giovedì 24 gennaio 2013

pc 24 gennaio - Assemblea nazionale Rete a Taranto: interventi di operaio Ilva, del'USI-Usicons di Roma e dello Slai cobas psc di Taranto


proseguiamo la pubblicazione degli interventi all'assemblea Rete del 7 dicembre


LORENZO SEMERARO  
SLAI COBAS ILVA

Sono un operaio Ilva, collega di Claudio, anche se non lavoro nello stesso reparto. Ho condiviso lo sciopero che hanno autorganizzato gli operai del MOF perché lo ritenevo giusto, non solo in solidarietà con il nostro collega, ma anche per far decadere un accordo che i sindacati firmarono con l’azienda nel 2010 che permetteva la presenza di un solo operaio nelle manovre ai trasporti ferroviari in Ilva, e a causa del quale Claudio era solo al momento dell’incidente, ed è morto.

Vorrei innanzitutto elogiare questi operai che hanno fatto una cosa mai vista prima nello stabilimento Ilva di Taranto: uno sciopero autorganizzato che è durato ben due settimane.
Per due settimane abbiamo resistito e siamo rimasti in presidio permanente in una tenda fuori della portineria.
È stata anche dura ma abbiamo resistito. Non sono mancate le discussioni, anche del nervosismo e battibecchi tra noi, ma credo sia normale e comunque lo sciopero è durato.
Per fermarlo i sindacati confederali ci hanno invitati a rientrare in stabilimento per discutere con loro di questo accordo, abbiamo rifiutato e anzi abbiamo preteso che fossero i sindacati confederali a uscire dalla fabbrica per venire a parlare con noi.
Solo dopo diversi giorni si sono presentati al presidio due loro iscritti, abbiamo discusso e sono andati via dicendo che avrebbero riferito ai loro dirigenti. Sono tornati subito dopo per dirci che all’indomani rappresentanti ufficiali di tutte le tre confederazioni sarebbero venuti al presidio per parlare con noi, per venire a capo di questo sciopero, parlare e trovare una via di uscita. Ma né il giorno dopo nè nei successivi si è presentato più nessuno. Insomma non c’è neanche un minimo di serietà, di rispetto per Claudio e per gli operai del MOF che in questa lotta hanno perso due settimane di paga, si sono sacrificati a stare sempre lì sotto una tenda alle portinerie, hanno fatto volantinaggi, raccolto firme, richiesto l’anticipazione delle elezioni RSU.
Nessun rispetto per nessuno e per niente di tutto questo, né per chi è morto, né per chi lotta e sciopera.

Se io ho scioperato e sono qua è perché non accetto tutto questo, la linea dei sindacati confederali!

Un ultima cosa: tengo a riferire quanto mi ha detto sull’incidente di Francesco un suo parente con cui ho avuto modo di parlare. Mi ha detto che in quello sporgente del porto ci sono tre gru. Di queste quella centrale è nuova, installata pochi anni fa. Le altre due laterali, su una della quali è morto Francesco, erano molto più vecchie e usurate, tanto che quelle due cabine hanno ceduto e solo una delle due era occupata. Questo fa capire che al di là del dell’imprevedibilità del maltempo, le responsabilità che ci sono. Ancora, sulle gru è installato un sensore che misura la velocità del vento e che si attiva se il vento supera i 50 km orari di velocità. Un sensore che serve a salvaguardare le gru, ma non per mettere in sicurezza la vita degli operai che ci lavorano.


Nella sala dell'assemblea nazionale è stato appeso il grande striscione che è stato sempre presente nella lotta degli operai del MOF:

CIAO CLAUDIO

sullo striscione vi erano le foto di Claudio Marsella e di Francesco Zaccaria con una dedica.




Prima dellintervento di Lorenzo, un forte applauso ha ricordato e salutato Claudio e Francesco, con tutto il cuore, con tutta la rabbia e la determinazione a continuare la nostra battaglia per la sicurezza sul lavoro, per i due nostri fratelli di classe assassinati.
Anche per loro e per tutti gli altri che sono stati uccisi dobbiamo avere ancora più forza per andare avanti.


