sabato 10 luglio 2010

pc quotidiano 10 luglio - L'accordo Italia-Libia: il governo Berlusconi-Maroni responsabile di crimini contro l'umanità. Maroni/Frattini boia

Il governo italiano è in prima fila nel cancellare il diritto all'asilo politico.
La denuncia dei profughi eritrei, di cui alcuni sono già stati respinti dall'Italia, deportati e torturati nella prigione libica di Brak, finanziata dall'Italia, ha strappato il velo di silenzio sulla politica dei respingimenti del governo Berlusconi-Maroni. Le conseguenze dell'accordo con la Libia, ratificato da tutto il parlamento italiano, sono ora davanti agli occhi di tutti e si tratta di pestaggi, violenze, stupri da parte della polizia di Gheddafi, addestrata dai poliziotti italiani. Ma è la pratica quotidiana in questo grande avamposto CIE nel deserto libico. Chi riesce a sopravvivere all'inferno delle carceri-lager viene lasciato morire nel deserto, oppure impazzisce, oppure viene rimpatriato nel suo paese dove riceverà lo stesso trattamento da parte del proprio governo. In pochi riescono a riprendere la via della fuga da fame, guerre e repressione.
Grande è il disprezzo nei loro confronti da parte degli esponenti di questo governo razzista con Maroni che parla di "una grande vittoria contro l’immigrazione clandestina" e il boia Frattini, sorpreso perchè la denuncia a livello internazionale è arrivata dagli stessi prigionieri eritrei atraverso i cellulari! Un messaggio ai carcerieri, come a dire che le perquisizioni devono essere fatte per il meglio!
Ma non basta ancora, perchè l'Italia sta progettando una barriera elettronica e nuovi repingimenti per via aerea a partire da Malpensa.
Ogni azione di questo governo è in contrasto con i diritti umani perciò non merita di esistere un minuto di più. Teniamo presente quest'obiettivo per le mobilitazioni antirazziste di solidarietà.

prolcomra
10/07/2010

pc quotidiano 10 luglio - 7 DONNE UCCISE IN POCHE SETTIMANE



NOI ODIAMO GLI "UOMINI CHE ODIANO LE DONNE"!

Dopo Roberta, Simona, Debora, Maria, Sonia, Cristina, questa volta è morta, Chiara di Bari, operaia della fabbrica llman, massacrata con una mazza di ferro, probabilmente da un uomo che aveva conosciuto in internet attraverso messenger; un uomo che era venuto apposta dal nord.
E' una guerra di bassa intensità contro le donne da parte di uomini che non accettano da "proprietari di donne", le donne che li lasciano; in un clima ideologico, sociale, politico, che diventa sempre più da moderno medioevo contro le donne.

pc quotidiano 10 luglio - stato di polizia come stato di guerra a Napoli

A Napoli il governo, lo Stato borghese, che comprende, a Napoli come altrove, tutte le istituzioni secondo una divisione dei compiti non pianificata a tavolino ma che sta nelle cose, nei fatti dei ruolo che ciascuno svolge, hanno cominciato a fronteggiare con lo Stato di polizia la protesta popolare e la lotta sociale e quella che costituisce il cuore di essa, la lotta dei disoccupati organizzati.
E' da settimane che si assiste ad un salto di qualità nella repressione, fatto di arresti, persecuzioni, perquisizioni che vengono visti dallo Stato come prova più generale, come addestramento, dalla guerra in corso di bassa intensità ad una guerra di alta intensità.
Gli elementi di questa guerra sono stati esplicitamente dichiarati dal Questore e in una intervista dal nuovo dirigente della Digos di Napoli, Filippo Bonfiglio, apparsa su Il Mattino del 3 luglio 2010: “So bene che ci aspetta un autunno caldo a Napoli. Noi cercheremo di stemperare la piazza ma sarà la politica a dover dare delle risposte”. Circa le “risposte” che la politica intende dare, il movimento dei disoccupati le sta già misurando e contro di esse si sta già scontrando.
Con l'avvento della nuova giunta regionale si è fermato il contributo di 600 euro mensile per i 4 mila disoccupati inseriti nel 'Progetto Bros'. Quindi, invece che lavoro si taglia anche questo reddito minimo, davvero minimo, per i senza lavoro organizzati. Ma sono le dichiarazioni del dirigente della Digos che interessano. Questi dice: “per svolgere bene il nostro lavoro abbiamo bisogno di conoscere le dinamiche che portano alle manifestazioni di piazza. Dobbiamo avere chiaro il quadro politico dei movimenti e delle problematiche. E' chiaro che in questo momento la priorità riguarda i disoccupati e le manifestazioni che qui a Napoli sono quasi quotidiane. Resta nostro dovere controllare la piazza, anche talvolta cercando di stemperare le tensioni, provare a mediare. Ma può mediare chi ha qualcosa da concedere, è dunque la politica, e non spetta alla polizia che ha invece il compito di perseguire chi commette reati”. A tale proposito Bonfiglio conferma che il criterio della 'tolleranza zero' verrà applicato anche nei confronti dei disoccupati... Ha poi anche aggiunto che la Digos di Napoli “segue da vicino l'evoluzione della vicenda della Fiat di Pomigliano”.
Apprezziamo la franchezza di questa intervista perchè chiarisce, e dovrebbe chiarire anche al movimento proletario in tutte le sue componenti come si prepara lo Stato all'autunno caldo e chiama tutti a prepararsi di conseguenza.
Proletari comunisti da sempre guarda ad ogni aspetto della lotta di classe come fenomeno generale. E quello che presenta il dirigente della Digos è una guerra di classe generale che ha Napoli come teatro importante.

pc quotidiano 10 luglio - l'Italia ben governata vista da Obama è imperialista,guerrafondaia e serva americana

Il presidente Obama ha rilasciato un intervista molto vistosa al Corriere della Sera nella quale ha definito qual'è dal punto di vista Usa l'effettivo ruolo dell'Italia, “così ben governata e rappresentata dai suoi grandi amici, Napolitano e Berlusconi”: un fedele alleato militare, truppe aggiunte nella guerra in Afghanistan, anzi un reparto del contingente Usa.
Noi non sappiamo se questa intervista l'ha chiesta il Corriere della Sera o la commissionata il Presidente Usa, ma fa lo stesso; perchè l'attitudine del giornalista intervistatore è dello stile delle interviste 'Porta a porta' a Berlusconi.
Colpisce infatti in questa intervista anche lo stile da “signori del mondo”, in sostanza signori della guerra, depositari del bene e delle sorti del mondo in cui i popoli, i paesi, i loro bisogni, le loro condizioni di vita e aspirazione non esistono.
Certo, però, che stride molto la loro magniloquenza rispetto alle condizioni materiali dei conflitti.
L'imperialismo americano, le sue truppe, i suoi generali, i suoi super armamenti sono in crisi e allo sbando. Obama solo pochi giorni fa ha dovuto sostituire il capo delle forze armate in Afghanistan, in preda a frustrazioni di una guerra persa, di un nuovo Vietnam sia pure solo da parte degli Usa.

Obama in questa intervista parla dell'Italia in maniera sprezzante e indegna: “Fellini, la Toscana...”, siamo poco oltre la “pizza e il mandolino” di presidenti un pò più cafoni di cui gli Usa sono stati pieni. Le uniche cose che gli interessano sono la Turchia e l'Afghanistan e la necessità che l'Italia contribuisca a rafforzare l'elemento filo Usa in Europa facendo rientrare la Turchia come puntello Usa, e gli interessa principalmente sull'immediato che le truppe italiane svolgano bene il mestiere di retrovie, di addestratori delle truppe filo imperialiste afghane.
Come dice il notista di politica estera di questo CdS, sempre più simile al CdS dei tempi del fascismo nel servilismo verso l'alleato che allora era il nazismo hitleriano ora è l'imperialismo americano: “un'intesa ritrovata grazie all'alleanza sul campo di battaglia... l'Italia ha modificato seppur parzialmente quei limiti che frenavano la mobilità dei nostri soldati e che adottati anche da altri europei infastidivano non poco Nato e America. L'Italia, quando Obama ha chiesto rinforzi nell'ambito della nuova strategia afghana, è stata la prima a rispondere offrendo 1000 uomini. Questo pesa a Washington più di qualsiasi altro aspetto del rapporto con Roma... L'Italia deve continuare a capire che la guerra in Afghanistan, anche se difficilmente sarà vinta, resterà fino all'ultimo un test di alleanza. Agire per conto proprio, per esempio con il disimpegno, equivarrebbe ad uscire da una cornice internazionale che è la nostra dal dopo guerra, che serve alla nostra sicurezza e che serve anche alla nostra economia. Come dire, alla vita di ognuno di noi”.
La borghesia imperialista italiana continua quindi a mantenersi nel perimetro chiuso del fedele e servile alleato americano. E si tratta di una scelta non certo solo militare ma anche politica e perfino ideologica (“la vita di ognuno di noi”). Ma nel contesto della situazione mondiale questo è legarsi all'imperialismo in crisi e condividerne le sorti.
Questo si comprende meglio se si pensa a quello che sta avvenendo in questo momento in Gran Bretagna. Le truppe inglesi hanno abbandonato in questi giorni la Valle di Helmand, sostituite dalle forze statunitensi, e si parla di fallimento strategico e di ritirata. Si scappa, in sostanza. Nel cuore di questa Regione, Sagin, è stato ucciso il 10% delle truppe Nato e una parte rilevante dei militari britannici. Sono i marines ora a doversene occupare nel quadro del più grande dispiegamento delle truppe Usa in Afghanistan e nel quadro della visione di Obama ancora più guerrafondaia di Bush, fondata sul concetto: massimizziamo le truppe, massimizziamo la pressione ora per poterci poi ritirare. E' in questo quadro che va vista la crescita del ruolo dell'Italia in Afghanistan.

