sabato 4 agosto 2012

pc 4 agosto - Condannato per mafia, si fa il carcere a rate, è libero per buona condotta e (in nome del popolo italiano) ha la pensione del Senato!

Ed è stato pure coinvolto nella trattativa Stato-mafia. Ma quanto è severo lo Stato con i politici che vengono condannati per mafia!

Da quel che si ricava dall’articolo che riportiamo sotto, fino ad ora, gli unici politici indagati per mafia che hanno fatto la galera sono 3 (TRE): Vincenzo Inzerillo, Franz Gorgone, Salvatore Cuffaro, tutti e tre della Democrazia Cristiana.

Vincenzo Inzerillo si è fatto 4 anni e 4 mesi invece di 5 e 4 mesi e a rate: tra il ’95 e il ’97 (!) e dal 2011 ad ora.

È stato senatore ma senza finire la legislatura e ha la pensione perché dice: “Ho riscattato il resto del periodo!”

Il giornalista sembra un po’ imbarazzato: “Palazzo Madama paga il vitalizio a un condannato per mafia, ma non è il solo e potrebbe non essere l’ultimo” (!!)

Naturalmente in politico si dichiara innocente e farà ricorso. Naturalmente niente sa della trattativa “… se trattativa ci fu, è stata convergenza tra mafia, alte istituzioni e Servizi” se dovessero ammazzarlo “…non sarà stata la mafia. Saranno stati i Servizi deviati piuttosto.” E da chi dipendono i Servizi segreti? dalla politica…

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Libero per buona condotta l’ex senatore dc Enzo Inzerillo

È tornato in libertà con un anno di anticipo, grazie alla buona condotta tenuta in carcere e al fatto di avere aiutato gli ultimi, detenuti con problemi fisici e mentali che ha assistito durante la detenzione. Vincenzo Inzerillo doveva rimanere in prigione 5 anni e 4 mesi, è uscito dopo 4 anni e 4 mesi. Lui, ex senatore della Dc, è uno dei tre politici siciliani che hanno scontato una condanna definitiva per reati di mafia, assieme a Franz Gorgone, che ha finito da tempo di espiare una pena per il suo stesso reato, il concorso esterno, e a Totò Cuffaro, che è ancora in cella per favoreggiamento aggravato.
Il carcere, patito in due diversi periodi, tra il ’95 e il ’97 e dal 12 gennaio 2011 alle scorse settimane, non ha fiaccato l’ex senatore, oggi 65 anni, pensionato delle Ferrovie e anche del Senato, nonostante la sua legislatura, tra il ’92 e il ’94, sia durata appena un paio d’anni. “Ho riscattato il resto del periodo”, spiega. Palazzo Madama paga il vitalizio a un condannato per mafia, ma non è il solo e potrebbe non essere l’ultimo.

Il ritorno a casa, a San Lorenzo, non ha spento l’amarezza: “Sono stato assessore con Orlando, ai tempi della Primavera”, ricorda. Ma ora l’ex vicesindaco sta scontando la misura di sicurezza ed è costretto a non uscire dal territorio comunale, a tornare a casa presto. “I boss Graviano non avevano fatto votare per me – dice Enzo Inzerillo - mi aveva scagionato Gaspare Spatuzza. Io sono contento che degli innocenti siano usciti dal carcere, dopo tanti anni, grazie al pentito. Ma perché io sono stato condannato?” Perché i giudici hanno ritenuto che ci fossero molti altri elementi: “Ma io voglio giustizia e non mi arrenderò finché non l’avrò avuta”. Punta alla revisione del processo, ma lui è stato sotto inchiesta anche per la trattativa fra Stato e mafia, a Firenze, dove il caso era stato affrontato e archiviato dieci anni fa. “Io – dice l’ex indagato – non so niente della trattativa, ma penso che i magistrati agiscano in buona fede e che vengano fuorviati dai pentiti, dai depistaggi e dai Servizi deviati. Stima comunque Ingroia, che ha indagato su di me per mafia. Verrà mai a galla la verità? Non lo so. Posso dire solo che se trattativa ci fu, è stata convergenza tra mafia, alte istituzioni e Servizi”. Teme per la sua vita? “Se domani mi succederà qualcosa, non sarà stata la mafia. Io non ho fatto patti con la mafia. Saranno stati i Servizi deviati, piuttosto. La mia vicenda? Si cercava uno su cui scaricare: si è trovato comodo farlo su di me. Forse perché sono nato a Brancaccio”

Gds 1 agosto 2012

pc 4 agosto -NELLA “GUERRA” IN CORSO ALL’ILVA, PER GLI OPERAI CENTRALE E’ L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE.


Oggi all’Ilva vi è una guerra iniziata da padron Riva, già nel mese di marzo, quando tramite i suoi capi e settori di lavoratori privilegiati ha mobilitato la fabbrica al suo fianco a difesa dei suoi interessi di continuare a fare profitti sulla pelle e la salute degli operai e della città.
Questa “guerra” vede da un lato un fronte formato da Riva, tutta la direzione Ilva, Stato e governo sempre difensori degli interessi capitalistici, nonché Istituzioni, a cominciare dalla Regione di Vendola, che non hanno voluto risolvere prima i problemi e continuano anche ora a fare prevalentemente parole; a questo fronte antioperaio hanno dato negli anni e danno sostegno con linee, e soprattutto azioni, accordi svendita, i sindacati confederali, tutti, facendosi così corresponsabili dello sfruttamento, dell’attacco ai diritti in Ilva e dell’”inferno dell’Ilva” che ha portato a morti in fabbrica e fuori – senza questa azione complice di collaborazione attiva e continua non saremmo arrivati a questa situazione.
Dall’altro lato di questa guerra vi sono gli operai.
Questa in corso, quindi, è un lotta di classe, con nemici del lavoro e della salute degli operai e degli abitanti di Taranto; in questa lotta di classe gli operai non hanno amici nel primo fronte.
La vera devastazione è quella portata avanti da Riva, e prima dai padroni “pubblici”, fatta di massima intensificazione del lavoro, massimo utilizzo degli impianti, taglio dei costi “inutili” quelli per la sicurezza e la difesa dell’ambiente, livelli record di produzione, realizzati con super sfruttamento, mancanza di diritti, morti per infortuni e malattie e attacco alla salute della popolazione e all’ambiente.
QUESTA DEVASTAZIONE CAPITALISTA, PER IL PROFITTO E' ALLA BASE DELLA DEVASTAZIONE AMBIENTALE.

Quindi è la fabbrica il cuore della partita di questa guerra, se non si lotta contro la vera ragione della devastazione ambientale: il profitto capitalista e là dove si produce, si perde la rotta, i nemici possono sembrare “amici” e nello stesso tempo non c’è un barometro di classe per capire chi sono i veri amici degli operai in questa lotta.
Gli operai devono costruirsi il loro fronte prima di tutto all’interno dell’Ilva, contro aziendalisti e sindacati confederali.
All’esterno della fabbrica, con gli abitanti dei quartieri proletari più devastati, con i giovani, gli studenti, con forze di movimento e settori ambientalisti, così come singoli magistrati, giornalisti, intellettuali, ecc., che però non mettano, per salvaguardare solo i loro interessi e la loro visione del mondo di matrice borghese, medio borghese e piccolo borghese, la difesa dell’ambiente prima e in contraddizione o contrasto con la battaglia per la difesa di tutti i posti di lavoro in Ilva, perché l’Ilva non deve chiudere, per la salvaguardia di Taranto come importante città industriale, che poi significa difesa di una consistente classe operaia - altrimenti facciamo la fine di Bagnoli.

Ma mentre il fronte padronal/statale è organizzato sia pur con qualche contraddizione interna seria in questo momento; il fronte operaio non lo è.
Questo ora è il vero problema che abbiamo in questa lotta. LA QUESTIONE CENTRALE, DECISIVA E’ L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE DEGLI OPERAI ALL’ILVA.
Questa organizzazione è prima di tutto l’organizzazione sindacale di classe.
Perché il sindacato degli operai, nelle mani degli operai è storicamente e attualmente una condizione sine qua no della possibilità di lottare e strappare risultati; è l’unica organizzazione che può essere di massa degli operai.
Oggi questa organizzazione sindacale di classe passa per lo sviluppo dello Slai cobas in Ilva.
Non c‘è un’altra organizzazione che possa oggi avere questa funzione, che possa rivolgersi in maniera trasversale a tutti gli operai, e organizzare stabilmente quelli che vogliono pensare con la propria testa, come rappresentanti collettivi della classe.
Senza questa organizzazione alternativa gli operai possono certo incidere in un momento di lotta (la contestazione di un sindacalista in assemblea in fabbrica, ecc.), ma non riescono assolutamente a pesare in modo continuo, sia nella lotta che nei tavoli di trattativa – che sono altrettanto importanti e parte della lotta perchè permettono di ottenere i risultati di quella lotta, senza i quali gli operai non continuano a lottare né prendono fiducia nelle loro forze -; sia in una singola lotta in fabbrica (vedi cambio-tuta) sia in una battaglia così generale, come questa sulla “chiusura dell'Ilva”, sia in prospettiva nello scontro generale con i padroni e governo.