Lo sciopero degli operai del MOF è stata una pagina nuova non solo per questa fabbrica.
15 giorni di sciopero ad oltranza non si sono mai visti in un siderurgico, per di più nonostante tutta una campagna contro chi scioperava orchestrata da sindacati e azienda.
Ma alla stesso modo vanno elogiati operai come Lorenzo e tanti altri giovani operai che, pur non essendo del MOF, hanno fanno anch’essi 15 giorni di sciopero, spesso scioperando da soli nei loro reparti, perfino rischiando di più degli stessi operai MOF. Questo dimostra che all’Ilva tante cose sono brutte, ma qualcosa sta cambiando e qualcosa di davvero bello sta nascendo tra le file degli operai, a cui affidiamo tutte le nostre speranze che questa lotta si possa vincere.


USI e USICONS ROMA 
GIUSEPPE MARTELLI

Credo che oggi sia una giornata importante, anche se in parte rattristata dai racconti duri che abbiamo ascoltato dagli operai dell’Ilva e di altre situazioni. L’ultima poesia che è stata letta aveva un significato importante: siamo dalla parte giusta, ma sappiamo anche questa battaglia che abbiamo intrapreso da anni, con le nostre poche forze, coi sindacati di base ed altre associazioni, io ne rappresento qui una, l’USI, ci è servita per fare a Roma campagne di denuncia per le tante morti sul lavoro oltre che per tentare di porci come parte civile, cosa che non sempre ci è riuscita, anche siamo riusciti a far chiudere e ristrutturare alcune scuole in cui c’era amianto, il canile con lo stesso problema … E alcune battaglie, nonostante tutto, siamo riusciti a vincerle.
Oggi abbiamo avuto un importante e utile momento di confronto tra compagni, con i lavoratori di Taranto e abbiamo lanciato un segnale importante. Speriamo che questo materiale esca da qui, sia diffuso, perché oggi le campagne di controinformazione hanno un’importanza fondamentale per lottare contro le scelte che questi governi stano facendo.
Pochi mesi fa è passato il decreto sulle “semplificazioni” - su cui abbiamo prodotto ed è disponibile un opuscolo - che rende di fatto inefficaci in tante piccole fabbriche, tutte le normative che avevamo ottenuto col TU 81 sulla sicurezza. Alcuni interventi ricordavano quante volte siamo stati a Roma tutti insieme facendo pressione verso le varie forze politiche, senza ottenere ragione. Per chiedere leggi, decreti che invece che “semplificare” aumentino responsabilità e punibilità in capo ai padroni.
Voi qui avete Riva, altrove ci sono altri padroni, e i padroni hanno tutti un solo interesse, il profitto. Per loro la morte dei lavoratori non ha alcun senso. Quello della Thyssenkrupp sarà, forse, il primo caso in cui qualcuno di loro sta iniziando a pagare.
A Roma la battaglia per difendere i macchinisti che avevano denunciato le ferrovie ed erano stati licenziati ha avuto successo. Continua la battaglia per la sicurezza nelle scuole, un altro dei settori dove di sicuro non c’è nulla. Tutte queste battaglie sono legate e rilanciano oggi la necessità della diffusione della Rete.
Occorre anche un rafforzamento organizzativo della Rete, serve per far pesare di più questa nostra forza, che è ancora piccola ma deve trovare una certezza. Prima di guardare al resto dobbiamo far sì che le class actions, le battaglie che possiamo lanciare per la salute sui posti di lavoro, contro le morti da sfruttamento del capitale perché per quelle morti qualcuno paghi, trovino in noi un referente sempre più affidabile.