Ma la discussione e la mobilitazione su questo è ai minimi termini ed è parte della mancanza di una visione d'insieme della politica di questo governo, dello Stato imperialista italiano.
In questa visione d'insieme l'opposizione parlamentare è pienamente interna e contende a Berlusconi lo scettro del filo americanismo.

pc quotidiano 10 luglio - Aquila a Roma , la risposta del governo è la repressione

Le cariche a Roma contro le masse aquilane terremotate, se pur facenti parte di uno scenario che sta diventando abbastanza abituale, a Roma come altrove, non sono cariche come le altre.
Un anno fa a L'Aquila si celebrava il G8, i cosiddetti “grande della terra” sfilavano come star con le loro rispettive signore alla corte messa in piedi da Berlusconi, in una Aquila militarizzata con la maggiorparte dei terremotati tenuti lontano, trattati ora come sudditi infelici, ora come “polvere” da nascondere sotto il tappeto. Si celebrava un vertice non differente da quelli che si fanno nel Terzo Mondo. Tutti uniti nella linea di “non disturbare il manovratore”, di subire i divieti e prescrizioni, di accettare di essere parte come comparse di un colossal. Ignobili erano gli amministratori locali, dal Sindaco, che ora si mette alla testa della protesta, alla Pezzopane, nel fare da valletti e dando un inverecondo spettacolo di macchiette: gli aquilani “buoni e gentili” senza casa e senza futuro, le macerie lì a fare da panorama.
Noi siamo orgogliosi, come Proletari comunisti, insieme a pochi aquilani compagni e compagne, di aver sostenuto che quello spettacolo andava interrotto, costi quel che costi, che la voce sommersa dei morti, de L'Aquila militarizzata, dei giovani seppelliti nella casa dello studente, doveva essere un grido, non virtuale e pagliaccesco alla “Disobbediente maniera” che pure in quei giorni andava in voga.
Tutta L'Aquila era a Roma, venuta a protestare sia pure con gonfaloni,altro che le balle! Ogni aquilano che non è andato ci ha mandato i figli. E si sono ritrovati lì come in una gabbia; da quella gabbia hanno provato ad uscire, ma non si poteva, le direttive erano chiare: non si poteva andare sotto i Palazzi, non si poteva andare sotto casa Berlusconi (la vera sede del governo), “casa chiusa” di giorno e di notte.
Molti dei manifestanti a Roma era la prima volta che partecipavano ad una manifestazione e hanno dovuto vedere di persona in che Stato vivono.
Molti dei poliziotti messi lì a fare da “cane da guardia” dei ricchi e del potere erano abruzzesi. Tutto era preparato per gestire dei “poveri cristi”, trattandoli da “poveri cristi”, permettendo al massimo a rappresentanti istituzuiinali e contorni di essere ricevuti e blanditi dalle cosiddette “autorità dello Stato”.
Ma, come dire, l'aria vera che tirava era quello che traspare dalle dichiarazioni di Berlusconi: un fastidio, un'insofferenza, diciamo un odio. L'odio della cricca per essere stata presa con le mani nel sacco. Un finale di sceneggiata. C'era odio dietro le cariche, c'è arroganza, fascismo, c'è la solare distanza di un governo dittattoriale in formazione rispetto alla dignità di uomini, donne, masse che cominciano a vedere qual'è il vero stato delle cose.
Il lungo rosario di cifre e dati che parla di una ricostruzione mai avvenuta è lo sconfortante esito che dimostra che non c'è né la vecchia town né la new town, ma casette e alloggi di fortuna.
Le richieste portate dai terremotati, tramite la voce dei rappresentanti ufficiali erano e sono tutto sommato modeste: non riprendere a pagare le tasse su salari per un lavoro che non c'è, su casa che non ci sono, su servizi che non esistono e non essere dimenticati ora che non interessano più al satrapo reazionario che dirige il governo. Ma, ad appena un anno di distanza, le masse aquilane arrivate a Roma sono state trattate come i No Global di Genova, perfino in alcune scene, come quella della maglietta insanguinata del pizzaiolo che somiglia fin troppo alle teste rotte del 2001.

Le masse aquilane hanno dimostrato compattezza e combattività, la repressione ne ha alimentato la ribellione; in tanti hanno alzato forte la loro denuncia, sono diventate realmente protagonisti di una manifestazione che voleva vederli alla coda delle istituzioni locali. Hanno tenuto in scacco i Palazzi pubblici e privati, il centro di Roma.

La manifestazione di Roma non ha fatto mancare la solita apparizione degli esponenti dell'opposizione che pensavano di prendere applausi ma hanno avuto la loro buona razione di fischi. E, anche qui, quanta miseria! Un Bersani che dice: L'Aquila deve diventare il primo problema; o un “morto che cammina” come Pannella che pretende di parlare (il degrado di sistema sfocia nel degrado personale). Ma comunque gli è andata male. I telegiornali hanno cercato di coprire le cose, ma le immagini sembravano sfuggire alla censura televisiva e raggiungere le case degli italiani che hanno avuto modo di vedere.

Ora gli aquilani sono stati rimandati a L'Aquila con uno sconto sulle tasse, simile a quello di un'Agenzia di recupero crediti, per il governo il problema L'Aquila è un affare da Equitalia.
La violenza contro le masse terremotate esercitata dal governo e dallo Stato è molto più ampia delle manganellate, ora si pensa, per evitare situazioni come quella è di mercoledì 7 luglio, di come non fare arrivare a Roma le masse in lotta.
Ma il vento della protesta popolare, cominciato con le carriole che invadevano la “zona rossa” non può essere fermato.

pc quotidiano 10 luglio - Catanzaro ancora processo a sud ribelle

>>
>>
>>20 LUGLIO A CATANZARO,PROCESSO DI APPELLO AL SUD RIBELLE
>>“SIAMO TUTTE/I IMPUTATE/I, CARLO GIULIANI E’ TUTTE/I NOI”
>>
>>Dopo 8 anni il processo al Sud Ribelle si avvicina alla conclusione.
>>Il 20 luglio, 9° anniversario dell’assassinio di Carlo Giuliani e data
>>simbolo delle giornate di Genova, la Corte di Assise d’Appello di
>>Catanzaro si pronuncerà sulla decisione della Corte di Assise di Cosenza
>>che ha
>>assolti i 13 compagni/e , mandando in frantumi il forcaiolo teorema
>>Fiordalisi.
>>Nel rituale questurino-giudiziario , sotto accusa sono sempre le idee e i
>>propugnatori dell’uguaglianza e della giustizia sociale, che la piazza di
>>Genova chiedeva unanimemente.
>>Genova ha segnato il movimento con la morte impunita e archiviata di Carlo
>>Giuliani ;con le pesanti condanne inflitte alle/i compagne/i condannati
>>sdoganando i reati fascisti di “devastazione e saccheggio”. E il 20 luglio
>>a Catanzaro pende il rischio che la Corte di Assise d’Appello possa
>>accogliere il ricorso della Procura di Cosenza,riportando il processo
>>all'anno zero.
>>
>>Il processo al Sud ribelle, è bene ricordarlo, è uno dei due filoni
>>d'inchiesta aperti da Genova, che ha tentato di raccontare in chiave
>>criminale quella informale aggregazione autonoma.. Mentre i veri
>>criminali hanno
>>assassinato Carlo e assassinano giorno dopo giorno la libertà di pensare
>>e dissentire, di agire e di esistere .
>>Il 20 luglio 2010 a Catanzaro, a Genova e dovunque, dobbiamo essere più
>>che mai presenti in piazza per non dimenticare e per non lasciare che
>>siano i
>>giudici a scrivere la storia e a legittimare la repressione delle idee e
>>delle azioni. . Facciamo sentire a tutte/i che il processo a carico del
>>Sud Ribelle non coinvolge solo 13 compagne/i, bensì l’intero movimento che
>>protestò da tutta Italia a Genova nel luglio 2001 !
>>Il 20 luglio 2010 a Catanzaro è necessario più che mai assumersi questa
>>responsabilità collettiva , partecipando con delegazioni nazionali al
>>presidio davanti al Tribunale.
>>
>>Martedì 20 luglio PRESIDIO davanti il tribunale di Catanzaro dalle ore 9.
>>
>>coordinamento liberi tutti

venerdì 9 luglio 2010

pc quotidiano 9 luglio - grave alla fiat sata.. si vuole licenziare due delegati Fiom

Procedura di licenziamento per due delegati Fiom e di un lavoratore:
sciopero totale allo stabilimento Fiat Sata di Melfi contro la rappresaglia
antisindacale

Da questa notte i lavoratori dello stabilimento Fiat Sata di Melfi sono in
sciopero.

Lo sciopero continua anche con il turno del mattino; lo stabilimento è
fermo, mentre sono in corso cortei interni.

La ragione dello sciopero è dovuta alla sospensione cautelare, atto che
normalmente prelude al licenziamento in tronco, di due delegati Fiom e di un
operaio, per rappresaglia antisindacale contro le azioni di lotta in corso
sulle condizioni di lavoro.

Dalla settimana scorsa, infatti, nello stabilimento di Melfi si susseguono
tutti i giorni scioperi articolati nei vari reparti per protestare contro il
comportamento della direzione che, unilateralmente e senza confronti
preventivi con la Rsu, ha deciso l'incremento della produzione nell'ordine del 10%,
senza alcun inserimento aggiuntivo di lavoratori.

Tutto ciò avviene in contemporanea con il ricorso alla Cassa integrazione.
In pratica, si chiede di lavorare di più ai turni che lavorano, mentre gli
altri turni sono collocati in Cassa integrazione.

La Fiat invece di avviare il confronto previsto dal Contratto nazionale e
dagli accordi aziendali sull'organizzazione e sui carichi di lavoro, con
queste sospensioni dei lavoratori aumenta lo stato di tensione.

È un atto gravissimo che conferma il disegno autoritario della Fiat.

Fiom nazionale

pc quotidiano 9 luglio - Obama: "Straordinaria l'Italia in Afghanistan"

Il nobel per la pace al comando dell'imperialismo USA, Obama, nell'intervista di ieri al Corriere della sera, esprime tutta la sua gratitudine nei confronti del governo Berlusconi per quello che sta facendo, in Italia (secondo Obama siamo "fortunati ad avere un ottimo premier e un ottimo presedente della repubblica") e al servizio dell'imperialismo USA/Nato in Afghanistan come "alleato coseguente e coerente". "L'Italia ci aiuta non solo sul campo di battaglia, ma anche nella cruciale funzione
dell'addestramento delle forze di polizia e di sicurezza". Forze che servono a mantenere in vita un governo-fantoccio, corrotto ed odiato dal suo stesso popolo, e a reprimere le rivolte interne contro di esso.
Le truppe d'occupazione continuano a ricevere duri colpi dalla resistenza popolare afghana e per gli imperialisti diventa cruciale rafforzare le loro convergenze sul campo di battaglia perchè temono un altro Vietnam che riveli al mondo intero di quanto siano tigri di carta. Obama ha rimosso il generale a capo delle truppe anche per questo.
Ma in che cosa consiste l'impegno straordinario dell'Italia in Afghanistan, che a settembre aumenterà le sue truppe fino ad arrivare a 4000 unità, lo rivela L'Espresso, in un articolo di Gianluca Di Feo: "Oltre 1.200 talebani uccisi dagli italiani. E si tratta solo di una stima per difetto, potrebbero essere molti di
più. La maggioranza delle vittime è stata fatta dai parà della Folgore".
E' una denuncia ancora incompleta visto che si parla di 30.000 civili massacrati dalle truppe NATO/Isaf.
C'è ancora chi s'illude sul "possiamo credere nel cambiamento" del pusillanime presidente USA?