Rispetto a questo, tutti gli operai più coscienti devono assumersi la responsabilità. E’ ORA E’ PIU’ CHE MAI L’ORA!
Si possono dire le cose più giuste, ma senza organizzazione in fabbrica che punti a conquistare la massa operaia, non si può avere realmente peso e autonomia, se non episodicamente.
Su questo vi sono tra operai ed ex delegati in Ilva atteggiamenti e scelte che non vanno bene e che, lo vogliano o no, finiscono per frenare questo necessario processo di organizzazione di centinaia di operai nello slai cobas.
L’atteggiamento di chi parla bene, e si avvicina o si organizza perfino con noi, ma poi di fronte alle pressioni dell'azienda, è passato alla Cisl (primaRizzo e poi lo stesso Ranieri). Questi operai possono dire le cose più giuste, possono essere, come Ranieri nella manifestazione del 2/8, combattivi e punti di riferimento di tanti operai, ma che proposta organizzativa mandano di fatto agli operai? Andate nella cisl, per ottenere copertura sindacale? – sindacato chiaramente super responsabile della politica dell’azienda.
Nè si può coltivare tra gli operai la impotente ed eterna illusione che avevano già nella Fiom e che oggi portano nella Cisl: 'facciamo ciò che vogliamo': puoi farlo per una volta anche due ma poi decidono loro, e tu o copri o te ne vai.
Giustificare questo passaggio ai sindacati più filo Riva con i problemi personali e familiari, non va bene. Tutti hanno problemi, tutti sono “ricattabili” da Riva, ma così si propone di restare sotto ricatto tutta la vita! Poi si porta in piazza lo striscione “Si ai diritti, No ai ricatti”, ma Ranieri non ha difeso il suo e nostro diritto di essere come Slai cobas in fabbrica, ci lascia soli di fronte al ricatto del padrone. Lui lo voglia o no questo ricatto lo sta accettando.
Poi il ricatto viene anche esagerato. Finora nelle volte che siamo stati in fabbriche – dalla Belleli, alla Nuova Siet, oggi alla Effer - nessun lavoratore dello slai cobas è stato licenziato, pur avendo avuto chiaramente pressioni, discriminazioni, ecc., né finora all'Ilva è stato licenziato alcun lavoratore che allo slai cobas è rimasto iscritto. Anche recentemente alla Effer, fabbrica metalmeccanica gru, l’azienda, dopo un compatta fermata indetta dallo slai cobas, ha minacciato il licenziamento dei due responsabili operai del cobas, ma ha dovuto rimangiarselo e, i due operai sono al lavoro, non solo, i lavoratori in cigs prima che ci fosse il cobas oggi sono tutti rientrati in fabbrica.

Altro atteggiamento che non aiuta è quello di quegli operai, anche incazzati/ribelli, che sono contro i sindacati confederali, contro fim, fiom, uilm, e arrivano a dire: basta con i sindacati, nessuna “bandiera”, facciamo da noi, ecc.. Questo atteggiamento è inconcludente e controproducente nella lotta di classe contro padroni e governo, il sindacato in fabbrica è una necessità per gli operai. Altrimenti che lo si voglia o no di fatto si delega agli altri (ai sindacati confederali o ai capi aziendalisti), e agli operai disorganizzati e arrabbiati resta il cerino della contestazione.
Anche fuori dalla fabbrica, senza la loro autonoma organizzazione di classe, gli operai non è vero che “fanno da loro”, perchè confluiscono in aggregazioni ibride e a volte perfino equivoche con altre realtà non classiste, su cui non riescono a pesare realmente su linee, decisioni e pratiche.

Oggi l'unica strada che può cambiare le cose in fabbrica, nella massa operaia, e può dare nuovo peso agli operai come massa in città, passa attraverso il rafforzamento e lo sviluppo del nucleo iniziale del Cobas in Ilva che riesca a iscrivere un 300 operai e ne attivizzi una cinquantina.
E, allora, tutti potranno vedere realmente come le cose non siano più come prima.
Sappiamo tutti che questa strada è difficile, ma non è affatto vero che perseguendo altre “più facili”, “più aggregabili” si arriva a cambiare i rapporti di forza.


pc 4 agosto - ILVA: RISPONDIAMO A SUOCERA PERCHE' NUORA INTENDA...

E' apparso in internet la lettera anonima che riportiamo sotto, indirizzata allo Slai cobas per il sindacato di classe firmata “lavoratore Ilva”, che spara vere e proprie stupidaggini sullo Slai cobas e la sua posizione, rispondiamo solo perchè ci dà la possibilità di chiarire, a coloro che evidentemente non seguono la battaglia dello Slai cobas in Ilva.


Questo "lavoratore sembra entrato solo ieri in Ilva, perché da quello che scrive sembra che non conosce proprio lo Slai cobas. Si è dimenticato che lo slai cobas prima e dopo l’ingresso di Riva ha sempre fatto della battaglia sulla sicurezza contro i morti in fabbrica una costante della sua azione? Si è dimenticato che noi abbiamo aperto all’ex Italsider la più grande battaglia sulla questione dell’amianto? Si è dimenticato che dopo la uccisione di Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre nel 2003, abbiamo, facendo dell’Ilva un caso nazionale”, promosso e costruito la “Rete per la sicurezza sui posti di lavoro”, con operai e familiari degli operai morti per infortuni o malattie, organizzando per la prima volta a Taranto il 18 aprile 2008 una manifestazione su questo, con la presenza di delegazioni nazionali di lavoratori, Thyssen di Torino, ecc. e, anche qui per la prima volta su questi temi, con la partecipazione di decine e decine di operai dell’Ilva e anche di delegati Fiom - manifestazione che guarda caso volutamente partiva dai Tamburi, per unire operai e popolazione dei quartieri più devastati?
Si è dimenticato che la coordinatrice dello Slai cobas è stata denunciata direttamente da Emilio Riva per la scritta “Riva assassino” e che al processo Riva, mai presentatosi a Taranto per i suoi processi, è invece venuto ma se ne è dovuto andare con la coda nelle gambe visto che ha vinto la compagna dello slai cobas?
Si è dimenticato che la condanna più alta per truffa ed estorsione sulla vicenda ex Nuova Siet, 4 anni e mezzo, Riva l'ha avuta per la denuncia e l'azione processuale dello Slai cobas?
Si è dimenticato che noi, e solo noi, abbiamo fatto una campagna di anni perché gli operai, i delegati Rsu, prendessero in mano la battaglia per la difesa della salute e sicurezza, che gli operai non stessero solo a lamentarsi, ma si organizzassero nello slai cobas per questo, e usassero anche le poche leggi a loro favore (come l’art.14 della ex 626), ecc.? Appelli che purtroppo sono spesso caduti nel vuoto, per responsabilità della feroce, aperta e sotterranea, campagna contro di Fiom, Fim e Uilm, ma anche per l’atteggiamento sbagliato degli operai che parlano ma non vogliono poi veramente fare.
Si è dimenticato che lo slai cobas, osteggiato prima di tutto dai sindacati confederali, ha proposto una postazione ispettiva fissa in Ilva di asl e ispettorato del lavoro, per intervenire subito ma anche per pretendere che questi ispettori facciano il loro mestiere?
Lo sai che i coordinatori provinciali dello Slai cobas sono stati denunciati, con richiesta di risarcimento di 1 miliardo, dall'attuale segretario nazionale della Uilm Palombella e in un altro momento dall'ex segretario Fiusco della Fiom perchè denunciavamo la collusione di questi sindacati con l'azienda, proprio sulle questioni della sicurezza? E, però, loro hanno perso in Tribunale.
E poi il fatto che in questi ultimi anni quando tutti dicevano che la situazione in Ilva era migliorata, solo lo slai cobas in fabbrica ha continuato a denunciare tutti gli episodi di attacco alla salute e alla vita degli operai e a dire che non si doveva abbassava la guardia…
E, potremmo continuare con decine e decine di fatti – non parole – fino ad oggi.
Questo "Lavoratore Ilva" dove stava? Perché ogni volta che noi abbiamo sollevato queste questioni prima, non ci ha scritto? E anche oggi, ma li legge bene i nostri comunicati, volantini, locandine?
Noi diciamo che l’Ilva non deve chiudere, perché altrimenti finisce come Bagnoli, in cui non si è salvato un posto di lavoro ma non si è evitata neanche la devastazione ambientale, anzi la situazione è peggiorata (vai a vedere direttamente); la battaglia per la difesa della salute e dell’ambiente si fa con gli operai sui posti di lavoro, attivi, protagonisti – altrimenti – con gli operai mandati a casa e “assistiti” dalle elemosine dello Stato NON SI FARA’!
NOI DICIAMO GLI OPERAI IN FABRICA – I PADRONI IN GALERA!.
Sono gli operai che vivono in fabbrica 8 ore al giorno e più, che vivono spesso nei quartieri disastrati che devono anche loro dire come si deve risanare. Il resto sono chiacchiere che rischiano anche ora di lasciare la situazione così com’è e non ci sarà alcuna magistratura che la cambierà realmente.
Se si vuole continuare a non pensare con la propria testa, si faccia pure. Ma così sia chiaro che gli operai finiranno "cornuti e mazziati" e non salvaguarderanno né salute, né ambiente, né lavoro!