Due sono le cose su cui ci dobbiamo impegnare. Primo, Purtroppo anche da qui oggi è venuta fuori la difficoltà della classe operaia a prendere coscienza. È importante far sentire a questi lavoratori che invece qualcuno sta prendendo coscienza. Secondo, non ci possono essere oggi battaglie separate, tutte le nostre battaglie sono unite. Qualcuno diceva “agire localmente ma pensare globalmente”, questo è quello che stiamo facendo e che continueremo a fare come Rete.
Importante oggi affermare il diritto alla salute e il diritto al lavoro come diritto entrambi inalienabili per tutti i cittadini, per tutti in questo paese, dove esiste ancora una Costituzione nata dalla Resistenza che stanno smantellando per difendere oggi interessi dei padroni, dei banchieri, per nascondere gli intrecci Stato-mafia, come ieri hanno usato le stragi e coperto gli stragisti, ricordiamo che tra pochi giorni è il 12 dicembre. Uno governo di padroni e banchieri come quello di Monti non può non difendere e proteggere Riva.
Questa è una battaglia che sarà lunga, che certo non è alla portata delle nostre piccole forze attuali, ma in cui queste forze dobbiamo farle pesare, far prendere nuova coscienza alla nuova classe operaia, per ribaltare la situazione.




SLAI COBAS per il sindacato di classe - Taranto
Margherita CALDERAZZI  

La situazione all’Ilva è chiaramente in questa fase determinata dal decreto del Governo Monti-Clini salva-Riva, che è un aperto diktat verso i lavoratori e le masse popolari di Taranto a difesa di padron Riva, è un via libera a produrre come ha fatto finora.
E’ un decreto, quindi, fatto all’unico scopo di difendere il profitto, e non la messa a norma della fabbrica, anzi è CONTRO una messa a norma che metta in discussione la libertà di produrre. Infatti, dopo aver fatto anche una presentazione dell’Aia falsata (visto che essa è sia nel merito e soprattutto nei tempi totalmente insufficiente rispetto alle necessità di messa a norma), arriva alla vera ragione del decreto “la continuità del funzionamento produttivo dell’Ilva” che “costituisce una priorità di interesse nazionale”.
L’AIA viene resa legge. E’ la prima volta che questo avviene. Il suo essere legge impedisce non solo l’intervento della magistratura ma anche modifiche migliorative frutto della lotta e dell’iniziativa dei lavoratori. Tant’è che l’art. 1 punta proprio a blindare l’Aia, affermando che “le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva… in quanto in grado di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecnologie disponibili, sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nell’Aia”.
Affermato questo, il decreto mette in secondo piano la stessa Aia, e scrivere che la prosecuzione dell’attività può essere fatta subito, “salvo che sia riscontrata l’inosservanza delle prescrizioni dell’Aia”, è un bluff, dato che il 2° comma stabilisce che già prima che si avviino gli interventi previsti, dalla entrata in vigore del decreto l’Ilva “è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al c. 1, alla prosecuzione dell’attività produttiva e della conseguente commercializzazione dei prodotti per tutto il periodo di validità dell’Aia”, vale a dire 3 anni.
E questo - scrive il decreto - deve essere consentito “in ogni caso” al di là dei “provvedimenti di sequestro e gli altri provvedimenti cautelari dell’autorità giudiziaria”; così il sequestro può formalmente restare ma perde ogni efficacia preventiva e deterrente.
D’altra parte come si concilia il via libera all’attività produttiva sempre e comunque, e nella piena gestione dei vertici aziendali con una seria messa a norma che necessariamente prevede il fermo temporaneo degli impianti da mettere in sicurezza e una riduzione della quantità di produzione di acciaio?