Via le truppe dall'Afghanistan!
Dalla parte della resistenza popolare afghana!
La guerra imperialista si può fermare solo se avanza la guerra popolare!

prolcomra
09/07/2010

pc quotidiano 9 luglio - Campeggio della Gioventù Ribelle

pc quotidiano 9 luglio - seminario MFPR 31 lu - 1 agosto

per leggere clicca il manifesto


Scaricabile in versione pdf

pc quotidiano 9 luglio - serve l'unità contro la repressione, ma settarismo e autismo politico dominano

proletari comunisti ha partecipato in qualità di osservatore alla conferenza dibattito sul processo
politico tenutasi il sabato 26 e domenica 27 giugno a Milano per iniziativa dei compagni impegnati nel Soccorso Rosso Internazionale.
Anche in questa occasione abbiamo portato la nostra proposta politica a tutta l'area dei compagni interessati:
- costruiamo una assemblea nazionale unitaria contro la repressione
- basiamoci sul principio e la pratica di unire lottare e trasformare lo stato di cose esistente
- uniamo la lotta alla repressione in tutti i campi
- contro la persecuzione dei comunisti, dei rivoluzionari, degli antifascisti, degli anarchici...
- per la difesa delle condizioni di vita dei prigionieri politici comunisti e rivoluzionari
- contro il 41bis, contro ogni forma di tortura in carcere e fuori
- contro le montature giudiziarie e poliziesche contro le lotte operaie e popolari, contro le organizzazioni proletarie, contro i movimenti
- contro i licenziamenti politici e le discriminazioni politiche e sindacali sui posti di lavoro
- basta con le aggressioni nazifasciste contro immigrati, giovani antifascsti
- basta con le ronde razziste della Lega Nord
- basta con le brutalità, omicidi e impunità poliziesche verso fermati, arrestati, immigrati, cittadini inermi ecc.
- No al pacchetto sicurezza, abolizione del 270 bis
- “terrorista” è lo stato dei padroni che reprime non chi lo combatte
- per un soccorso rosso proletario unitario e di massa

Ma alle nostre proposte non troviamo obiezioni di fondo ma silenzio o continuazione lungo la linea del settarismo autoreferenziale e autistico che separa la lotta contro la repressione e la solidarietà ai prigionieri politici dalla lotta proletaria e politica generale.
Una lotta che non punta a mobilitare le masse, ma sempre e solo se stessi, una lotta a cui i proletari e le masse dovrebbero aderire invece che esserne protagoniste.
Questa linea impedisce il fronte unito contro la repressione e il suo sviluppo proletario e di massa
E' evidente quindi che questa strada deve ora essere perseguite con le masse e tra le masse con tutti coloro che vogliono contribuirvi ma anche in polemica aperta verso chi questa strada ostacola.

proletari comunisti
luglio 2010

pc quotidiano 9 luglio - India, 2 giorni di sciopero per Azad


I maoisti hanno lanciato attacchi in tutto il paese durante lo sciopero di due giorni convocato dal Partito Comunista dell'India(maoista) per protestare per l'assassinio del suo portavoce Cherukuri Rajkumar - compagno Azad - da parte della polizia dell'Andhra Pradesh.
I maoisti hanno attaccato una posto di polizia e la casa di un leader del Partito del Congresso a Chattisgarh nel distretto di Dantewada.
Altro attacco alla stazione di polizia di Kaukonda in Dantewada.
Altri attacchi e scontri in diverse parti dell'India.
Ci sono stati Sabotaggi di vie e linee ferroviarie e sono stati bloccati i trasporti in diverse zone.
A Orissa numerosi attacchi alle forze di polizia.
Lo sciopero convocato dal PCI maoista ha davvero paralizzato molte aree e zone del paese.

pc quotidiano 9 luglio -nuove cariche poliziesche contro gli operai a Milano

gli operai della Mangiarotti Nuclear che sono stati aggrediti e manganellati dalla polizia mentre stavano tentando di raggiungere la Prefettura, da dicembre sono in presidio permanente davanti alla fabbrica di Viale Sarca per tornare a lavorare, non subire in modo supino i licenziamenti.
Ora invece che lavoro ottengono cariche poliziesche.
Il giorno prima a Roma sono stati caricati le masse di aquilani che protestavano.
Da settimane a Napoli i disoccupati e precari in lotta sono fatti segno di cariche, fermi, arresti, denunce, perquisizioni.
Si risponde con la violenza ai bisogni di lavoro, salario, case.
Lo stato di polizia è complemento necessario della marcia verso un regime moderno fascista voluto dai padroni e incarnato in questa fase dal governo Berlusconi.
Questa verità spesso non viene compresa dagli operai e lavoratori e meno che mai dalle forze sindacali e politiche che su di essi hanno ancora influenza maggioritaria.
Ma è una questione di fondo.
Se le cariche poliziesche e la repressione ha un successo nell'intimidazione, il regime avanza.
Se invece paga per esse un costo politico e sociale esso può arretrare.

Solidarietà ai lavoratori
Unità contro la repressione delle lotte
Necessità di rispondere alle forze dell'apparato repressivo, perché le cariche non possono restare impunite.
Via il governo Berlusconi
Sbarrare la strada al moderno fascismo

proletari comunisti
9 luglio 2010

giovedì 8 luglio 2010

pc quotidiano 8 luglio - Fini a Ravenna per un nuovo patto sociale, imprese/sindacati/istituzioni

Boicottato dalla maggioranza dei berluscones del suo stesso partito, a livello nazionale e locale, Fini riceve un tripudio di consensi dal sindaco, dalla Confindustria di Ravenna e dalla stampa di provincia. Un'osannazione smisurata arrivata al punto di descriverlo come uno che dà lezioni di democrazia (Luca Pavarotti sul Corriere di Ravenna), un grande statista (un encomio che in precedenza Fini stesso ha attribuito al suo gran maestro di democrazia, Mussolini) che ha a cuore i valori fondanti di questa Repubblica borghese. Quando parla di Resistenza la chiama "un momento particolarmente complesso della nostra storia", ma è più esplicito quando parla di nazione, "un plebiscito che si rinnova ogni giorno", che non è più "un'entità etnica" (ma la legge antimmigrati porta ancora il suo nome e il governo di cui il suo partito è maggioranza è pronto a costruire nuovi CIE e tenere saldo l'accordo con la Libia che significa galera, torture, morte per gli immigrati diretti in Italia).
Poi, assieme al sindaco del PD,Matteucci a fare il coro all'inno di Mameli.
Ma il vero motivo della visita nella città medaglia d'oro alla Resistenza è l'assemblea di Confindustria Ravenna in programma mercoledì 7/07. "La crisi economica in atto - ha affermato il presidente degli industriali ravennati Giovanni Tampieri - rappresenta per tutti un'occasione formidabile per riflettere sul futuro che mai come adesso dipende da ciò che ciascuno saprà fare al proprio livello di competenza". Un futuro che si annuncia minaccioso per i lavoratori, che per i padroni vuole dire dominio assoluto dell'impresa col ruolo attivo dei confederali a consolidare un nuovo patto sociale.
Una relazione di classe, da parte di Confindustria Ravenna, che non prende minimamente in considerazione la condizione degli operai licenziati, in cassintegrazione, di coloro che sono morti per l'amianto, di coloro che rischiano la salute e la propria sicurezza nei luoghi di lavoro, dal Porto, all'Enichem, alla Marcegaglia, la precarietà dei contratti per i giovani.
In quell'assemblea Fini parla di lotta alla corruzione, di "etica pubblica" e nessun padrone o giornalista ricorda che nel frattempo sostiene un governo di ladri e mafiosi, a partire dal cofondatore del suo stesso partito.
Ma è su un punto che riceve il massimo dei consensi da parte dei padroni convenuti: "è ora di lasciarsi alle spalle l'ideologia dello scontro tra lavoro e capitale".
Ecco a voi il "compagno" Fini.

prolcomra
08/07/2010

onore al compagno azad - viva la guerra popolare in india

onore al compagno azad - i funerali

pc quotidiano 8 luglio - è uscito il bollettino n° 4 della Rete nazionale sicurezza sui posti di lavoro

Bollettino n. 4 luglio/agosto 2010

per unirsi alla Rete scrivere a:
bastamortesullavoro@gmail.com
mailing list
bastamortesullavoro@domeus.it


in questo numero:

Viareggio un anno dopo
campagna immigrati/sicurezza sul lavoro
interventi Rls Piaggio Sanofi Aventis di Brindisi e ILVA di Taranto
cronaca dei processi Eternit e Thyssekrupp
editoriale

Ad un anno della strage, il popolo di Viareggio vuole giustizia per i suoi morti.
Li ha ricordati in un clima carico di commozione e partecipazione allo stadio dei Pini, vicino alla
Darsena, quando venivano ricordati ad uno ad uno.
Morti che chiedono giustizia perchè la manutenzioni e i controlli sono un costo per i vertici delle ferrovie, morti ancora senza un processo e con il rischio di prescrizione del reato...

pc quotidiano 8 luglio - scioperi alla fiat sata melfi

da ieri notte scioperi alla fiat sata, questa mattina anche cortei interni e assemblea per protestare contro la decisione dell’azienda di sospendere tre operai (due dei quali sono delegati della Fiom),la percentuale di adesione è alta

La sospensione è stata decisa dopo che, durante un corteo interno nel reparto montaggio, due notti fa, i tre operai avrebbero impedito ad un carrello robotizzato di proseguire il suo percorso, non rifornendo di materiale gli altri lavoratori in linea (secondo l’azienda, allo sciopero, deciso contro i «ritmi di lavoro pesanti», partecipava circa un terzo degli operai).

Secondo il segretario regionale della Basilicata della Fiom, Emanuele De Nicola, «la sospensione dei lavoratori è un gesto gravissimo e del tutto pretestuoso. La Fiat vuole dare un segnale netto: o i lavoratori accettano le sue decisioni o finisce come a Pomigliano, cioè – ha concluso De Nicola – chi protesta rischia il licenziamento».

la fiat vuole imporre in tutte le fabbriche ritmi più alti massima flessibilità e se protesti la repressione

ma a Pomigliano ha incassato il no operaio all'accordo
a Melfi pronteggio gli scioperi

massimo sostegno agli operai fiat
coordinamento dal basso degli operai attivi
unità per il sindacato di classe
giornata nazionale di lotta in tutto il gruppo
manifestazione nazionale

proletari comunisti
8 luglio 2010.

pc quotidiano 8 luglio - assemblea nazionale fiat pomigliano a napoli il 3 luglio -intervento e relazione

Si è tenuta a napoli il 3 luglio una assemblea nazionale promossa dallo slai cobas Pomigliano e dalla USB con una partecipazione di 200 operai e lavoratori provenienti da diverse città italiane.

Nell'intervento di Rosario di Palermo dello slai cobas per il sindacato di classe,promotore del Comitato di sostegno alla lotta degli operai della Fiat di Termini Imerese contro la chiusura - di cui pubblichiamo breve stralcio - il sostegno alla lotta degli operai della Fiat di Pomigliano e la proposta che proletari comunisti condivide. La proposta è stata raccolta in parte nelle conclusioni finali dell'assemblea tenute dal rappresentante dell'USB.

Pubblichiamo qui per conoscenza la relazione introduttiva tenuta per lo slai cobas Pomigliano da Mara Malavenda.
Torneremo in seguito sull'assemblea e sulle conclusioni di essa.

Rosario Slai Cobas per il sindacato di classe.
“abbiamo preso schiaffi in questi anni, ma gli schiaffi si ricevono, a Termini fino a oggi non hanno avuto neanche l’onore del referendum, il padrone decide di chiudere e si chiude, ma si danno anche, la lotta a Termini che nel 2002 non ha fatto passare la chiusura, e ancora i 21 giorni di lotta alla Fiat Sata Melfi, e anche i padroni imparano… Pomigliano è anche una risposta alla lotta di Melfi.
Il no di Pomigliano è un forte schiaffo degli operai contro i padroni, dopo il no, Marchionne ha praticamente perso la parola…
a Termini si vive sotto schiaffo ogni giorno, cig e attesa… è pur vero che Marchionne quando ha presentato il piano gli altri industriali gli hanno riso in faccia… perché non è credibile da punto di vista industriale, è un piano politico di annientare gli operai ma si devono fare i conti con la resistenza operaia …
La firma dell’accordo una vera e propria istigazione a delinquere…Pomigliano come centro di riferimento – Napoli è il centro di diverse emergenze vedi quella dei disoccupati…dobbiamo ripartire da una giornata di lotta nazionale …operazione mediatica in questi anni per cancellare la classe operaia ma vedi ora gli operai del mondo che si rialzano la testa dalla Cina al Bangladesh… una giornata di lotta nazionale, la costruzione di una manifestazione nazionale a Pomigliano ci
permettono di mettere a fuoco tutte le realtà delle fabbriche e hanno un senso se anche gli operai di Pomigliano la fanno propria, questa è la nostra proposta ...