pc 4 agosto - Abusi e torture in salsa emiliana


Tra loro anche la ex direttrice Paola Ziccone. Vengono accusati di omessa denuncia rispetto ad azioni di violenza e di tortura su detenuti più piccoli
Sono 35 gli indagati dalla procura di Bologna nell’ambito dell’inchiesta sul carcere minorile del Pratello. Tra loro ci sono uomini della polizia penitenziaria, educatrici, ma soprattutto la ex direttrice dell’istituto Paola Ziccone. L’accusa, contenuta nell’avviso di fine indagine che porta la data del 2 agosto, per quasi tutti è quella di omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale. Più grave invece il reato contestato a quattro delle persone finite sotto inchiesta: a loro si contesta l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti e le percosse. Si tratta di Alfonzo Caracciolo, Salvatore Vitagliano, Cosimo Mele e Antonio Di Bacco. A fine novembre scorso, secondo l’accusa, hanno picchiato un giovane detenuto per poi rinchiuderlo, con le manette ai polsi, in una cella da cui avevano tolto le ante delle finestre.
Le omesse denunce invece, 37 casi avvenuti tra l’inizio del 2010 e settembre 2011, riguardavano percosse tra detenuti, casi di resistenza agli agenti, danneggiamenti all’interno della struttura da parte dei giovani. Paola Ziccone, così come gli agenti e le educatrici, avrebbero dovuto denunciare i reati alle autorità competenti, cioè alla procura dei minori. Invece le questioni si chiudevano lì. Quindi, agli agenti di custodia si contesta di aver solo riferito alla direttrice. A sua volta alla direttrice si contesta di aver solo dato delle sanzioni disciplinari ai ragazzi senza denunciarli. Ad Aurelio Morgillo, capo delle guardie al Pratello, si contesta anche l’omessa denuncia del caso forse più grave, quello dello stupro di due ragazzini ai danni di un altro. Quando avvenne questo fatto il 6 settembre 2011 (così come la vicenda delle finestre tolte dalla cella), Paola Ziccone era stata già rimossa dal suo incarico.
Il caso del carcere minorile situato in pieno centro storico scoppia poco meno di un anno fa, quando l’allora direttrice Paola Ziccone, in servizio da dieci anni, era stata rimossa a cavallo delle ferie agostane dal suo diretto superiore, l’allora direttore del Centro di giustizia minorile dell’Emilia-Romagna, Giuseppe Centomani. “Sicuramente ci sono stati nel corso degli anni problemi di tipo tecnico nella gestione dell’Istituto, che sono stati rilevati e comunicati al dipartimento”, spiega Centomani pochi giorni dopo il fatto. Alla fine, “all’esito dell’ennesimo momento critico con il personale di Polizia penitenziaria”, secondo il dirigente Centomani, il dipartimento “ha ritenuto di disporre la sostituzione di Ziccone”. Eppure appena tre anni prima, nel 2008,un’ispezione ministeriale aveva definito “corretta” la gestione della direttrice.
Ma le sorprese non finiscono lì e poche settimane dopo, nel settembre 2011, la procura minorile porta a galla il caso della violenza sessuale su un detenuto da parte di due altri giovani rinchiusi al Pratello. In seguito a questa vicenda, a dicembre 2011 il nuovo Guardasigilli, Paola Severino, rimuove il nuovo direttore Lorenzo Roccaro (che nel frattempo aveva sostituito Paola Ziccone e non risulta tra gli indagati), il comandante della Polizia Penitenziaria Aurelio Morgillo e soprattutto destituisce dall’incarico lo stesso Centomani. Nel provvedimento del ministero della giustizia si parlava di “diffusa e persistente violazione di obblighi di correttezza.
Anche Centomani non è tra gli indagati. Anche recentemente si era difeso: “Io non sono stato rimosso dall’incarico per responsabilità accertate e rilevate dalla commissione ispettiva Cascini; il mio trasferimento ad altro incarico è avvenuto perché ritenuto opportuno al fine di eliminare ogni possibile condizionamento alle indagini che avevano preso avvio in esito all’Ispezione del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria”. Poi si era difeso anche dall’accusa di avere “fatto fuori” la direttrice Ziccone: “Non avevo la possibilità formale di rimuovere alcuno, quindi la revoca dell’incarico dell’ex direttrice è stata disposta da Roma, all’esito dell’ennesima situazione critica verificatasi”.
Intanto la Ziccone, sostenuta anche da diverse parlamentari del Partito democratico inizia nel 2012 la sua battaglia per essere reintegrata. A fine maggio 2012 il giudice del lavoro di Bologna le dà ragione, ma per Paola Ziccone c’è poco tempo per festeggiare perché pochi giorni dopo, l’11 giugno, il ministero della Giustizia la sospende per tre mesi senza stipendio. Niente da fare dunque e nonostante il giudice del lavoro ribadisca la sua sentenza ai primi di luglio il ministero nomina i nuovo direttore del carcere del Pratello, Alfonso Paggiarino.
I motivi sono forse da ricercare proprio negli esiti che stava prendendo l’inchiesta della Procura della repubblica bolognese che a fine 2011 aveva aperto un’inchiesta parallela a quella dei magistrati del minorile. I Pm hanno così scavato sia nella vicenda dello stupro di settembre sia nella gestione degli anni precedenti in cui il Pratello era in mano alla direttrice.

pc 3 agosto - M5S: un "movimento" molto "stupefacente"


Diletta Botta, 35 anni, eletta a Genova nel consiglio di circoscrizione Medio Ponente, è stata arrestata all'interno del suo bar, dove sono stati sequestrati diversi grammi fra cocaina, mdma, hashish e marijuana. L'ufficio stampa della lista: "La consideriamo dimissionaria"
Diletta Botta, 35 anni, consigliera municipale del Movimento 5 stelle eletta a Genova nel consiglio di circoscrizione Medio Ponente, è stata arrestata con l’accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio. Ora si trova nel carcere genovese Pontedecimo, dopo che il giudice perle indagini preliminari di Genova, Massimo Cusatti, ne ha convalidato l’arresto. Davanti al gip, l’esponente del movimento ha fatto parziali ammissioni circa il possesso della sostanze illecite. Sulla vicenda è intervenuto anche Beppe Grillo:  “Una consigliera municipale del M5S di Genova è stata arrestata per spaccio di droga ed è stata quindi allontanata immediatamente dal M5S”.
La donna era stata fermata mercoledì sera dagli agenti della squadra investigativa del commissariato Sestri dopo essere stata sorpresa con diversi grammi di sostanze stupefacenti all’interno del bar da lei gestito “Il solito posto”, a Sestri Ponente. I poliziotti hanno descritto il locale come  un “bazar dello sballo” dove, secondo gli inquirenti, sarebbe stato possibile acquistare  cocaina, marijuana, ecstasy e hascisc. Al momento dell’arresto sono stati sequestrati all’interno del bar 7,83 grammi di cocaina, 3,34 grammi di mdma, 14 grammi di marijuana e 2 grammi di hashish. Le indagini sono partite nei mesi scorsi, dopo che diversi residenti di via Molfino, hanno allertato le forze dell’ordine. 
L’ufficio stampa del Movimento di Genova ha espresso “sgomento” per l’arresto della consigliera, precisando di considerarla “momentaneamente dimissionaria”. “Apprendiamo con sgomento dell’arresto di Botta, consigliere municipale del Municipio VII Ponente” si legge in una nota del Movimento. “Botta, come tutti i cittadini che hanno concorso alla recente competizione elettorale, ha partecipato alle attività del Movimento e ha presentato il certificato penale immacolato – precisa la nota -. Restiamo quindi in attesa dei decorsi degli atti giudiziari considerando Botta momentaneamente allontanata dal Movimento e dimissionaria da ogni incarico elettivo”.