Che tutto questo sia posto spudoratamente a riaffermazione che l’unico diritto che va tutelato è quello della proprietà dei padroni, all’art. 2 il decreto afferma pertanto che, non solo l’Ilva può produrre liberamente ma “rimane in capo ai titolari dell’Aia (cioè ai Riva incriminati) la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento”.Il decreto diventa così una sorta di condono ai Riva. Il governo invece di perseguire Riva lo premia; è come se ad un ladro che deve restituire ciò che ha rubato, gli si consenta di continuare a rubare per fare i soldi necessari alla restituzione del malloppo.
La nomina di un Garante che deve solo segnalare al presidente del consiglio e ai ministri competenti “eventuali criticità” e al massimo fare proposte, ma non ha alcun potere interdittivo o di prescrizione – tra l’altro una persona che verrà ben pagata, 200mila euro lordi l’anno – non solo non costituisce una “garanzia” ma è anch’esso un provvedimento anomalo: perché incaricare una persona, quando esistono gli Enti di controllo e di intervento preposti: Asl, Ispettorato del Lavoro? Forse perchè questi potrebbero non essere sempre così ligi ai diktat dello Stato?
Il decreto, e tantomeno l’Aia, nulla dice sui livelli di produzione record dello stabilimento Ilva di Taranto, nonostante che il grado di ipersfruttamento degli impianti, la maggiorparte già vecchi, che hanno portato al record di 10milioni medi di t/a di produzione, con conseguente supersfruttamento degli operai che hanno dovuto lavorare con ritmi intensi, in condizioni di insicurezza e di rischio per la salute, ha un nesso dimostrato con i livelli di inquinamento.

Infine, secondo Clini, Passera e Monti, dovrebbe dare garanzia dellìattuazione dell’Aia, la “minaccia” contenuta nel decreto di un’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria. Ma Passera poi spiega che “le norme di amministrazione controllata potrebbero togliere enorme valore alla proprietà, il suo bene si depaupera e si arriva fino al punto di perderne il controllo”. Certo Riva potrebbe perdere la proprietà dell’Ilva ma lo stabilimento che lascerebbe sarebbe “depauperato” e quindi con un valore quasi nullo. Chi se lo prenderebbe a questo punto?

Questo decreto, quindi, è contro una messa a norma della fabbrica che metta in discussione la libertà di produrre, è contro la bonifica ambientale, perchè aver dichiarato lo stabilimento di Taranto di rilievo strategico nazionale, vuol dire che ogni intervento se in contrasto con gli interessi strategici nazionali, non va fatto e andrà bloccato.
Questo decreto crea un precedente pericoloso anche per altre fabbriche.

La premessa di questo decreto è la salvaguardia dell’economia dei padroni e, attenzione, la questione dell’ordine pubblico, di impedire, cioè, con l’intervento dittatoriale del governo che si sviluppi una lotta in fabbrica e sul territorioche metta in discussione effettivamente gli interessi nazionali e internazionali di padron Riva e dello Stato dei padroni.
Ciò che il decreto infatti stabilisce è un lavoro forzato, in una fabbrica resa franca da norme e diritti, ci mancherà che tra poco entri in Ilva l’esercito per imporre la produzione ad ogni costo.
In nome di questa “libertà” verranno impediti sia interventi della magistratura, ma anche lotte, scioperi, proteste degli operai. Gli operai sono fantasmi se lavorano e non pretendono; sono un “problema di ordine pubblico”, se protestano e rivendicano diritti. Questa situazione inevitabilmente non farà che peggiorare il clima di insicurezza tra gli operai, che in uno stabilimento come l’Ilva, si traduce immediatamente in rischio per la propria salute e vita.

Ma nello stesso tempo governo, Stato e padroni, con questo decreto si sono creati un grosso problema.
Perchè, se ogni minima rivendicazione di diritti viene vista come un rischio, un problema di ordine pubblico, allora ogni rivendicazione di diritti, sia per la salute, per il lavoro, per l’ambiente DEVE essere un problema di ordine pubblico! Questo devono comprendere gli operai, e anche le masse popolari di Taranto. Questo potrà far cadere sui piedi di governo, padron Riva, Stato la pietra che hanno sollevato.
A Taranto si gioca un pezzo di storia importante del nostro paese, nello scontro tra capitale e lavoro, tra difesa degli interessi dei padroni e difesa degli interessi dei operai e delle masse.