Leonardi USB
... Il compagno prima ha parlato di Termini, episodio della partita, si chiude la fabbrica e poi Marchionne si lamenta se gli operai scioperano…
... Mettere assieme le nostre forze
... Raccolgo la proposta della giornata di lotta nazionale operaia, penso che vada fatta contro la Fiat (mobilitazione in autunno da mettere in cantiere) …




Dal No di Pomigliano al rifiuto della collaborazione sindacale coi padroni e governi
ASSEMBLEA NAZIONALE
Relazione introduttiva - per Slai cobas: mara malavenda


In un clima di intimidazione che ci ricorda il periodo fascista e la Fiat di Valletta, il 22 giugno scorso, mentre ai cancelli si teneva un presidio con delegazioni delle fabbriche Fiat dei sindacati di base, in fabbrica gli operai con lo Slai cobas, “da soli e contro tutti” hanno messo in moto, organizzato e dato immediata credibilità al fronte del NO rompendo l’isolamento nei reparti dove erano i capisquadra a fare le assemblee al posto dei sindacati che hanno da tempo abdicato al proprio ruolo. Lo stesso giorno, dopo gli scioperi e le mobilitazioni operaie delle fabbriche Fiat nei principali stabilimenti, i lavoratori dell’Alfa di Arese, con lo Slai cobas,bloccavano le portinerie contro il ‘piano Marchionne’.
La scelta tattica dello Slai cobas di “scendere in campo” all’ultimo momento è stata presa per “sorprendere e spiazzare” quanti, assieme alla Fiat, si apprestavano a gestire un referendum truffa organizzato senza alcuna opposizione in fabbrica e alcun controllo ai seggi, da concludersi con un Si plebiscitario con schede false infilate nelle urne da sindacati complici come fecero FIOM-FIM-UIL nel referendum-truffa dell’87 che consentì la svendita del gruppo Alfa Romeo alla Fiat fatta all’epoca dal governo Craxi con Prodi presidente dell’Iri.
Il 22 giugn0 abbiamo tutelato e rappresentato anche gli iscritti della Fiom scaricati dal proprio sindacato che ha scelto un’ambigua “latitanza referendaria”, non presentandosi in commissione elettorale, non designando scrutatori, dichiarando illegittimo il referendum ma invitando i lavoratori a recarsi a votare per …“evitare rappresaglie aziendali”. E ciò senza avere nemmeno il coraggio di pronunciarsi per il NO. In sintonia con la campagna di “terrore e ricatto” voluta dalla Fiat e auspicato dall’asse Marchionne-Bersani-Berlusconi e CGIL-CISL-UIL, nel tentativo di imporre, direttamente all’interno dei rapporti di produzione, la controriforma eversiva del diritto del lavoro e delle libertà sindacali e la messa in moderna schiavitù dei lavoratori. L’ultima volta ci provarono per l’appunto Valletta e Mussolini!
La Fiom avrebbe potuto bloccare il referendum impugnando l’accordo interconfederale del 20/12/93, ed il regolamento unitario del 21/9/93 (firmati da Cgil-Cisl-Uil ed assunti da Fiom-Fim-Uilm): quest’ultimo, all’art. 15, comma 2, prevede che …”le operazioni di voto dovranno essere effettuate dopo almeno 15 giorni dalla indizione e non oltre 21 giorni dalla stessa”… e,quindi, non certo entro i 2 giorni pretesi da Marchionne!
Possiamo capire Uilm e Fim, ma non Landini che balbettava la illegittimità del referendum ma si guardava bene dall’impugnarlo e si rendeva immediatamente disponibile a trattare sulla “melfizzazione in peggio” ed il collegato peggioramento lavorativo e sociale della condizione operaia.

E’ utile ricordare che il giorno del voto la Fiat pretendeva il “trionfalistico” risultato dei SI all’85% appoggiata dal coro dei sindacati confederali che prevedevano il NO al 5%, mentre praticamente “tutti” - dall’estrema sinistra alla destra passando per il centro - davano per scontata comunque una grossa affermazione dei Si pari alle pretese della Fiat.
La tendenza, anche a “sinistra” di dare per scontato un plebiscito di SI, non ha certo aiutato i lavoratori né lo Slai cobas. Eppure, senza un evidente sbilanciamento a rimorchio del pensiero “dominante” della cosiddetta “sinistra sindacale”, non ci voleva molto a “vedere” le difficoltà incontrate in fabbrica, e non solo, dal cosiddetto ‘piano Marchionne’.
Basta ricordare il repentino ritiro della Fiat del vergognoso spot di “fabbrica Italia” dopo la lettera scritta a sua figlia Mayra da Anna Solimeno, la mamma operaia dello Slai cobas.
Basta ricordare il misero fallimento della fantozziana fiaccolata organizzata dalla Fiat.
Basta ricordare le assemblee del 20 maggio scorso del 2° turno (il primo era in cassa integrazione) dove i 1.500 lavoratori presenti e senza alcuna paura approvano con voto palese e per alzata di mano (nessun contrario, nessun astenuto) la mozione presentata da Luigi Aprea dello Slai cobas e bocciavano l’irricevibile proposta Fiat ritirando il mandato a trattare ai sindacati confederali. A quegli stessi FIOM-FIM-UILM-FISMIC che, per non creare problemi
alla Fiat, fecero di tutto per censurare l’esito delle assemblee sui media compiacenti!
E’ evidente che “erano in parecchi” quelli che speravano di “salvare la faccia” usando il referendum per addossare ai lavoratori le gravi responsabilità di differenziate scelte sindacali tutte comunque accomunate da strategie di cedimento, svendita e disarmo.
Facile profezia è stata la previsione del NO al 40%. Questo considerato la “necessità” di impostare a “blitz”, giusto nel giorno del voto, la campagna del NO! Era l’unico modo di coglierli di sorpresa e impedire la programmazione dei brogli. In caso contrario sarebbe stato possibile l’affermazione del NO al 70%! Questo se non ci fossero stati sindacati doppiogiochisti e formazioni politiche oggi allo sbando che finiscono col trasmettere più una pericolosa ed inquietante confusione nel movimento che chiarezza di analisi e strategia.
Queste pericolose ambiguità presenti nel cosiddetto “movimento” nei giorni scorsi ci hanno fatto rischiare grosso, specie se avessimo inseguito, come in tanti chiedevano, la proposta della Fiom di finto boicottaggio del referendum.
E’ proprio in un simile contesto “reggicodista” che si consumò la beffa referendaria che nel 1995 portò alla disastrosa approvazione dell’abrogazione parziale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, che passò con uno scarto di soli 13.000 voti a fronte di 25 milioni di voti validi.
Il risultato del referendum fu frutto di brogli elettorali. Brogli consentiti dal comportamento inquinante della cosiddetta “sinistra” Fiom-CGIL, di Rifondazione Comunista, gruppi e gruppetti collegati e qualche sindacato di base, che organizzarono la raccolta di firme anche sul quesito parziale, di fatto contrapposto a quello totale per l’abrogazione secca dell’intero art. 19.
Ciò vanificò la pur notevole iniziativa dei lavoratori che forti di quella che all’epoca passò alle cronache come la “stagione dei bulloni”, si ponevano l’obiettivo di abbattere una norma liberticida che imponeva il monopolio di CGIL-CISL-UIL e precludeva (e ancora preclude) ogni possibilità di democrazia per i lavoratori stessi.
E’ dall’insieme di tali vicende che deriva il restringimento della democrazia nei luoghi di lavoro e nella società con la rappresentanza sindacale consegnata al riconoscimento datoriale con la firma dei contratti bidone.
E oggi più che mai la questione sindacale diventa una vera e propria “emergenza democratica e politica” in ogni posto di lavoro, sia pubblico che privato, perché l’attacco alla democrazia sindacale è uno dei principali strumenti usati dal padronato, e dai vari governi che si sono succeduti, per impedire ai lavoratori ogni idonea difesa.
Alla luce dei fatti possiamo in sostanza ben dire che i sindacati confederali - e molte delle collegate forze che si autodefiniscono “radicali, antagoniste o di movimento” - hanno svolto in questi anni un oggettivo ruolo di “cavalli di Troia” tra i lavoratori indipendentemente dalla loro buona o mala fede… E questo oggi, in molti, continuano a fare!
E’ dovuta alla consapevolezza di ciò la sconfitta politica - e in questo senso anche “mediatica” - prima che sindacale, delle trame neofasciste di Marchionne e dei suoi complici. E non è stata frutto del caso, né di un indefinito “spontaneismo operaio” con cui, tutti, oggi, vorrebbero “cingersi al testa”.
E se l’esito di una lotta è dato dalla posta in gioco, la grande lezione che hanno dato i lavoratori dell’Alfasud va ben oltre la pur momentanea sconfitta della Fiat: per capire i termini della questione basterebbe pensare a cosa sarebbe accaduto a Pomigliano, in Italia e in Europa, se fosse passato il ‘piano Marchionne’ con la resa incondizionata dei lavoratori. Lo scorso 22 giugno abbiamo dimostrato l’insostituibile ruolo dei sindacati di base capaci di
ridare “forza e voce” ai lavoratori, infliggendo un duro colpo alla filosofia generale contenuta nel ‘piano Marchionne’ e ponendo una importante premessa e direzione di marcia per la ripresa delle lotte.
Tutto ciò “rischiara” una fase che, tra l’altro, scontava l’evidente difficoltà strategica delle lotte di resistenza dei lavoratori e di quelle sociali, che anche se forti e destinate ad allargarsi sotto i colpi della crisi, sembravano non bastare ad impedire quel “ritorno al medioevo” in cui la devastante controffensiva globale del capitale e l’involuzione a destra dell’intero quadro politico volevano precipitarci. Lo scorso settembre, nell’assemblea tenuta proprio in questo luogo ed indetta da Slai cobas ed RdB, lo avevamo affermato: “con l’appoggio ai licenziamenti politici del 2006 e ai reparti
confino, col sequestro del voto delle RSU concertato con la Fiat in funzione del ‘piano Marchionne’, FIOM-FIM-UILM a Pomigliano stanno scrivendo una delle pagine più nere della storia sindacale”! E’ su questa scia che Brunetta ed i sindacati collaborazionisti hanno deciso il rinvio “per legge” delle elezioni anche nel pubblico impiego incluse quelle per la scuola già scadute dal 2009.
Come ieri Prodi, oggi Berlusconi, la Confindustria e l’insieme dei poteri economici e finanziari predicano la necessità dei drastici sacrifici e della solidarietà tra chi sfrutta e chi è sfruttato per “superare la crisi” nella speranza di indurre i lavoratori a rassegnarsi alla pretesa ineluttabilità
della politiche di lacrime, sangue e macelleria sociale con cui intendono, in sopraggiunta, realizzare una sconfitta “epocale” dell’intero movimento di lotta dei lavoratori.