pc 3 agosto - Olimpiadi di Londra: dove a trionfare non è lo sport, ma la militarizzazione e la libertà di inquinare


L’estate scorsa si è venuto a sapere - tramite documenti ufficiali ottenuti attraverso il decreto Freedom of Information - che tra il 2007 e il 2008, durante i lavori di scavo per la costruzione dello Stadio Olimpico, sono emerse 7.500 tonnellate di scorie tossiche. La notizia confermata dalla Olympic Delivery Authority
Quando domenica sera Bolt, o chi per lui, taglierà per primo il traguardo della gara dei 100 metri all’interno del nuovissimo Stadio Olimpico di Londra, tutti gli aggettivi che saranno utilizzati come ‘deflagrante’, ‘esplosivo’ o ‘atomico’ avranno una ragion d’essere che va ben oltre la semplice impresa sportiva. Ovvero le migliaia di tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi che sono stati rinchiusi in tutta fretta in appositi contenitori e poi sotterrati nel Parco Olimpico. In un deposito costruito all’inizio di uno dei tanti bei ponticelli su cui passeggia la gente all’interno del Parco: a 400 metri dalla stazione internazionale di Stratford e a 250 metri dallo Stadio. Come ha confermato la Olympic Delivery Authority dopo le prime smentite. L’estate scorsa si è infatti venuto a sapere – tramite documenti ufficiali ottenuti attraverso il decreto Freedom of Information – che tra il 2007 e il 2008, durante i lavori di scavo per la costruzione dello Stadio Olimpico, sono emerse diverse tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi. Questo materiale, poi risultato essere nell’ordine delle 7,5 mila tonnellate, è stato sotterrato in tutta fretta all’interno del perimetro del parco. Se le autorità assicurano che questi container hanno una resistenza stimata in oltre mille anni, è da notare però come nel prospetto informativo di vendita del centro stampa interno al Parco (di recente acquistato dai reali del Qatar) appare l’avvertenza sulla “presenza di sostanze inquinanti a livello solido, liquido o gassoso (…) materiali pericolosi e nocivi anche nei detriti del terreno circostante”.  










 E, come spiega Paul Charman, analista del Citizens Intelligence Network, “è evidente che lo stoccaggio sia stato fatto in tutta fretta per evitare ricadute negative d’immagine, mettendo anche a rischio la salute dei lavoratori. E il fatto di sotterrare il tutto in loco è stata l’unica opportunità per evitare numerosi controlli, previsti dalla legge, nel caso avessero cominciato a trasferire il materiale altrove. Una scommessa che non esito a definire rischiosa”. Un ulteriore schiaffo alla tanto sbandierata eco-sostenibilità dei Giochi. Già, a fronte di sponsorizzazioni pericolose e molto poco ambientaliste, il governo aveva risposto solo con ingiustificati arresti nei confronti di chi ha osato contestarle.
Senza degnarsi di spiegare come sia stato possibile appaltare le medaglie di una manifestazione che si vuole ecologista a Rio Tinto – multinazionale mineraria accusata di violazione dei diritti umani dalla Papua Nuova Guinea alla Mongolia - il cui rame utilizzato per le medaglie è estratto dalla miniera di Kennecott (Utah) in spregio alle leggi locali per il controllo delle immissioni nocive nell’atmosfera. O aver ceduto per 7 milioni a Dow Chemical – multinazionale che nel 1999 ha acquistato la Union Carbide responsabile del disastro di Bhopal in India – la possibilità di ricoprire lo Stadio Olimpico con un lenzuolo di plastica recante il suo logo, al posto del lenzuolo in materiali biodegradabili con disegni di artisti locali previsto dal progetto originario di London 2012.
Non può certo bastare che i piatti e le posate utilizzate dal McDonald del Parco Olimpico – il più grande al mondo con oltre 1500 posti a sedere – saranno riciclati in appositi contenitori, o che l’olio utilizzato per friggere le patatine sarà trasformato in combustibile, per rendere le Olimpiadi di Londra 2012 “i Giochi più ecologici della storia”, come ripetono ogni giorno gli organizzatori. L’hanno appena certificato anche WWF e BioRegional, in un documento congiunto nel quale concludono che gli organizzatori “non hanno mantenute le promesse” e “hanno profondamente deluso, mancando tutti gli obiettivi” per le questioni riguardanti energia, rifiuti e consumo delle risorse. Una bocciatura atomica. Come le scorie sepolte in tutta fretta nel Parco Olimpico.

venerdì 3 agosto 2012

pc 3 agosto - Sulla trattativa Stato-mafia... Napolitano si indigna

A 20 anni dalle stragi di mafia di Capaci e via D'Amelio che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino, in mezzo alle rituali manifestazioni “antimafia” che si svolgono tra maggio e luglio, si è inserita una nuova polemica, che sa di vecchio, tra i magistrati di Palermo e il presidente della Repubblica Napolitano.

Questa polemica era stata anticipata da un'altra scatenata dal giudice Scarpinato che si era detto imbarazzato di partecipare alle ricorrenze “per la presenza talora tra le prime file nei posti riservati alle autorità di personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione dei valori di giustizia e di legalità per i quali Borsellino si è fatto uccidere”. La famiglia Borsellino e l'associazione dei magistrati si sono schierati a difesa di Scarpinato che è stato subito attaccato dal Consiglio Superiore della Magistratura (su iniziativa di un membro del Pdl) che voleva trasferirlo per incompatibilità!

I magistrati di Palermo sono impegnati oramai da anni in indagini sul rapporto tra mafia e politica e ultimamente in particolare sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia: per questo a fine luglio hanno rinviato a giudizio 12 persone tra mafiosi - Bernardo Provenzano, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Giovanni Brusca; e uomini delle istituzioni che avrebbero fatto da intermediari, Calogero Mannino, il senatore Marcello Dell’Utri e gli ex ufficiali dei carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno. Nell’elenco degli imputati anche Massimo Ciancimino e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Proprio Mancino, preoccupato per la sua posizione nell'inchiesta avrebbe fatto pressioni e telefonato a D'Ambrosio, consulente giuridico del Presidente, da questi tanto apprezzato e compianto (D'Ambrosio è morto qualche giorno fa), e allo stesso Presidente.

Il motivo scatenante del risentimento del Presidente della Repubblica è stato il fatto che è diventata di dominio pubblico una intercettazione telefonica di una conversazione tra gli uffici del Presidente e l'ex ministro Mancino oggettivamente coinvolto in un'inchiesta di mafia.

Il Presidente dice che secondo la Costituzione e le leggi vigenti queste intercettazioni devono essere distrutte perché non si può indagare sul capo dello stato, mentre i giudici, in particolare Ingroia, afferma che non c'è bisogno, sia perché l'intercettazione non era nei confronti del Presidente, sia perché non è stata usata e sia perché le leggi non dicono esattamente quello che afferma il Presidente. L'esito giuridico di questo scontro lo si avrà a settembre dalla Corte Costituzionale presso la quale è stato depositato il ricorso dall'Avvocatura dello Stato a nome di Napolitano.

Questa polemica, tra istituzioni e magistrati, è nuova perché tocca direttamente il capo dello Stato, sa di vecchio perché i magistrati che portano avanti le indagini sulla trattativa stato-mafia ancora una volta (come è stato per Falcone e Borsellino) vengono osteggiati dalle istituzioni e si sentono isolati. L'accanimento con cui ha reagito e su cui insiste il Presidente ha spinto in particolare il giudice Ingroia a dire che se c'è una “ragion di stato”... allora lo si dica e le indagini verranno interrotte! Ingroia ha così preso sul serio la cosa che ha deciso di cogliere l'offerta di un incarico dell'ONU in Guatemala per allontanarsi da Palermo.

Sulla trattativa e i suoi risvolti si è puntata, quindi, adesso l'attenzione di tutti: la Repubblica del 31 luglio riassume bene la questione: «la trattativa non è "supposta" o "ancora da verificare in sede processuale", una corte di assise ha già detto che è stata "indubbiamente" avviata fra il 1992 e il 1994.»

Estrapoliamo alcune frasi dall'articolo che riportiamo in fondo:

“L'iniziativa [della trattativa] fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia". "Dalla disamina delle dichiarazioni di soggetti di così spiccato profilo istituzionale esce un quadro disarmante che proietta ampie zone d'ombra sull'azione dello Stato nella vicenda delle stragi".

In altre parole, per quanto riguarda le uccisioni di alcuni politici “eccellenti”, come Lima, si è trattato di una resa dei conti tra mafia “politica” e mafia criminale, per quanto riguarda i giudici si è trattato di stragi di Stato perché le indagini stavano portando pericolosamente vicino ai nomi di quegli esponenti dello Stato direttamente coinvolti. “Siamo entrati nella stanza della verità... ma siamo al buio” ha detto Ingroia.