Altro effetto del decretoè che esso riconsegna di fatto la fabbrica nelle mani dei sindacati confederali.
La Fim (che ha detto: “il decreto è una giusta soluzione... L’azienda è un grande gruppo che ha le giuste garanzie…”), e la Uilm (che ha detto: “credo che occorra dare tempo a questa o a un’altra azienda per ottemperare alle prescrizioni…”) si sono subito schierati a sostegno del decreto. Il segretario della Fiom, invece ha fatto lo spirito ad un funerale: “L’Ilva non avrà più scusanti, i lavori per il risanamento ambientale potranno essere finalmente realizzati e nel più breve tempo possibile...”.
La preoccupazione della Uilm e della Fim in questa fase sono le perdite che il sequestro dei prodotti sta provocando all’azienda, e subito hanno dato prova del loro impegno firmando una cassintegrazione che ha una giustificazione solo come ulteriore ricatto/pressione verso il governo da parte di Riva per avere di più. La Fiom fa “forti” dichiarazioni, ma mai che chiami a mezza mobilitazione contro i piani di Riva.

Noi dello slai cobas per il sindacato di classe siamo, possiamo dire, il sindacato “contro i sindacati”! Lo slai cobas è l’opposizione storica in fabbrica, ha offerto il terreno per l’alternativa, nessun operaio può non ammettere che se avessero avuto il coraggio di costruire già negli anni scorsi un grande cobas dentro la fabbrica, non saremmo arrivati a questa situazione. Questa alternativa, benchè più di 1000 operai hanno firmato per l’entrata dello slai cobas e l’anticipo delle Rsu, ancora non si è consolidata e gli operai sono arrivati allo scontro attuale in condizioni di debolezza, confusi.
Un’altra cosa deve essere chiara. Il No operaio alla chiusura dell’Ilva e il ricatto produttivo di Riva e del Governo Monti sono due cose opposte, e servono interessi opposti. Sono gli operai dell’Ilva che negli anni passati hanno lottato, quasi sempre da soli, per la difesa della salute, della sicurezza, dell’ambiente, che oggi, se lottano, possono essere la “garanzia” anche per gli abitanti di Taranto.
Gli operai il 27 novembre quando hanno occupato lo stabilimento e invaso la direzione aziendale, con i dirigenti di Fim, Fiom e Uilm che stavano dentro e non con gli operai;  gli operai del Mof con il lungo sciopero e presidio, isolati e contrastati dai sindacati confederali, gli operai degli altri reparti che hanno scioperato al fianco dei loro compagni rischiando il posto di lavoro, hanno nei fatti posto una parola decisiva a questa situazione, sia pur ancora tutta da consolidare.
In queste lotte, nelle forme di autorganizzazione manifestatesi, sono emersi percorsi diversi e anche settori differenti di operai che vanno uniti: operai in dissenso con i propri sindacati, operai che via via prendono coscienza, ex attivisti sindacali, operai ribelli.
Il percorso può essere differente ma i lavoratori devono essere uniti in un solo sindacato di classe.
Il MOF ha indicato la strada per la messa in sicurezza, ma è il rifiuto del lavoro a rischio che bisogna praticare, utilizzando anche la legge, ma non delegando alla magistratura o agli Enti. Ogni aspetto, oggi più che mai è interno ad una guerra dichiarata da padron Riva e governo.
Il 27 per questo è stato importante. Ma dopo? Poi non si può gridare, come è stato fatto il 27: “I padroni della fabbrica siamo noi” e poi sprecare l’occupazione della direzione, l’imposizione al direttore Buffo di venire a parlare dal camion degli operai ‘liberi e pensanti’ per richiedere... le visite mediche e obiettivi minimalisti.

Lo Slai cobas lavora per l’unità di questi percorsi e di questi settori di operai nella battaglia per il sindacato di  classe nelle mani degli operai. Ma in questo si trova da solo e si deve scontrarsi con personalismo di alcune avanguardie, con discorsi qualunquisti degli operai del Comitato LP contro l’organizzazione sindacale tout court: “tutti i sindacati sono uguali, nessun sindacato”; con ragionamenti dell’Usb che guarda solo alla propria struttura e questa va avanti se ha i soldi.
Questo oggi è il problema, il nodo principale all’Ilva per rispondere adeguatamente alla situazione.

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