Una controriforma classista che oggi, con lo spauracchio della crisi, rilancia ed attualizza la filosofia della “strategia dell’EUR”, varata dalla CGIL nel 1977 (con 33 di anticipo su Berlusconi) per la “trasformazione dei diritti dei lavoratori, della democrazia e del dettato costituzionale in variabile dipendente dalle prevalenti necessità dell’impresa”.
Ma non è infatti questo che Marchionne voleva imporre a Pomigliano? Non è forse questa la filosofia delle modifiche costituzionali previste da Berlusconi?
Viene da lontano l’internità di questo sindacato alle passate, presenti e rinnovate logiche di sfruttamento e dominio capitalistico sulla forza lavoro e sull’intera società, come il suo ruolo di finta opposizione per il controllo, il travisamento ed il disarmo del conflitto sociale.
La collegata e cosiddetta sinistra sindacale non è avulsa da una quantomeno oggettiva funzionalità a questo disegno.
Sono molteplici le responsabilità che in questi anni stavano portando allo sfascio il movimento operaio e dei lavoratori in generale!
Ma come fa la FIOM , ad esempio, a parlare di democrazia e diritti a Pomigliano ed accettare i reparti confino mentre continua ad impedire, insieme alla FIM ed alla UILM, la rielezione delle RSU scadute da oltre un anno? A parlare di democrazia e diritti e presentare una legge di iniziativa popolare sulla rappresentanza sindacale scritta sotto evidente dettatura della Fiat?
Ma come fa a “respingere” il ricatto-Fiat accettandone la sostanza con la richiesta di applicare il contratto nazionale del gennaio 2006 dove FIOM-FIM-UILM sancirono la totale “flessibilità del rapporto di lavoro, dei turni e degli orari, dello straordinario, la sottomissione per 5 anni
dei nuovi assunti alle forche caudine dei contratti precari, la fruizione dei permessi personali retribuiti con l’obbligo di prenotarli 15 giorni prima e vincolati tra l’altro alle percentuali di assenteismo non superiori al 5% complessivo, l’orario plurisettimanale con lo sfondamento della 40 ore, l’utilizzo degli stessi permessi retribuiti per l’istituzione di turnazioni aggiuntive funzionali ai 18 turni e la deroga alle normative legali”?
Come dimenticare proprio la straordinaria ribellione operaia contro il contratto messa in atto il 14 febbraio 2006, in tutti i turni di lavoro, da 4.000 lavoratori dell’Alfa di Pomigliano che, a muso duro, a volto scoperto e con lo Slai cobas, respinsero al mittente l’infame contratto, zittirono i sindacalisti confederali, e votarono ancora una volta unanimi, con voto palese e per alzata di mano (nessun contrario- nessun astenuto) la mozione dello Slai cobas nelle assemblee?
Come dimenticare il licenziamento di 8 operai dello Slai cobas dove il mandante fu Rinaldini con un comunicato servilmente riportato il giorno dopo da “il Manifesto”.
E non fu certo per caso che, mentre la Fiat procedeva spedita nel piano di ‘normalizzazione antioperaia’ mettendo a punto i corsi di ‘formazione disciplinare’ e le liste di proscrizione dei lavoratori da avviare al reparto-confino di Nola, ancora Rinaldini plaudiva Marchionne definendone il ‘piano’ come… ”una innovazione da seguire, una sfida positiva”.
E ai nuovi scioperi contro la ‘disciplina da caserma’ seguì l’ennesimo tentativo di licenziamento (3 operai dello Slai cobas, 2 della Fiom e qualcuno addirittura della Fim), poi il trasferimento al ‘confino’ di Nola di oltre 300 lavoratori di cui la metà con ridotta capacità lavorative per patologie professionali, oltre 100 iscritti al solo Slai cobas, e qualche decina tra tutti gli iscritti ai sindacati confederali compresa la Fiom che non a caso ancora oggi si guarda bene dal denunciare che, tra le nefandezze del ‘piano Marchionne’, è previsto il rilancio e l’uso strutturale e massiccio in chiave antisindacale dei reparti-confino!
E’ evidente che, Landini (come allora Rinaldini) fa finta di non sapere che, al punto 12 del ‘lodo Marchionne’…”si conferma la missione del Polo Logistico di Nola”… e si prevedono “nuovi trasferimenti di personale dalla sede di Pomigliano d’arco”.
Appena il 7 aprile scorso la Fiat incassava la firma di FIOM-FIM-UILM all’ulteriore taglio occupazionale per 500 addetti collocati in mobilità che si aggiungevano al licenziamento di 200 lavoratori precari: ma che credibilità può avere un ‘piano di sviluppo produttivo’ che comincia col licenziamento di 700 lavoratori?!
Se per la produzione delle Panda è sufficiente il 25% degli addetti impegnati per quella delle Alfa Romeo la produzione si potrebbe realizzare negli attuali 2 turni su 5 giorni settimanali. Se tutti sappiamo che oggi, in tempo di crisi strutturale, è impossibile prevedere le future richieste di mercato negli anni a venire, come si può dare credibilità alle 270 mila Panda all’anno previste dalla Fiat per il …2015?! E’ facile dedurre che questa “cifra” è semplicemente una mera invenzione “politica ad uso mediatico” della Fiat, come ben sanno tutti, forze politiche, istituzionali, partitiche e sindacali… E tutti fanno finta di non sapere! Ci sarebbe piaciuto che fosse stato qualche sindacato confederale, o qualche ‘giornalista d’assalto’ a rendere evidenti queste inconciliabili contraddizioni. Purtroppo è la stessa Fiat a smentirsi da sola col ‘piano Marchionne’ prevedendo, nero su bianco, nuova cassa integrazione a tutto il 2012 e poi il totale disimpegno produttivo con la postilla: ”fatti salvi eventuali slittamenti dell’avvio produttivo dovuti alla complessiva situazione economica internazionale e/o alle condizioni di mercato”.
Come non vedere che il ‘piano Fiat’ per Pomigliano consiste semplicemente nella scelta di saturare al massimo impianti e lavoratori per farli lavorare ancora meno giorni all’anno, per garantirsi la flessibilità produttiva per qualunque produzione scelga, ed il previsto ridimensionamento occupazionale (proprio come già fatto ad Arese)… e per il resto ci pensa lo Stato con la cassa integrazione.
Ma come dare credibilità e copertura politica e sindacale ad un’azienda che già ‘stanziò’ per Pomigliano 2 miliardi e mezzo di euro, nell’ordine di mezzo miliardo all’anno per il quinquennio 2003/2007, “per garantire la missione produttiva della gamma Alfa con iniziative finalizzate a ricerca, sviluppo, innovazione ed ingegnerizzazione delle nuove produzioni” previste dagli accordi sindacali firmati da FIOM-FIM-UILM il 24 aprile del 2003 all’Unione Industriali di Napoli?
Qualcuno ha oggi il coraggio e la dignità di chiedere conto alla Fiat dei multimiliardari finanziamenti pubblici erogatigli negli ultimi 30 anni dalla compiacenti istituzioni locali e nazionali e dalla comunità europea? Noi si!
Qualcuno ha il coraggio e la dignità di chiedere chi si è messo in tasca i soldi dei finanziamenti pubblici (quali politici, quali sindacalisti, quali faccendieri, quali partiti) ricevuti dalla Fiat, per fare investimenti mai fatti, utilizzati per chiudere le fabbriche in Italia e delocalizzare la produzione all’estero? Soldi in parte esportati nei tesoretti della Famiglia Agnelli nei paradisi fiscali all’estero? Noi si!
Sappiamo che negli ultimi 30 anni la Fiat ha ricevuto dallo Stato ben 500 miliardi di euro di finanziamenti pubblici (cinque volte quanto ricevuto dalla Grecia dalla comunità europea). Ma qualcuno ipotizza e verifica l’ipotesi di “truffa continuata” ai danni dello Stato”? Noi lo faremo!
Ma qualcuno può oggi pensare che, dopo tutto questo, la Fiat può veramente chiudere Pomigliano, dopo aver smantellato l’alfa di Arese, chiuso Termini Imerese, smantellato impianti dappertutto e delocalizzato all’estero? Nascerebbero grossi guai politici, sindacali, sociali e giudiziari, nonché di ordine pubblico, per Marchionne e tutti i suoi complici! E la Fiat lo questo lo sa bene!
Ma non è bastata la lezione degli operai polacchi della Fiat che, dopo essere entrati in schiavitù, vedono messo a rischio il loro posto di lavoro? Chi si fa pecora il lupo lo mangia: è questo l’insegnamento internazionalista che abbiamo voluto dare come operai della Fiat di Pomigliano a quelli del Brasile, del Messico, degli Usa, della Serbia e della Turchia. E’ innanzitutto questa la risposta di fatto che abbiamo voluto dare alla lettera inviataci dagli operai Fiat delle Polonia: se alziamo la testa possiamo farcela anche se sembra impossibile.
Senza entrare in concorrenza tra noi e mantenendo tutti il nostro lavoro, i nostri diritti e la nostra dignità!
Intanto non staremo fermi perché è nostra precisa volontà riportare in fabbrica la democrazia, dire basta alla vergogna dei reparti-confino, e “annullare ed archiviare” definitivamente il reazionario ‘piano Marchionne’ mettendo nell’angolo chi lo sostiene.
- Abbiamo già avviato in questi giorni l’iter giudiziario per l’annullamento dell’accordo-capestro che contrasta con diritti superiori a quelli contrattuali”.
- Abbiamo già dato mandato al nostro ufficio legale per denunciare FIOM-FIM-UILM per il sequestro da oltre un anno del diritto dei lavoratori di Pomigliano a scegliere col voto le proprie rappresentanze sindacali di fabbrica.
- Abbiamo già indetto scioperi contro lo straordinario, e li faremo, e sfidiamo fin d’ora la Fiat a farci gli annunciati provvedimenti disciplinari.
Le manifestazioni nazionali e gli scioperi indetti dall’USB, le mobilitazioni di questi giorni nelle fabbriche Fiat, la mazzata assestata nei giorni scorsi a Marchionne dagli operai e dallo Slai cobas a Pomigliano, rappresentano quella “alterità di classe” oggi indispensabile all’orientamento ed allo sviluppo della mobilitazione e delle lotte di tutti i lavoratori, sia privati che pubblici, precari o immigrati.
Vogliamo avviare, con quest’assemblea, una difficile ma necessaria prospettiva per un percorso proiettato oltre il pur valido bisogno “tattico, immediato e difensivo” che ci accomuna nella necessità di far fronte al violento attacco padronale. Questo perché pensiamo che (proprio a partire dalla forte solidarietà unitaria e militante portata dal sindacalismo di base e dalle delegazioni delle fabbriche Fiat ai cancelli della fabbrica lo scorso 22 giugno, e dalla “valenza generale e per tutti” del risultato ottenuto) nessuna organizzazione dei lavoratori che si dica orientata a logiche di classe oggi “può e deve sottrarsi” alla delineazione di una prospettiva di autonomia politica e di classe, non solo economica, dei lavoratori e del proletariato.

pc quotidiano 8 luglio - napoli 3 luglio importante incontro nazionale disoccupati organizzati-precari-operai