20 anni, dunque, e sembra che nulla sia cambiato se ancora una volta dei giudici devono accusare i vertici dello Stato di intromettersi per impedire che si arrivi alla verità...

***

«Ci sono documenti che parlano da quasi vent'anni di questo accordo per fermare le bombe. Informative di polizia. Atti acquisiti negli archivi dell'amministrazione penitenziaria. Testimonianze di investigatori dei reparti speciali, di ex ministri, di funzionari del ministero di Grazia e giustizia e - se valgono ancora qualcosa - di mafiosi pentiti. Infine c'è il verdetto di un collegio giudicante - quello di Firenze - che appena qualche mese fa ha condannato una quindicina di boss per le bombe di via dei Georgofili (tra loro i soliti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Graviano) e poi ha dedicato cento delle cinquecentoquarantasette pagine della motivazione della sentenza esclusivamente al movente degli attentati in Continente e, appunto, alla trattativa. Sono datate marzo 2012. Si legge nella prima di quella cento pagine: "Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L'iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia".

«Non è stata solo la procura di Palermo a indagare sui misteri di quella stagione di sangue. L'ha fatto quella di Caltanissetta che ha scoperto un gigantesco depistaggio nell'inchiesta iniziale sull'uccisione di Paolo Borsellino, e ancora sta investigando sulle "anomalie" dell'attentato all'Addaura nel giugno del 1989 contro Giovanni Falcone e sul massacro di Capaci. L'ha fatto la magistratura di Firenze che aveva anche il compito di scoprire i "mandanti altri" di quegli attentati, scavando sullo stesso fronte dei pubblici ministeri palermitani e ascoltando in aula testi come l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino o come l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso. Scrivono di loro i giudici di Firenze: "Dalla disamina delle dichiarazioni di soggetti di così spiccato profilo istituzionale esce un quadro disarmante che proietta ampie zone d'ombra sull'azione dello Stato nella vicenda delle stragi". E ancora i giudici fiorentini ricordano come fu revocato, subito dopo le bombe, il carcere duro per centinaia di mafiosi, un chiaro segnale "di cedimento alla mafia".

«Le risultanze investigative dei pm di Palermo sono pressoché simili. E alle stesse conclusioni sono arrivati anche i magistrati di Caltanissetta, titolari delle inchieste sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio e che hanno svelato il depistaggio messo in opera da apparati dello Stato - il "Gruppo Falcone Borsellino", incaricato con decreto governativo d'indagare sulle bombe che hanno ucciso i due giudici - e che hanno portato qualche mese fa alla revisione del processo Borsellino, allo sbugiardamento del falso pentito Vincenzo Scarantino e alla liberazione di sette innocenti scarcerati dopo diciassette anni con sentenze passate in giudicato.
C'è in sostanza una convergenza investigativa fra le varie procure italiane - e con il coordinamento della procura nazionale di Pietro Grasso - nonostante qualche contrasto inevitabilmente affiorato sulla strategia da seguire in certe fasi delle indagini.

«D'altronde, questa storia della trattativa ha compiuto quasi vent'anni. Per la prima volta quella parola è comparsa in un'informativa dell'11 settembre 1993 inviata dal Servizio centrale della Polizia di Stato alla commissione parlamentare antimafia. Oggetto: "Attentati verificatisi a Roma, Firenze e Milano. Per quanto d'interesse si trasmette appunto riservato concernente gli attentati". Il testo che ne seguiva: "Obiettivo della strategia delle bombe sarebbe quello di giungere a una sorta di "trattativa" con lo Stato per la soluzione dei principali problemi che attualmente affliggono l'organizzazione: il "carcerario" e il "pentitismo".. ". E ancora: "Nel corso di riservata attività investigativa funzionari del Servizio hanno acquisito notizie fiduciarie di particolare interesse sull'attuale assetto e sulle strategie operative di Cosa Nostra". Mettere bombe "per intimidire, destabilizzare e creare i presupposti di una "trattativa", per la cui conduzione potrebbero essere utilizzati da Cosa Nostra anche canali istituzionali".

«Dopo le bombe il 41 bis è stato effettivamente cancellato per centinaia di mafiosi e "alleggerito" per altri. Una nuova legge sui collaboratori di giustizia c'è stata. E intanto è arrivato a governare l'Italia Silvio Berlusconi con il suo fedele amico Marcello Dell'Utri. È in quel momento che gli attentati sono finiti. Ed è questa l'ultima parte dell'inchiesta sulla trattativa dei pm di Palermo: capire perché la mafia non ha seminato più terrore come nei due anni precedenti. I magistrati di Firenze si trovano in qualche modo d'accordo con quelli di Palermo anche su questo punto. Scrivono nelle motivazioni della sentenza sulla strage dei Georgofili: "Non ha trovato consistenza l'ipotesi secondo cui la nuova "entità politica" (Forza Italia ndr) che stava per nascere si sarebbe addirittura posta come mandante o ispiratrice delle stragi". Ma i giudici sospettano anche "che una svolta nella direzione politica del paese fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino". Tutto sommato Cosa Nostra era contenta di come stavano andando le cose in Italia in quell'inizio del 1994, quando Berlusconi si preparava a diventare premier per tre volte in quindici anni.»

pc 3 agosto - muore sul lavoro a 14 anni... contro lo sfruttamento senza limiti dei padroni ribellarsi è giusto e necessario

Avere 14 anni non basta per non morire sul lavoro

di Carmine Tomeo

Si può morire anche a 14 anni sul lavoro. È successo ieri, in un cantiere nel leccese, dove un masso ha schiacciato un ragazzino 14 anni e l’ha ucciso. Quindi, vedi che si può morire sul lavoro a 14 anni, anche in Italia? Non lo sapevi? Ed invece è così. Che dici, che a 14 anni si dovrebbe giocare a pallone? Certo, si dovrebbe. Però c’è pure chi a 14 anni sta in cantiere, mentre altri giocano a pallone. E poi, scusa, non lo sai che a 14 anni si è ragazzini proprio quando si gioca a pallone, mica quando si lavora in cantiere. Là, in cantiere e a quell’età, di solito sei un manovale, e comunque un irregolare, un lavoratore in nero. Me lo racconta pure mio padre, che ha cominciato ad andare in cantiere a 12 anni. Lui era manovale di “mastr’ Andrè” o di “mastr’ Peppe” o di qualche altro mastro… 45 anni fa.

Che faceva mio padre in cantiere, ragazzino di 12 anni, 45 anni fa? Preparava la calce, portava sacchi da 50 chili di cemento sulle spalle, si arrampicava sui ponteggi. È pericoloso, sì è vero. E pericolo è pure, ad esempio, lavorare dove ci sono degli scavi, come stava facendo quel ragazzino di 14 anni nel leccese. Ché ci si può cadere dentro, ci si può rimanere seppelliti per uno smottamento, ci si possono respirare vapori tossici, ci si può saltare in aria per la presenza di gas infiammabili o esplosivi. Ma come dicevo, in cantiere mica si è ragazzini di 12 o 14 anni. In cantiere di solito ci sono paia di braccia che sollevano materiali, paia di gambe che spingono, schiene che si piegano, mani che afferrano. E poi ci sono massi che cadono e che sfracassano teste costole braccia schiene gambe.

Non si può fare, cosa? Non si può lavorare a 14 anni? Ma intendi che per legge non si può? Ah, sì, certo: la legge non lo consente. Sì, certo, per legge non si potrebbe lavorare prima della fine della scuola dell’obbligo. E l’obbligo di andare a scuola c’è fino a 16 anni. Ma te l’ho detto prima: in cantiere, a 14 anni, non si è un ragazzino di 14 anni; si è “energia, muscoli, sudore” a buon mercato. E poi, la legge… Non lo vedi che proprio a questo sta riducendo i lavoratori, e cioè braccia e intelletto da spremere, al minor costo possibile ed il prima possibile? 16 anni non è mica l’età minima per l’accesso al lavoro. Sì, certo, formalmente lo è. Ma il raggiro l’hanno trovato ed hanno riportato l’età minima a 15 anni, quando è concesso di assolvere all’ultimo anno di scuola obbligatoria facendo l’apprendista. È un tira e molla che va avanti dal 1997: ogni volta che si è posto l’obbligo scolastico fino a 16 anni, è arrivato un governo padronale (in genere chiamato con nomi da monarca: Berlusconi II, Berlusconi III, ecc.) ad abbassarlo. E siccome questo governo (che si chiama Monti), che non va a puttane ma ci manda a noi, pure padronale è, ha fatto la sua riforma del lavoro, che consente all’impresa di assumere qualche apprendista di 15 anni in più. E del lavoro sommerso, ad esempio quello compiuto da ragazzini di 14 anni, qualche volta che se n’è parlato fu definito “ammortizzatore sociale”; ora sembra non ci sia.

