “Opportuno sarebbe, a parere della Commissione – si legge sempre nell’atto pubblicato on line – valutare l’ipotesi di istituire un servizio di trasporto esclusivamente dedicato ad essi”. Ma non solo. Perché, sempre secondo Vassallo, gli autobus che dovrebbero essere utilizzati soltanto dagli immigrati dovrebbero addirittura essere sottoposti “a controllo da parte della polizia, al fine di scongiurare i pericoli di ordine pubblico che potrebbero malauguratamente ingenerarsi”.
“Una proposta , quella della sesta commissione consiliare del comune di Trapani, che farebbe piombare la nostra città direttamente nel Sudafrica dell’apartheid” scrive il blogger Natale Salvo, che ha sollevato il caso. Una proposta davvero estrema, che ha subito provocato le aspre repliche degli altri esponenti politici. “Esprimiamo e rabbia per questa proposta: questo è apartheid!” è il commento di Francesco Bellina, dirigente di Rifondazione Comunista a Trapani. “Evidentemente ai consiglieri proponenti nulla dice la storia di Rosa Parks, che nel 1955, rifiutandosi di cedere il posto sull’autobus ad un bianco, diede vita al famoso ‘boicottaggio degli autobus’ a Montgomery” è invece la replica di Fabio Bongiovanni dell’Udc.
Anche gli altri componenti della commissione presieduta da Vassallo, però, hanno subito preso le distanze dalla proposta del “doppio autobus razziale”. “Non ricordo una proposta del genere, non so se ero presente alla seduta della commissione, ma è ovvio che una cosa del genere non può esistere in nessun posto, soprattutto a Trapani, da sempre aperta e ospitale con gli immigrati” è l’immediata marcia indietro di Francesco Briale, che è addirittura capogruppo in consiglio dei Riformisti, lo stesso partito al quale appartiene Vassallo. Che nel frattempo ha deciso di prendere le distanze dalla sua stessa proposta. “Non sono razzista, se solo mi conoscesse non penserebbe male di me – si giustifica il consigliere autore della proposta – Quello degli autobus è un reale problema della comunità e andava affrontato, ma non certo nel modo estremo in cui è stato espresso nel comunicato stampa. Volevo solo che la polizia s’interessasse ai casi di disordini”. Ma chi ha scritto il comunicato stampa, che proponeva di far precipitare Trapani all’anno zero dell’integrazione? Ma sempre lui ovviamente, il consigliere Vassallo. Che però adesso chiede scusa, promettendo di auto rettificarsi: “Sono inesperto, sono in politica da sei mesi. Volevo dare rilevanza al problema ma ho sbagliato il modo dell’esposizione nel comunicato stampa. Domani manderò una rettifica. Forse era meglio evitare quel passaggio sulle linee di autobus separate per gli immigrati”. Sì, forse era meglio evitarlo. Anzi, sicuramente.






L’abusata nozione di ‘intelligenza collettiva’ ha trovato in questi due giorni una delle sue più felici applicazioni. Un articolo sulla vicenda della nave Enrica Lexie del giornalista Matteo Miavaldi, ospitato sul blog del collettivo di scrittori Wu Ming, ha scatenato un’inchiesta collettiva che ha portato alla luce una serie di gravi inesattezze date per buone dai media e dai politici italiani. E soprattutto chiarito il ruolo giocato da alcuni personaggi. Come l’ingegnere Luigi Di Stefano, autore di una perizia difensiva volta a scagionare i due marò, subito rilanciata dai maggiori media italiani e arrivata a essere illustrata in una conferenza presso la Camera dei Deputati il 16 aprile. Peccato che sia emerso come l’ingegnere non solo non è tale, ma è invece sicuramente un dirigente nazionale di CasaPound. E suo figlio Simone, della stessa associazione neofascista, è uno dei fondatori e il candidato alla presidenza della Regione Lazio