Il 3 luglio si è tenuta a Napoli la riunione delle realtà che hanno dato vita all’Assemblea del 21 maggio.
L’assemblea, lo ricordiamo, era stata promossa dai disoccupati organizzati Banchi Nuovi di Napoli e dello Slai Cobas per il sindacato di classe di Taranto con un appello nazionale rivolto a realtà di disoccupati, precari, lavoratori e settori di movimento. L’obiettivo era avviare una discussione e un primo passo per l'unità di lotta ed il coordinamento delle varie realtà autorganizzate di disoccupati, lavoratori e precari in lotta per il lavoro e per la difesa dei diritti e delle condizioni salariali e di vita del proletariato, per superare la frantumazione delle lotte e costruire un unico fronte di tutto il proletariato come unica risposta possibile ai feroci attacchi di governi e padroni.
L’ assemblea del 21 maggio si concluse con il lancio di una prima giornata di lotta da tenersi a giugno in contemporanea in tutte le città dove erano presenti le realtà partecipanti (disoccupati di Napoli e provincia, Taranto e Palermo, lavoratori dell’ASIA di Napoli, precari delle pulizie delle scuole e degli appalti comunali di Taranto, lavoratrici delle cooperative sociali di Palermo, il Collettivo Operatori Sociali di Napoli, precari delle Poste di Palermo, Confederazione Cobas Napoli, Rete Anticapitalista Campana).
Al centro della mobilitazione di questa giornata le parole d’ordine: immediati sbocchi occupazionali per i disoccupati, a rafforzamento anche delle vertenze in atto e che a Napoli come a Taranto possono vedere una rapida realizzazione nel settore ambientale; contro i licenziamenti e per la difesa del posto di lavoro, per il salario/reddito garantito, per la riduzione dell’orario di lavoro. Inoltre si varava un nuovo incontro nazionale a Napoli ai primi di luglio.
Nella riunione di sabato 3/7 – che ha visto la presenza anche del Coordinamento precari della scuola 3 Ottobre di Milano, di una realtà degli operai della Fiat di Pomigliano (Cobas) e dell’USI AIT nazionale - si è quindi partiti dal bilancio di quella prima iniziativa comune. Da tutti i territori si è messo in evidenza l’effetto positivo del percorso avviato.
Per la prima volta i disoccupati, precari, strutture di lavoratori coinvolti, hanno sentito la loro lotta in difesa o per ottenere un posto di lavoro o un reddito, come parte di un’unica battaglia, resa più forte dalla lotta portata avanti dai disoccupati organizzati e da altri pezzi di movimento. Da qui anche la maggiore convinzione della necessità di coinvolgere altri settori. In questa direzione a Napoli si è fatta sentire la piena solidarietà e si è dato il massimo sostegno ai lavoratori di Pomigliano, impegnati in queste settimane a respingere il piano Fiat, nella certezza che il ricatto di Marchionne è rivolto non solo a questi lavoratori ma è l’apripista per un ulteriore aggressione ai diritti ed alle condizioni di tutti i lavoratori da parte dell’intero padronato. La continuità della lotta dura dei disoccupati organizzati di Napoli e Taranto, la lotta dei precari di Palermo, la mobilitazione unitaria come quella di giugno, il contatto con altri pezzi di resistenza, il lavoro verso quei lavoratori, precari e disoccupati ancora frammentati e divisi, è quindi l’asse intorno cui continuare a muoversi per dare forza alla ricomposizione ed alla costruzione di un unico ed organizzato movimento di lotta, su scala nazionale. Per questo, e con l’obiettivo di arrivare in autunno ad una prima mobilitazione nazionale sulle parole d’ordine unitarie espresse dall’assemblea, si è deciso di dare avvio ad iniziative e discussioni in tutte le città dove ciò è possibile per incrociare e coinvolgere altre strutture organizzate di disoccupati, lavoratori, precari, cassintegrati, ecc., indipendentemente dal livello attuale di organizzazione. Per decidere questi nuovi passaggi si è stabilito di rivedersi a Taranto il 15 settembre (data da confermare). ASSEMBLEA 21 MAGGIO Per tutte le realtà e singoli interessati: assemblea.21maggio@gmail.com

pc quotid 8 luglio - palestina libera,palestina rossa

corrispondenza
Torino, martedì 6 luglio, ore 17:30: la comunità ebraica cittadina, guidata da un rabbino estremista ultraortodosso, convoca in piazza Castello - di fronte alla Prefettura - un presidio per la liberazione del caporale dell'esercito sionista Gilad Shalit, da quattro anni 'ospite' di Hamas nella striscia di Gaza: i partecipanti saranno una cinquantina, protetti da decine di rappresentanti delle 'forze dell'ordine'.
Dalla parte opposta della piazza, l'Assemblea Free Palestine organizza un contropresidio per informare, tramite volantinaggio e speakeraggio, la popolazione circa la politica genocida che l'entità sionista porta avanti da oltre sessant'anni nei confronti dei palestinesi, nel totale silenzio della cosiddetta comunità internazionale, che anzi in gran parte sostiene i macellai di Tel Aviv.
In questo caso si tratta di una trentina di compagni, tra esponenti dei centri sociali ed anarchici, ai quali si affianca il circolo piemontese di Proletari Comunisti; è totalmente assente ed ingiustificata, invece, la falsa sinistra riformista, dai due partiti sedicenti comunisti a tutta la sinistra trotzkista.
Nel corso dell'ora e mezza di faccia a faccia tra le due manifestazioni non succede assolutamente nulla, ed alle ore 19:00 circa i due assembramenti si sciolgono.
Il prossimo appuntamento sarà venerdì 9 luglio alle ore 17:30 in piazza Castello angolo via Garibaldi, dove si terrà un presidio informativo in occasione della Giornata Mondiale del Bds (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) contro l'entità sionista; in quella occasione si tenterà anche di raggiungere in corteo il Palazzo comunale per protestare contro i vergognoso appoggio dato - dal podestà, il sedicente democratico Sergio Kiamparino, e dal presidente del Consiglio comunale, il rifondarolo Beppe Castronovo - all'entità sionista già il 24 giugno scorso.

Torino, 07 luglio 2010



Stefano Ghio - Proletari Comunisti Torino

mercoledì 7 luglio 2010

Roma,6-7 luglio 2009: report manifestazione terremotati aquilani

Una manifestazione fiera e combattiva quella di oggi. Più di 8000 terremotati sono arrivati dall’Aquila stamattina per assediare Montecitorio e poi il Senato, per contestare la manovra finanziaria che, tra le altre cose, impone di tornare a pagare tasse, contributi e tickets su visite e medicinali a chi ha perso tutto.

Numerosi gli striscioni e i cartelli, tra cui “Chiodi e Letta ruffiani di Stato contro i terremotati”, “L’Aquila: tassati senza servizi, alloggiati senza alloggi, lavoratori senza sede e senza lavoro, miracolati senza ricostruzione, paghiamo il mutuo senza casa ed il canone RAI per TG senza notizie. Grati ringraziamo”, “forti, gentili e incazzati neri”, “meglio i borboni che ‘sti imbroglioni”, “se saltano i conti può saltare pure Tremonti”, "Ieri L'Aquila, domani tutta l'Italia" ecc.

Arrivati a Piazza Venezia c’è stata una leggera carica all’imbocco di Via del corso, dove un uomo è stato ferito sulla fronte. Abbiamo comunque rotto quel primo blocco di carabinieri, polizia e finanzieri in assetto antisommossa: “chiediamo la città, ci danno polizia, questa è la loro democrazia!” è stato urlato. Travolti dalla rabbia e dalla determinazione di tanti giovani e donne e ragazze combattive, i servi dei servi sono stati costretti a indietreggiare, in maniera anche piuttosto sconclusionata, manganellando qua e là i manifestanti che li travolgevano e colpendo un altro ragazzo alla testa.

Abbiamo guadagnato terreno ma per poco: all’imbocco con un vicolo che portava a Montecitorio, un altro blocco ci ha impedito di proseguire e c’è stata un’altra carica. Picchiate diverse persone, con un altro ferito e vari contusi, tra cui una donna, colpita al viso, ma ancora in prima fila a combattere.
Le donne, in particolare, hanno mostrato una fierezza, un coraggio e una lucidità senza eguali. Sono andate davanti agli sbirri armati fino ai denti e sono riuscite davvero a farli vergognare. Una ha detto loro: “vi parlo come una mamma di famiglia, avete picchiato i nostri figli, siete degli animali, vergognatevi!”. Un’altra si è staccata seccamente dall’ala protettiva del marito ed è andata anche lei a dirgliene 4. Un’altra ancora, arrabbiatissima, ha iniziato a urlargli: fascisti, pezzi di merda, bastardi ecc.

“Polizia fascista polizia assassina” è stato lo slogan più gridato in quella carica, che quasi nessuno si aspettava. E infatti non siamo riusciti a riorganizzarci e a comunicare bene tra noi. Alcuni hanno imboccato il vicolo per Montecitorio, dove però era in corso una manifestazione dei disabili, altri sono rimasti davanti al blocco, altri ancora sono tornati verso Piazza Venezia per bloccarla.

Alla fine però ci siamo ricompattati davanti Palazzo Chigi e nel primo pomeriggio ci siamo diretti a Piazza Navona, verso palazzo Madama, inaccessibile.
Abbiamo cercato di raggiungerla passando sotto palazzo Grazioli e dopo aver sfondato un primo blocco ci siamo fronteggiati con un secondo, ma quello era proprio impermeabile. Persino il Sindaco e il deputato Lolli sono stati colpiti e il sindaco è stato anche contestato dai manifestanti per essersi voltato indietro ed avere invitato gli stessi a passare da un’altra parte. Un ragazzo gli ha gridato: “girati, che te lo mettono in culo, come ti sei girato un anno fa e ce lo hanno messo in culo a tutti!”
Su un blindato dei carabinieri è stato appeso un cartello: “Tagliamo il governo, ricostruiamo L’Aquila coi soldi della cricca e propaganda FIDE, via il governo di ladri e assassini, FUORI I SOLDI!”. Altri slogans “Berlusconi pezzo di merda” “Assassini” “Ladri” “servi dei servi dei servi dei servi” ecc., oltre naturalmente a “L’Aquila L’Aquila”, “qui fanno entrare soltanto le escort e gli spacciatori di coca” ecc.

Intanto il tempo passava davanti a quel blocco e si rischiava di arrivare tardi a Palazzo Madama. Così si è deciso di retrocedere e prendere un’altra via.
Al Presidio in Piazza Navona è stato contestato il senatore pdl Scelli, ex dirigente della croce rossa e ci è giunta la voce, dai palazzi del potere, che Giovavardi avrebbe detto a Cialente di non perdere tempo a Roma e di andare a lavorare all’Aquila.
“Tornatevene a casa vostra!” è stato anche l’invito che ci hanno rivolto 2 passanti sfidando il linciaggio, ma complessivamente abbiamo trovato, sbirri a parte, una buona accoglienza e solidarietà.

Al ritorno verso corso Umberto, dove erano gli autobus, abbiamo proseguito il corteo bloccando il traffico, anche con sit-in.