Ah dimenticavo, negli ultimi 5 anni sono morti sul lavoro almeno 29 ragazzini dai 17 anni in giù. Cioè, scusa, hanno smesso d’un tratto di lavorare 58 braccia e 58 gambe ed hanno smesso di sudare 29 fronti che avevano al massimo 17 anni di vita.

3 agosto 2012


giovedì 2 agosto 2012

pc 1-2 agosto - Sindacato, politica, corruzione... la Uil Trasporti a Palermo

Giuseppe Caronia, dirigente della Uil Trasporti, avrebbe utilizzato i fondi del sindacato per la campagna elettorale della figlia, Marianna Caronia (già ex vicesindaco e deputata regionale) a sindaco di Palermo: potrebbe essere una storia di “amore filiale”, che deve fare un povero padre per agevolare la carriera di sua figlia?

Riportiamo questo articolo del Giornale di Sicilia di oggi perché evidenzia il livello di corruzione all'interno del sindacato confederale in questo caso la Uil Trasporti (ma qualche tempo fa c'era stata una notizia, subito dopo scomparsa, di una truffa della Cisl di Messina nei confronti di pensionati, o il "regolamento di conti" nella Cgil della Sardegna per rimanere ai fatti più eclatanti); l'intreccio con la politica; l'utilizzo di fondi (i soldi delle quote versate dai lavoratori) del sindacato per motivi politici, essenzialmente personali ma anche di “consorteria”...

Non è una novità per nessuno che ad ogni elezione i sindacati confederali fanno le loro campagne elettorali e che per farle servono tanti soldi...

***
L'inchiesta. I legali di Giuseppe Caronia: ancora nessuna contestazione

Fondi Uil dirottati?
Un testimone conferma le accuse

Un testimone, un alto dirigente nazionale della Uil Trasporti, conferma le accuse nell'inchiesta – condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza – riguardante Giuseppe Caronia, padre di Marianna, ex vicesindaco e deputato regionale del Pid. Soprattutto, esclude che ci sia stata una campagna di tesseramento 2011-2012: che poi sarebbe stato il modo per camuffare quello che l'accusa ritiene un vero e proprio dirottamento di fondi, dal sindacato alla campagna elettorale del candidato sindaco Marianna Caronia, della lista “Amo Palermo”. Circostanza sempre smentita dal deputato regionale del Pid.
Caronia senior è accusato di appropriazione indebita aggravata, oltre che di evasione fiscale: e il teste, sentito dagli investigatori e dal pm Dario Scaletta, ha parlato di tanti aspetti poco chiari nella gestione del sindacato, a cominciare dal modo di pagare i dipendenti, alcuni dei quali avrebbero firmato sostenendo di lavorare gratis e dalle retribuzioni elevate dei dirigenti, fra i quali lo stesso Giuseppe Caronia, che non è più segretario del sindacato, ma è rimasto comunque ai vertici della Uil Trasporti, con incarichi diversi. Elementi che l'accusa intende utilizzare per dimostrare che la gestione economico-finanziaria del sindacato non era trasparente e dunque poteva agevolare la sparizione di denaro. Proprio dall'evasione fiscale da 600 mila euro (l'accertamento della Finanza su Caronia padre è già concluso) era partita la seconda indagine, in cui l'accusa ipotizza che il segretario abbia prelevato fondi del sindacato per la figlia, candidata sindaco di “Amo Palermo”, alle elezioni di maggio.
Un errore, la diversità di causali indicate da chi spediva e da chi riceveva lo stesso bonifico da 50 mila euro, ha concentrato l'attenzione della Procura su un passaggio di denaro: da un lato era stato scritto infatti “Cons. pop. Mar. 2012” (consultazione popolare, con un errore nel mese, marzo anziché maggio), dall'altro, il motivo era la “campagna tesseramento”. Che – sostiene il teste – non ci sarebbe mai stata. Il difensore di Giuseppe Caronia, l'avvocato Ninni Reina, non ha formulato alcuna tesi difensiva, perché, spiega, le contestazioni non sono state ancora mosse formalmente.

Gds 2 agosto 2012

pc 1-2 agosto.. ma perchè contropiano senza sapere nulla deve scrivere sciocchezze sull'ilva taranto

i sindacati di base all'ilva si chiamano slai cobas per il sindacato di classe- gli altri non esistono all'ilva

chi ha contestato i sindacati confederali sono un 'comitato di lavoratori e cittadini liberi e pensanti' di orientamento ambientalista- in cui i sindacati di base presenti all'ilva non ci sono, nè a taranto esiste attualmente alcun centro sociale

lo spezzone è arrivato tranquillamente sotto il palco e ha contestato fino a farli finire di parlare i sindacalisti confederali confederali - la polizia è intervenuta quando i sindacati confederali se ne sono andati e la piazza era nelle mani dello spezzone della contestazione

 non c'e nessun sindacato di base  all'ilva che sostiene la chiusura immediata dell'ilva e se esistesse sarebbe cacciato a furor di popolo da tutti gli operai dell'ilva, perfino dai suopi iscritti se esistessero

non sono mai esistiti due cortei a taranto entrambi erano organizzati dai sindacati confederali in uno di essi quello partito dall'arsenale- vi era lo spezzone ripetiamo di un ' comitato di lavoratori e cittadini liberi e pensanti'

articoli di questo genere sono superficiale e dannosa disinformazione

 slai cobas per il sindacato di classe taranto 

 

La manifestazione dei sindacati sulla vicenda Ilva contestata da sindacati di base e centri sociali. I segretari di Cgil Cisl Uil lasciano la piazza scortati dalla polizia.


La manifestazione convocata questa mattina da Cgil Cisl Uil sulla vicenda dell'Ilva è stata conclusa in seguito alla contestazione degli attivisti e dei lavoratori dei sindacati di base e dei centri sociali. La polizia e i carabinieri in tenuta antisommossa hanno impedito che i contestatori raggiungessero il palco in piazza Vittoria. L'interruzione è avvenuta durante l'intervento del segretario Fiom Landini. I contestatori, giunti nel cuore della piazza a bordo di un furgoncino da cui diffondevano fumogeni colorati. I giornalisti riferiscono che I leader sindacali nazionali hanno lasciato piazza della Vittoria scortati dalla polizia.

I sindacati di base e molte altre realtà sociali sostengono la necessità della chiusura immediata dell'Ilva per interrompere la diffusione di sostanze inquinanti e contestano la posizione dei sindacati che continuano a esprimere posizioni tese a salvare capra e cavoli. “Non accetteremo per nessuna ragione la chiusura dell'Ilva. Molto spesso parlano persone che non conoscono quello che dicono” ha detto ad esempio il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, intervenendo dal palco. “Abbiamo deciso di scioperare e manifestare nella città e di discutere con la città proprio perché vogliamo unire il diritto al lavoro col diritto alla salute e allo sviluppo del territorio” ha dichiarato invece il segretario nazionale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini.



Questa mattina due cortei hanno sfilato per le strade di Taranto. Uno quello dei sindacati ufficiali, l'altro dei sindacati di base e dei movimenti sociali era partito dal piazzale antistante l'Arsenale militare di Taranto. In testa campeggia un grande manifesto con la scritta: "Difendere il lavoro per tutelare salute, sicurezza e ambiente". Al corteo partecipano molte donne dei quartieri popolari da anni in lotta contro l'inquinamento dei veleni da parte dell'Ilva.

pc 1-2 agosto - taranto una manifestazione piena di contraddizioni

 
Non si può capire realmente quello che è successo a Taranto oggi se non si legge attentamente il volantino da noi diffuso prima e durante la manifestazione.


Lo slai cobas per il sindacato di classe non ha aderito alla manifestazione odierna perchè le sue modalità non corrispondevano alle necessità della lotta operaia oggi, ne vi corrispondevano le sue parole d'ordini:
'una manifestazione di tutti contro nessuno' avevano detto i dirigenti sindacali confederali.
Noi invece vogliamo una lotta e una manifestazione chiara e seria contro i responsabili della attuale situazione. Nello stesso tempo non potevamo non esserci per parlare alle migliaia di operai e cittadini che vi sono convenuti con striscione cartelli e volantini. Per questo abbiamo costruito una postazione al piazzale arsenale prima e in piazza della vittoria lato piazza carmine, molti operai hanno discusso con noi contenuti della parola d'ordine e nostre proposte e linee d'azione


Per queste ragioni non avevamo in questa occasione intenzione di contestare i comizi delle direzioni sindacali cgil-cisl-uil.