Tutto parte dall’esaustivo articolo di Miavaldi, redattore dall’India di China Files, che peraltro non intendeva entrare nel merito dell’innocenza o della colpevolezza di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, date le evidenti difficoltà d’interpretazione del diritto e delle convenzioni internazionali in materia. Piuttosto era teso a squarciare il velo d’ipocrisia con cui i media e la politica italiana hanno raccontato la storia. E ha aperto un ulteriore squarcio sulla vicenda. Nella discussione sviluppatasi in seguito alla pubblicazione, è infatti intervenuto Di Stefano in persona, che ha riproposto la sua perizia: basata su fotogrammi provenienti da youtube, dai servizi dei telegiornali italiani e su un’intervista rilasciata al settimanale Oggi in cui a parlare è un fantomatico comandante/proprietario del peschereccio, Mr. Freddy Bosco.

Da qui prende spunto l’inchiesta collettiva, dato che di un Mr. Freddy Bosco la rete non offre traccia. Ecco che allora, piccato, l’ingegnere risponde con un curriculum vitae, a suo dire “inappuntabile”, dove dichiara titoli e collaborazioni con atenei che in realtà la controinchiesta scopre essere inesistenti, o non accreditati. Come confermato a ilfattoquotidiano.it dallo stesso Luigi Di Stefano, che ha ammesso di non essere iscritto ad alcun Albo provinciale di ingegneri e di avere conseguito la laurea, che dichiara “un semplice vezzo”, alla Adam Smith University: ente para-universitario per l’apprendimento a distanza e non accreditato. Un curriculum che invece lo certifica come dirigente nazionale e responsabile delle politiche energetiche di CasaPound.  A dimostrazione che bastava informarsi su chi fosse il presunto ingegnere e a quali associazioni appartenesse, prima di prendere per oro colato le sue deduzioni.

Sarebbe bastata una ricerca in rete. Ma probabilmente non è stato ritenuto opportuno farlo. Inebriati da cotanto patriottismo ed essendo in così buona compagnia nella difesa a prescindere dei due militari, alla stampa italiana non interessava chi fosse la fonte e da dove attingesse le informazioni. Perché in realtà la situazione è ancora più complessa. Come spiega lo stesso Di Stefano a ilfattoquotidiano.it, per redigere la perizia tecnica, non è andato molto oltre a una ricerca sulla rete: “Non ho mai telefonato in India, le fonti indiane mi sono state rivelate da alcuni giornalisti italiani (cita alcuni quotidiani ndr.) che avevano seguito il caso e avevano le loro fonti”. Quindi a Di Stefano hanno riferito alcune informazioni e diversi dettagli tecnici per l’estensione della famosa perizia gli stessi giornalisti che poi hanno certificato e validato i loro articoli grazie alla sua perizia. “Anche sì – risponde l’interessato -, se poi i dati non sono esatti hanno sbagliato loro”.

Una perizia che tra l’altro non è ripresa solo dalla stampa, ma anche dal Parlamento. E dopo che era già stata presentata proprio a Casa Pound (5 aprile)  dieci giorni prima di arrivare fino alla conferenza organizzata alla Camera dei Deputati (16 aprile) su invito “di un deputato del PdL di cui non ricordo il nome” dice evasivo Di Stefano. Senza che nessuno avanzasse dubbi sulla sua legittimazione. Solo i Radicali, che hanno posto la questione al ministro Terzi senza ricevere peraltro risposta. Quello che un’inchiesta di due giorni sviluppatasi in rete ha quindi dimostrato è che da più parti, che si tratti della grande stampa o della politica, per mesi in Italia si è dato credito e risalto alle affermazioni di un dirigente della neofascista Casa Pound, presentato a torto come ingegnere super partes. E senza nemmeno volere approfondire le fonti. Cosa che è invece riuscita in brevissimo tempo grazie al lavoro di scavo, di ricerca e di condivisione di diverse intelligenze connesse tra loro.



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