Infine siamo passati per via Ulpiano, sede del dipartimento di protezione civile, anch’essa blindata. Siamo arrivati sin sotto il portone per fare i nostri complimenti e ringraziamenti a Bertolaso, alla Commissione Grandi Rischi, alla cricca, allo schifo totale di questo sistema incivile. Abbiamo fatto un minuto di silenzio per le vittime del sisma e ce ne siamo andati con una promessa, che i guardiani della cricca possono aver preso come una minaccia, ma abbiamo subito chiarito l’equvoco: “Noi non vi dimenticheremo” gli abbiamo detto, “non vi abbandoneremo, torneremo e saremo sempre di più”

“Revenemo!”, così li abbiamo salutati e abbiamo salutato Roma

qui alcune immagini

pc quotidiano 6-7 luglio - NOI NON SIAMO GRADITI…….aquilani a roma

Queste le parole di un aquilano manganellato oggi a Roma intervistato da una giornalista di RaiNews24. Ha precisato meglio aggiungendo il fatto che lo scorso anno venivano proiettati sulla scena mediatica per fare ascolti a “supporto” dei proclami e le promesse di Berlusconi. Il ragazzo ha aggiunto che gli aquilani erano senza casa un anno fa e lo sono tuttora, terremotati erano e terremotati rimangono ma non fanno più audience ora che bisogna trovare i soldi. Non essere graditi da chi governa non riguarda solo la popolazione terremotata dell’Aquila, almeno in questo gli aquilani non sono soli. Non essere graditi lo possono gridare forte gli operai, a partire da quelli di Pomigliano, che hanno detto NO alla dittatura padronal-governativa; lo possono rivendicare i lavoratori del Pubblico Impiego, a partire da quelli della Scuola-Sanità-Ricerca, che subiscono tagli di posti di lavoro e salario e che vengono sbeffeggiati e umiliati dai rappresentanti di questo governo. E la lista è molto lunga dei NON GRADITI, vi sono i morti sul lavoro che non trovano spazio sulle pagine dei giornali o che non “bucano” gli schermi TV, ma che continuano ad essere uccisi e sacrificati sull’altare del profitto padronale mantenendo inalterata la media degli anni precedenti 4/5 al giorno; una lista di indesiderati che si allunga sino a raggiungere coloro che già sono stati “segnati” dalla vita ovvero invalidi e disabili vari, ai quali questo governo nega i più elementari diritti come l’assistenza. Si potrebbero riempire due pagine per definire la lista reale dei NON Graditi per dire, senza ironia, che gli aquilani non sono soli o per dire loro che le “carezze”, le manganellate, che i giannizzeri in divisa hanno elargito in questa mattinata romana, sono le stesse. Ma questo gli aquilani lo sanno già e lo hanno anche scritto nei loro cartelli e striscioni: Forti e Gentili SI, Fessi NO. A questo si aggiunge quanto detto oggi, sempre alla giornalista di RaiNews24, da uno dei feriti alla stupita domanda della reporter che gli chiedeva come mai fosse rimasto in piazza nonostante la vistosa fasciatura, il ragazzo ha detto “NOI ABBIAMO LA TESTA DURA”. Eccole le parole da raccogliere tra le masse dei NON GRADITI; eccoli i messaggi da spedire ai mandanti di questa “normale” giornata di repressione. Ma serve anche raccogliere la sfida in questo scontro di interessi ovvero : tra gli interessi delle masse e quelli di questo sistema di corrotti, ladri e fascisti. Sarebbe, anche, utile ma, principalmente, normale che i tanti giornalisti che si sono, e si stanno, mobilitando per la libertà di informazione, che iniziassero a “disobbedire” al bavaglio del governo a partire dal diffondere una “corretta” informazione sui tanti NON GRADITI.

pc quotidiano 6-7 luglio - Aquilani a Roma, cariche poliziesche invece che ricostruzione,case e lavoro

20000 aquilani a Roma vengono caricati dalla polizia,feriti,brutalità contro i terremotati
Il governo della cricca sulla pelle dei terremotati se ne deve andare !
La lotta deve continuare e deve avere il massimo sostegno nazionale.

riproponiamo stralci del testo di proletari comunisti di alcuni giorni fa

"Sono ormai alcune settimane che a L'Aquila è ripartita la protesta
> popolare
> a fronte della pesantezza della situazione e soprattutto dello stato di
> abbandono.
> 4 mila ancora negli alberghi, con gli albergatori peraltro che reclamano
> 50
> milioni di euro di soggiorni non pagati, 25 mila in autonoma sistemazione
> che costano 8 milioni di euro al mese, 12 mila case del centro storico per
> cui non è stato fatto ancora nulla; ma a questo vanno aggiunti 16 mila
> disoccupati, vecchi, ....l'Inps
> che
> rivuole i contributi non versati, mutui da ricominciare a pagare, fino
> alla
> sconfortante affermazione "gli aquilani sentono di vivere come in un
> braccio
> della morte".
> Una protesta popolare compatta, questo è un bene, che da L'Aquila
invade Roma .forte la la rabbia contro il governo, la
> cricca di Bertolaso, la Rai di Minzolini "Menzognini".
>
> Noi siamo fortemente dalla parte della popolazione che protesta, abbiamo
> sempre pensato che solo la protesta popolare, radicale potesse ricostruire
> L'Aquila e gli aquilani. Abbiamo cercato in questi mesi, ogni qualvolta
> che
> ne abbiamo avuto la possibilità e la conoscenza diretta di
> controinformare,
> di denunciare, di indicare proposte di lotte, forme organizzative - non
> certo per sostituirci al movimento di massa ma per dare un contributo alla
> sua forza e soprattutto alle necessità dell'uso della forza. Perchè quello
> che è successo a L'Aquila, prima, durante e dopo il terremoto, è davvero
> una
> delle pagine più criminali del capitale e del governo di questi ultimi
> anni.....
> ora il massimo del sostegno a far ridiventare
> L'Aquila una questione nazionale su cui chiamare a mobilitare tutti.
>

pc quotidiano 6-7 luglio: L’Aquila non è tutto ma L’Aquila è di tutti

Questa è la storia di un'aquila che credeva di essere un pollo:

Un uomo trovo' un uovo d'aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L'uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l'aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l'aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava nel terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro.
Trascorsero gli anni e l'aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di se, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d'aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzo' lo sguardo, stupita. "Chi e' quello???" chiese. "E' l'aquila, il re degli uccelli" rispose il suo vicino, "Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perche' siamo polli". E cosi' l'aquila visse e morì come un pollo, perche' pensava di essere tale. Anthony de Mello

Ma la storia dell’Aquila è ancora tutta da scrivere…

Ancora stordita da quella furiosa notte, L’Aquila si è lasciata sorvolare dai potenti, pensando “è così, il cielo appartiene a loro, io non sono che un pollo e appartengo alla terra”
In questi mesi L’Aquila però ha alzato la testa e spiegate le ali, svegliata dalle risate degli avvoltoi che si preparavano al banchetto, dalla puntura delle zecche padronali, papali e istituzionali che le succhiavano il sangue, dal prurito dei parassiti mafiosi che si cibavano di lei, di quelli che hanno seppellito i suoi figli sotto le macerie.
I polli intorno non c’erano più, solo avvoltoi, sciacalli e parassiti.
“Difenderò come un’aquila i miei figli! – pensò - ma dovrò cercare altre aquile non più polli!...”

La ricostruzione è a un punto morto: non ci sono i soldi e le banche non pagano. 4 mila ancora negli alberghi e 50 milioni di euro da pagare per il soggiorno. 25 mila in autonoma sistemazione (ferma a gennaio), con un costo di 8 milioni di euro al mese. 30.000 i senza tetto, più di 16.000 senza lavoro! l'Inps che rivuole i contributi non versati, famiglie senza casa che devono ricominciare a pagare un mutuo per un mucchio di macerie, tornano i ticket su farmaci e visite mediche e i vecchi, gli anziani “estraniati”, dimenticati, abbandonati…

“gli aquilani sentono di vivere come in un braccio della morte”, afferma il sindaco Cialente, che in piena crisi mondiale propone una tassa di scopo o un contributo di solidarietà, che non è chiaro chi pagherà visto che ai potenti della terra, per visitare la città fantasma, non è stato chiesto alcun balzello e per quel summit, che sindaco e sindacati confederali hanno accettato di buon grado, sono stati spesi più di 500 milioni di euro!
Senza contare quel miliardo e 68 milioni spesi per le c.a.s.e., costate 3 volte di più per dare alloggi in comodato a un terzo degli sfollati. Senza contare quel milione di euro sottratto alla ricostruzione per la visita del Papa a Sulmona e così via.

Con quale coscienza cloacale istituzioni, curia, padronato e sindacati confederali e di polizia si aggregano oggi alla protesta degli aquilani? Forse non gli è bastato contenerla, scomunicarla e reprimerla in tutti questi mesi?
Non gli è bastato, la marea è alta e per non affogare tentano di rimanervi a galla, come una macchia di petrolio che sporca e soffoca qualsiasi forma di vita al suo cammino, come guardiani del “braccio della morte” dove gli aquilani, come dice il sindaco, sentono di vivere.

Ma dal “braccio della morte” non si esce chiudendo gli occhi. Non si esce con una “condizionale” a carico anche degli stessi terremotati (se la tassa di scopo dovesse configurarsi come un’accise sui carburanti o sui tabacchi). Dal braccio della morte non si esce chiedendo l’ennesimo tributo di sangue in un periodo di crisi profonda a precari e disoccupati di tutto il paese. Non si esce dal braccio della morte se L’Aquila non torna ad essere una questione nazionale, come lo è stata quando faceva comodo al governo Berlusconi ed ai suoi servi.

L’Aquila non è tutto,
ma è un modello per recintare la vita di tutti!


Dal braccio della morte si esce uccidendo il boia e chi lo paga
Si esce riconoscendo i nemici dagli amici, perché questa è una guerra a tutti gli effetti!
Dal braccio della morte del cratere, l’unica solidarietà che possiamo ora chiedere è quella di classe.
Quella che possiamo attenderci è la rivolta degli sfruttati agli sfruttatori, dei senza-tetto ai palazzinari, dei poveri ai ricchi, di quelli che hanno perso tutto a quelli che hanno preso tutto.


Perché anche se L’Aquila non è tutto, L’Aquila è di tutti

Perché quello che è successo a L'Aquila, prima, durante e dopo il terremoto, è una delle pagine più criminali del capitale e del governo di questi ultimi anni e perché solo la giustizia popolare può rendere giustizia ai nostri lutti e liberarci dal braccio della morte!
Una giustizia che ci chiama tutti a una lotta radicale e non ad ambigue e fittizie alleanze.

martedì 6 luglio 2010

pc quotidiano 6-7 luglio No all'esercito professionale!