Nel corteo è stato presente un folto gruppo di diverse centinaia di giovani, precari, disoccupati e gruppi di operai Ilva riuniti in un "comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti", di orientamento prevalentamente ambientalista, dietro uno striscione "si ai diritti, no ai ricatti" a cui lo slai cobas per il sindacato di classe non aderisce. 
Questo spezzone è giunto fino alla piazza e sotto il palco con forte contestazione.
A questo gruppo e in particolare agli operai di questo gruppo alcuni dei quali molto conosciuti dalla massa operaia,  come era abbastanza legittimo e opportuno occorreva dare la parola, gli organizzatori della manifestazione cgil-cisl-uil  non l'hanno data.
Questo ha alimentato la contestazione fino all'interrruzione del comizio dei sindacalisti - in quel momento stava parlando Landini, ma la contestazione era rivolta a tutti i dirigenti sindacali senza distinzione - la piazza si è in parte svuotata e la polizia è intervenuta a volte in forme anche violente per contenere e poi allontanare lo spezzone, e anche due nostre compagne sono state malmenate. Quindi via via la tensione si è allentata e una parte degli operai è ritornata in piazza


La linea è l'azione attuale dello slai cobas è sintetizzata esattamente dai contenuti del volantino e dei comizi alla fabbrica dei giorni precedenti e lungo questa linea vogliamo proseguire il nostro lavoro.
Oggi sono molti gli elementi di riflessione. La manifestazione non è stata grande come si voleva, gli operai Ilva non erano tanti come nei giorni dei blocchi, nè si sono viste masse di cittadini; la critica ai dirigenti sindacali si era già espressa peraltro nelle assemblee in fabbrica, soprattutto verso la direzione della UILM. Questo a nostro giudizio richiede che venga ripresa la via della rivolta operaia a partire dalla fabbrica e che gli operai si muovano secondo un orientamento autonomo da padroni, istituzioni, sindacati confederali, e ambientalisti che vogliono la chiusura della fabbrica, ma questa autonomia oggi richiede l'organizzazzione in fabbrica alternativa, e per questo lavora lo slai cobas per il sindacato di classe.


slai cobas per il sindacato di classe
cobasta@libero.it
2 agosto 2012




Contro Riva e lo Stato dei padroni

Ieri e soprattutto oggi alle portinerie D e A dell'Ilva seguitissimi volantinaggi e comizi dello slai cobas per il sindacato di classe alla vigilia della manifestazione di giovedì 2 .

Lo slai cobas ha ribadito la sua non adesione alla linea e alle caratteristiche della manifestazione, ma anche
la sua partecipazione con una postazione al concentramento previsto per piazzale arsenale.
Noi siamo per la continuità della rivolta operaia e dei blocchi e  non per manifestazioni tradizionali per ascoltare Camusso, Angeletti e Bonanni.
I contenuti della nostra postazione informativa sono espressi dal testo del volantino e manifesti diffusi in fabbrica:
Contro Riva e contro lo stato dei padroni Difendiamo con la lotta lavoro e salute
l'Ilva non deve chiudere ma per morti e inquinamento i padroni - Riva compreso - devono pagare e fare
gli interventi necessari!
Si lavora per vivere.. non per morire e far morire!
Il posto di lavoro non si tocca.. ma anche sicurezza salute e ambiente non si toccano!

La lotta degli operai Ilva è esplosa, nella forma di una rivolta di massa.
Non basta ora la sfilata...  la rivolta deve continuare e ORA BISOGNA ANDARE FINO IN FONDO, con lotta, chiarezza e serietà.

- Il riesame deve rivedere la decisione di 'fermo degli impianti'. La magistratura non ha distinto adeguatamente: le responsabilità di Riva e dirigenti che vanno colpite, la continuità produttiva della fabbrica che è una condizione necessaria anche per un intervento pianificato di bonifica in corso d'opera, la questione della difesa rigida del posto di lavoro e del salario di tutti i lavoratori. Riva e gli altri devono restare agli arresti, Riva deve mettere la sua parte di soldi per gli interventi necessari, garantendo il lavoro per tutti e per tutto il tempo necessario alla bonifica.
Noi con gli operai diciamo "l'Ilva non deve chiudere, Riva, e i politici che hanno gestito quando era Italsider pubblica, devono pagare. Noi abbiamo già pagato anche con i nostri morti. Loro se ne possono andare, la fabbrica e il nostro lavoro devono rimanere". "se siamo arrivati a questo punto la colpa è di Riva e anche dei sindacati confederali che per anni si sono coperti a vicenda. Se ci fossero stati prima i Cobas, le cose non starebbero così".
Le proposte e l'azione fatta dallo Slai cobas in questi anni (basti pensare alla richiesta di "Postazione ispettiva" in fabbrica su sicurezza e salute degli operai, ecc.), avrebbero fermato prima la mano di Riva e la
Magistratura non avrebbe avuto ragione di provvedimenti così gravi.
Nulla è e sarà come prima all'Ilva e a Taranto. La lotta ora deve rimanere nelle mani degli operai.
Ora non abbiamo che da perdere le nostre catene e un mondo da conquistare.
Lottiamo insieme per il lavoro, la sicurezza e la salute degli operai e della città, contro Riva ma anche contro lo Stato che prima non fa niente e ora mette a rischio i posti di lavoro.

Autonomia operaia/organizzazione
Slai COBAS per il sindacato di classe Ilva Taranto
via Rintone, 22 Taranto - cobasta@libero.it - 347-5301704 - 347-1102638

2 agosto 2012

pc 1-2 agosto - ancora repressione contro i No Tav


Ancora fermi di massa in Val Susa
ore 22.30 il gruppo di no tav fermati sta tornando al campeggio anche grazie all’aiuto di molti no tav accorsi immediatamente sul luogo del fermo creando non poche difficoltà a chi pensava di far tanto il gradasso.
E’ di nuovo in corso un fermo di massa da parte delle FFOO a Chiomonte ai danni dei notav. Questa sera, dopo un’iniziativa informativa che si è svolta sotto il comune e per le strade di Chiomonte proprio sul tema della militarizzazione che la valle ha dovuto subire negli ultimi giorni, circa 30 notav sono stati circondati e chiusi in un angolo nella stazione da più di 50 agenti in tenuta antisommossa, con lo scopo di identificare e fotografare tutti. Tre persone che non hanno i documenti con sè sono state minacciate di essere portate in questura. I notav stanno cercando di risolvere la situazione al più presto andando a casa tutti insieme, senza che nessuno sia portato via.
*************
Oggi, 31 luglio, agenti della digos di Torino si sono presentati presso le abitazioni di 12 No Tav e presso il campeggio No Tav di Chiomonte per notificare altrettante denunce per resistenza aggravata e lesioni, e alcune misure cautelari. I fatti contestati sono quelli dell’8 dicembre 2011, quando, nel giorno dell’anniversario della cacciata delle truppe del 2005, migliaia di persone si recarono in Val Clarea per ribadire la contrarietà più ferma alla presenza in valle delle truppe d’occupazione presenti dal 27 giugno, e alle recinzioni che delimitano l’area in cui dovrebbero svolgersi i lavori preliminari per il tunnel geognostico di Chiomonte.
Fu una giornata di lotta, di sfida alle mafie Sì Tav e al loro apparato militare, cui le FFOO risposero con violenza estrema, lanciando gas lacrimogeni al CS non appena tentammo di avvicinarci alle reti, non senza cercare il ferito e magari il morto tra i manifestanti (in particolare puntando ripetutamente alla testa dei No Tav le granate lacrimogene). Un compagno perse un occhio per questo motivo, mentre Yuri, 16 anni, del Komitato Giovani No Tav, oscillò tra la vita e la morte per 24 lunghissime ore, per poi ristabilirsi soltanto parzialmente dopo mesi di cure. Ha infine completamente perso l’udito da una delle orecchie.
Questa repressione fu brutale e premeditata, dimostrando ancora una volta che, quando interessi troppo grandi sono in ballo, la democrazia dell’austerity non esita a mettere a rischio la vita delle persone, pur di procedere nei suoi intenti. Proprio in quei giorni, d’altra parte, si insediava il governo Monti che, per voce del ministro Passera, ribadiva il carattere prioritario e irrinunciabile del Tav: non ci stupimmo, visto che i tecnocrati che ci governano hanno il compito preciso di scaricare i costi della crisi su tutti noi, per massimizzare ancora una volta i profitti di una cricca di parassiti capitalisti. Di una simile visione della società, e di simili interessi, il Tav è uno dei costituenti esemplari.
Oggi, ancora una volta, la magistratura torinese si schiera contro la Val di Susa, imponendo restrizioni ai movimenti di 12 compagni colpevoli soltanto, come tutti noi, di avere difeso la nostra terra. Per l’ennesima volta, e a sette mesi dall’operazione coordinata da Caselli il 26 gennaio, si mostra di credere che le denunce e i processi possano fermare un movimento popolare di massa, un movimento resistente, che non arretrerà di un metro dopo questa operazione, come non ha arretrato dopo le precedenti. Operazione tanto più grave perché assume carattere persecutorio nei confronti di un compagno del Comitato di Lotta Popolare, Giorgio, che soltanto ieri aveva visto gli arresti domiciliari commutati in divieto di dimora in alcuni comuni della valle; da oggi gli si impone l’obbligo di dimora a Bussoleno e quello di permanenza presso la propria abitazione tra le 21 e le 7. Provocazione tanto più evidente perché un altro indagato, Max, è stato “prelevato” nella notte al campeggio di Chiomonte per la notifica di un obbligo di dimora mentre Luca, giovane del Comitato, è stato prelevato a casa sua, caricato in macchina e portato in Questura a Torino.
Nulla di tutto questo fermerà il movimento o incrinerà la sua convinzione nelle proprie ragioni. Nulla di tutto questo cambierà la nostra opinione sul Tav e sulla necessità di una resistenza aperta contro di esso. Nulla di tutto questo cambierà la storia di vergognose violenze di polizia che ha contraddistinto la giornata dell’8 dicembre 2011. Nessuna denuncia e nessun processo intaccherà la fermezza del movimento nella lotta: ci vorranno tempo e sacrifici, ma infine una per una le recinzioni del cantiere verranno giù.
Comitato di Lotta Popolare di Bussoleno
31/07/2012

mercoledì 1 agosto 2012

pc 1-2 agosto - ilva taranto .. verso la manifestazione di domani


Contro Riva e contro lo stato dei padroni

Ieri e soprattutto oggi alle portinerie D e A dell'Ilva seguitissimi volantinaggi e comizi dello slai cobas per il sindacato di classe alla vigilia della manifestazione di giovedì 2 .

Lo slai cobas ha ribadito la sua non adesione alla linea e alle caratteristiche della manifestazione, ma anche
la sua partecipazione con una postazione al concentramento previsto per piazzale arsenale.
Noi siamo per la continuità della rivolta operaia e dei blocchi e  non per manifestazioni tradizionali per ascoltare Camusso, Angeletti e Bonanni.
I contenuti della nostra postazione informativa sono espressi dal testo del volantino e manifesti diffusi in fabbrica:
Contro Riva e contro lo stato dei padroni Difendiamo con la lotta lavoro e salute
l'Ilva non deve chiudere ma per morti e inquinamento i padroni - Riva compreso - devono pagare e fare
gli interventi necessari!
Si lavora per vivere.. non per morire e far morire!
Il posto di lavoro non si tocca.. ma anche sicurezza salute e ambiente non si toccano!

La lotta degli operai Ilva è esplosa, nella forma di una rivolta di massa.
Non basta ora la sfilata...  la rivolta deve continuare e ORA BISOGNA ANDARE FINO IN FONDO, con lotta, chiarezza e serietà.

- Il riesame deve rivedere la decisione di 'fermo degli impianti'. La magistratura non ha distinto adeguatamente: le responsabilità di Riva e dirigenti che vanno colpite, la continuità produttiva della fabbrica che è una condizione necessaria anche per un intervento pianificato di bonifica in corso d'opera, la questione della difesa rigida del posto di lavoro e del salario di tutti i lavoratori. Riva e gli altri devono restare agli arresti, Riva deve mettere la sua parte di soldi per gli interventi necessari, garantendo il lavoro per tutti e per tutto il tempo necessario alla bonifica.
Noi con gli operai diciamo "l'Ilva non deve chiudere, Riva, e i politici che hanno gestito quando era Italsider pubblica, devono pagare. Noi abbiamo già pagato anche con i nostri morti. Loro se ne possono andare, la fabbrica e il nostro lavoro devono rimanere". "se siamo arrivati a questo punto la colpa è di Riva e anche dei sindacati confederali che per anni si sono coperti a vicenda. Se ci fossero stati prima i Cobas, le cose non starebbero così".
Le proposte e l'azione fatta dallo Slai cobas in questi anni (basti pensare alla richiesta di "Postazione ispettiva" in fabbrica su sicurezza e salute degli operai, ecc.), avrebbero fermato prima la mano di Riva e la
Magistratura non avrebbe avuto ragione di provvedimenti così gravi.
Nulla è e sarà come prima all'Ilva e a Taranto. La lotta ora deve rimanere nelle mani degli operai.
Ora non abbiamo che da perdere le nostre catene e un mondo da conquistare.
Lottiamo insieme per il lavoro, la sicurezza e la salute degli operai e della città, contro Riva ma anche contro lo Stato che prima non fa niente e ora mette a rischio i posti di lavoro.

Autonomia operaia/organizzazione
Slai COBAS per il sindacato di classe Ilva Taranto
via Rintone, 22 Taranto - cobasta@libero.it - 347-5301704 - 347-1102638
2 agosto 2012

martedì 31 luglio 2012

pc 30-31 luglio - alle olimpiadi .. per i lavoratori Ilva

Skeet, la dedica speciale di Golding "Argento per i lavoratori dell'Ilva"
Anders Golding alla fine della gara


Skeet, la dedica speciale di Golding
"Argento per i lavoratori dell'Ilva"




Il tiratore danese, secondo nella finale vinta dall'americano, di lavoro fa il carpentiere e quando fa freddo nel suo paese, si allena a Taranto utilizzando le ferie: "Siamo ospitati nella fabbrica e conosco perfettamente la situazione: il mio cuore è con gli operai". Tarantino è il suo allenatore, Pietro Genga: "La medaglia è anche per loro, per l'ospitalità che ci danno"
LONDRA - All'Italia nello skeet non è arrivata la medaglia (Lodde è arrivato in finale) ma all'Italia e in particolare ai lavoratori dell'Ilva di Taranto è arrivata la dedica dell'argento della gara: "Dedico la mia medaglia ai lavoratori dell'Ilva. E' un peccato ciò che sta succedendo, mi dispiace veramente e spero che la situazione si possa ancora risolvere. Non togliete a nessuno il lavoro", ha detto il tiratore danese Anders Golding, subito dopo aver concluso la gara che gli ha regalato il podio di Londra 2012. Come arrivi una dedica ai lavoratori dell'Ilva da parte di un ragazzone di 28 anni nato ad Aalborg, nella lontana Danimarca, è lo stesso Golding a spiegarlo: "Passo a Taranto una sessantina di giorni all'anno e mi alleno con il mio ct Pietro Genga nel poligono all'interno della fabbrica. Vorrei dire a tutti quegli operai che il mio cuore è con loro".

E lo stesso tiratore danese, che è arrivato secondo alle spalle del fuoriclasse sergente dell'esercito degli Stati Uniti americano Hancock, 23 anni e al secondo oro consecutivo ai Giochi, di lavoro fa il carpentiere, e non si dedica al tiro a volo a tempo pieno. Si allena solo di pomeriggio, e utilizza le ferie, che prende quando nel suo paese è inverno, per andare a Taranto ad allenarsi con il suo tecnico Genga ed altri compagni di nazionali, "in tre alla volta". "Da loro in certi periodi dell'anno fa 21 sotto zero - spiega proprio l'allenatore - e non potrebbero assolutamente allenarsi. Quindi vengono
dalle mie parti, e spesso sono miei ospiti a pranzo e cena". Per questo i tiratori danesi, tra i quali Golding, conoscono bene la situazione dell'Ilva: "da voi ci alleniamo sempre lì", dice la medaglia d'argento di oggi.

Sei impianti dell'area a caldo della fabbrica tarantina, su ordine del Gip, sono stati messi sotto sequestro per motivi di inquinamento ambientale e gli operai sono stati mandati a casa. "So cos'è successo e mi dispiace - spiega Golding -: sono un lavoratore anch'io, e capisco quella gente".

Anche il tarantino Genga dedica l'argento vinto da tecnico, "ai lavoratori dell'Ilva, oltre che a mia moglie ed alla bambina che stiamo per avere. Lavoro come ct danese part-time, perché faccio parte del Corpo Forestale dello Stato, e proprio in questo ruolo dico che all'Ilva ci si doveva pensare prima. Ma questa mia medaglia da ct è 'dedicatissima' ai lavoratori dell'Ilva, visto che è stata conquistata anche grazie a loro che ci ospitano all'interno dei loro impianti. Spero che la situazione si risolva e che questo nostro risultato possa essere una boccata d'ossigeno".
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