Passo dopo passo si rafforza lo Stato reazionario della borghesia imperialista italiana. Sempre più in senso militare e totalitario, necessario per l'aggressione ai popoli ( le "missioni internazionali di pace", la lotta al "terrorismo"), la risoluzione delle controversie interimperialistiche ("salvaguardia degli interessi nazionali") e l'intervento interno ("pubblica calamità" e "in altri casi di straordinaria necessità e urgenza", cioè respingimenti di immigrati e ordine pubblico).
Il governo, con i ministri La Russa e Meloni, finanzia la mini-naja con 20 milioni in 3 anni selezionando 1500 giovani all'anno, in un'età compresa tra i 18 e i 30 anni, "bravi, competenti e atletici", in addestramento militare per 3 settimane.
E' un provvedimento che punta alla formazione di un esercito di soldati scelti, educati nei "valori" della patria, cioè mercenari imbevuti di autoritarismo e di sopraffazione, pronti ad ubbidire irrigimentati.
Così come la controriforma Gelmini è il suo contraltare sul piano della scuola, anche questo provvedimento punta sulle nuove generazioni per coinvolgerle nell'edificazione di un altro modello di Stato, quello che nella storia del nostro paese si è già realizzato come fascista.
(Il ministro Meloni aveva già portato a casa il finanziamento alle "Comunità giovanili", una sorta di centri sociali di stato, che qualcuno aveva chiamato Comunità Balilla).
Chi meglio del personale politico dell'ex MSI, che si è formato nei campi paramilitari in funzione anticomunista -i campi Hobbit-, legato ai vertici delle forze armate e ai padroni dell'industria bellica, Finmeccanica in testa, poteva realizzare questo obiettivo che va nella direzione della costituzione di un moderno esercito professionale?
Al servizio della Nato/USA oppure dell'Europa, comunque sempre al servizio degli interessi dei padroni, nei confronti dei quali non c'è alcuna differenza tra gli schieramenti politici in parlamento, tra i governi di qualunque colore che hanno portato morte e oppressione in Somalia, Serbia, Irak, Afghanistan..
Questa mini-naja continuerà nella solita menzogna già forgiata dalla sinistra di palazzo delle guerre umanitarie, per la pace, e lasceranno l'art. 11 della Costituzione a fargli da paravento mentre occupano le terre dei popoli oppressi.
Le forze parlamentari dell'opposizione e i sindacati confederali non potranno esercitare nessuna opposizione in quanto complici di una politica tesa a rafforzare lo stato, ben consapevoli del ruolo fondamentale della Difesa.
La sinistra ex parlamentare non andrà oltre la denuncia dell'aumento delle spese militari e della difesa dell'art. 11 della Costituzione e dell'imperialismo europeo. Ma noi non dimentichiamo che nella loro azione di governo sono stati il puntello sociale della politica imperialista nell'opposizione sociale.
Il movimento antimperialista per avanzare deve necessariamente sbarazzarsi di concezioni sbagliate e della delega agli immondi conciliatori e lottare per il rovesciamento di questo stato.

prolcomra
06/07/2010

pc quotidiano 6-7 luglio - per AZAD manifesto nazionale

pc quotid 6-7 luglio - onore al compagno Azad - viva il PC India maoista- Viva la guerra popolare

con grande tristezza annunciamo la morte del compagno Azad, portavoce del Partito Comunista dell'India (maoista)
quello che segue è il comunicato ufficiale ricevuto

Comunicato stampa del Partito comunista dell’India (maoista), Comitato Centrale, Ufficio Regionale Nord. 3 luglio 2010


Non è stato uno scontro a fuoco!
È un assassinio a sangue freddo per mano della polizia dell’Andhra Pradesh!
Saluto rosso a martiri compagni Azad (Cherukuri Rajkumar) e Hem Pandey (Jitender)!!

*Azad era stato arrestato insieme a Hem Pandey a Nagpur il 1° luglio*
Il primo luglio intorno alle undici del mattino la famigerata sezione speciale della polizia dell’Andhra Pradesh, nota per sparizioni e assassini a sangue freddo, ha arrestato nella città di Nagpur il compagno Azad, membro dell’Ufficio Politico e portavoce del PCI(maoista) e il compagno Hem Pandey, membro del comitato di zona, mentre dall'area di Dandakarnaya andavano a incontrare un compagno che avrebbe dovuto riceverli. Il compagno Azad aveva raggiunto Nagpur verso le 10 insieme a Hem Pandey, dopo un lungo viaggio. Grazie a informazioni dettagliate, i sicari fuorilegge della APSIB li hanno sequestrati, trasferendoli poi, probabilmente in elicottero, nella giungla di Adilabad vicino il confine col Maharashtra e lì sono stati uccisi a sangue freddo.

*rendiamo il nostro omaggio rosso ai nostri amati compagni e giuriamo vendetta a questi assassini*

*La vita del compagno Azad*
Il compagno Azad era uno dei più vecchi dirigenti del nostro PCI(Maoista). Nato in Andhra Pradesh da famiglia benestante del distretto di Krishna, studiò alla Sainik School di Korukonda nell’attuale distretto di Vizianagaram. Nel 1974 il compagno Surapuneni Janardhan, guida leggendaria del movimento studentesco, lo introdusse nell’Unione degli Studenti Rivoluzionari. Brillante studente al Regional Engineering College, che in quei giorni era indicato come il Radical Engineering College, completò i suoi studi di ingegnere chimico e per direttiva del Partito si trasferì a Vishakhapatnam. Fino al 1984 fu il secondo presidente dell’Unione degli Studenti Rivoluzionari, in quel periodo catalizzatore delle mobilitazioni di tanti studenti e movimenti popolari in tutto l’Andhra Pradesh. Divenne membro del comitato locale dell’unità Vizag del PCI(ML) (People’s War). Percorse l’India in lungo e largo per organizzare il Seminario sulla questione delle nazionalità che si tenne a Madras (ora Chennai) nel 1981. Nel 1982 si trasferì a Karnataka, dove fu uno dei fondatori del partito, e lavorò come segretario del Comitato di Partito in quello stato. Entrò nel Comitato Centrale dopo il plenum del 1990, membro eletto dello stesso CC nella conferenza di partito di tutta l’India nel 1995 e da allora membro dell’Ufficio Politico, incarichi che ha mantenuto dopo anche dopo la formazione del PCI Maoista nel 2004, da allora portavoce del CC.
Era noto per la vita semplice e il duro lavoro, per le letture voraci e le brillanti analisi della situazione, per la cristallina articolazione della sua logica acuta e la fine abilità organizzativa, contribuì enormemente al movimento rivoluzionario in molti campi. Scrisse molto per People’s March, People’s War, organo teorico del PCI (Maoista) e per il Maoist Information Bulletin. Fu autore di un’acuta critica degli intellettuali dell’Andhra Pradesh, disillusi e sfiduciati verso il movimento rivoluzionario dopo gli eventi del 1990 e il collasso dell’imperialismo sovietico e dei regimi satellite.
Con la sua morte il movimento rivoluzionario indiano perde un compagno esemplare, una stella luminosa che ha servito il movimento per oltre 35 anni.
Poco prima del suo ultimo viaggio, una nota rivista gli fece recapitare delle domande per un’intervista. Rispose che era in partenza e che avrebbe risposto appena possibile.

* Non è Sukhdev ma il compagno Hem Pandey di Uttarakhand che è stato assassinato dall’APSIB *
Il compagno Hem Pandey, 30 anni, veniva da un villaggio nei pressi di Pithoragarh nello stato Uttarakhand. Compì i suoi studi in storia all’Università di Nainital, dove consegui il dottorato. Da studente fu membro attivo dell’AISA, lentamente comprese il carattere pseudo rivoluzionario della politica dell’AISA e si avvicinò ai gruppi più radicali, per entrare poi nel PCI(ML) (PW) nel 2001. Organizzò i contadini nei villaggi montani del distretto di Almora, facendosi interprete delle loro innumerevoli istanze, compresi i problemi emersi per la riserva naturale di Binsar. Dalla voce dolce, occhialuto, magro ed energetico, il compagni Hem Pandey seppe conquistare il cuore del popolo di quella regione. Nel 2005 gli furono affidati compiti più importanti, che svolse con pazienza e tenacia. La sua fame di conoscere cose nuove, di leggere sempre di più, e lo zelo con cui metteva per iscritto le sue idee sono motivo di emulazione per tutti i rivoluzionari. Scrisse articoli per diverse riviste sotto diversi pseudonimi. Richiediamo alle organizzazioni per i diritti umani di esigere che la polizia dell’Andhra Pradesh restituisca il corpo del compagno Hem Pandey a sua madre che vive a Haldwani, stato di Uttarakhand, sua unica parente.

* APSIB, controfigura indiana del Mossad *
L’Andhra Pradesh Special Intelligence Bureau, addestrato in parte dal Mossad, ha conquistato in india la stessa fama dei suoi maestri. Si muove oltre i confini del suo stato perpetrando impunemente sequestri e assassini a sangue freddo, il tutto con la benedizione di Manmohan Singh Sonia Gandhi e P. Chidambaram. Questa cricca fascista ha stretto i suoi tentacoli su tutta l’India, ricorrendo sempre più spesso all’assassinio di rivoluzionari, facendosi beffe della sentenza dell’Alta Corte dell’Andhra Pradesh secondo cui ai sensi della sez. 302 del CP indiano, tutti gli scontri a fuoco devono essere registrati come omicidi. Prima o poi questi assassini saranno presi a bersaglio dalle masse rivoluzionarie.

* Chidambaram si aspetta che il PCI(Maoista) si sieda a trattare con chi ha le mani sporche del sangue dei compagni Azad e Hem Pandey? *
Il PCI(Maoista) non ha mai contestato o protestato per i casi di morte in effettivi scontri armati. È la polizia dell’Andhra Pradesh che ricorre alle bugie goebbelsiane, cui non credono più nessuno. Il PCI(M) è per la verità di cui rendere conto al popolo e ammette sempre i fatti. Non c’era alcun piano che prevedesse che Azad andasse nella giungla di Sarkepally in Adilabad. Azad era diretto a discutere con i nostri compagni, tra le altre cose, delle proposte concrete di una nota personalità quale Swamy Agnivesh di incontri specifici per un reciproco cessate il fuoco. Aveva con sé una lettere confidenziale scritta ad Azad da Swamy Agnivesh, datata 26 giugno 2010. Chidambaram si aspetta ora che il PCI(M) si sieda a discutere con chi ha le mani sporche del sangue dei compagni Azad e Hem Pandey? Ci chiede ripetutamente di abiurare le violenza, mentre la polizia dell’Andhra Pradesh assassina compagni inermi con la sua benedizione, non è come il diavolo che canta i salmi?

* Le menzogne della polizia *
Qual era la necessità che Azad andasse ad Abilad se lì non esiste alcun movimento o organizzazione? Che gli abbiano trovato un AK 47 è una spudorata menzogna. Azad è sceso da un treno nella stazione di Nagpur intorno alle 10 insieme al compagno Hem Pandey ed è stato catturato disarmato dall’APISB. Il governo rispetta l’art. 21 della sua stessa Costituzione? Rispetta i dettami della Convenzione di Ginevra per cui le “persone disarmate” non devono essere colpite? Non pura ipocrisia e fandonia che il governo da una parte vari misure contro la tortura mentre dall’altra la polizia tortura ogni minuto i detenuti? La polizia dell’Andhra Pradesh ripete fino alla nausea la storiella degli scontri armati, sfornata per i media innumerevoli volte. Il diritto alla vita garantito dalla Costituzione è deriso e il diritto a essere mostrati entro 24 ore dall’arresto si è trasformato nella certezza di essere assassinati entro 24 ore dall’arresto, così da non dover dar conto a parenti e amici.

Facciamo appello alle organizzazioni dei diritti civili, ai democratici, ai patrioti perché colgano l’occasione per investigare a fondo su questo falso scontro armato quale esempio delle esecuzioni extragiudiziali che hanno luogo in questo paese e mostrino al popolo la verità


Ajay,
Portavoce,
PCI (Maoista)

lunedì 5 luglio 2010

pc quotidiano 3-4-5 luglio - processo eternit ...con che razza di schifosi personaggi avessero a che fare gli operai...

processo eternit a torino

La seduta odierna si apre alle ore 9:30 - con la gradita presenza delle televisioni Rai e Televisione della Svizzera Tedesca - e prevede l'audizione, con l'ausilio di un'interprete, di Thomas Schmidheiny, fratello dell'imputato Stephan, di Niederholzer, e di un teste delle parti civili, il signor Antoniani.
Pur essendo ascoltato in regime ex articolo 210 del cpp - imputato in un procedimento connesso - in base al quale avrebbe la facoltà di non rispondere alle domande del pm, lo Schmidheiny decide di non avvalersene, riferendo parecchi particolari che arricchiscono la conoscenza della storia dell'Eternit e dell'attività della sua famiglia: queste erano legate sia alla lavorazione del cemento, di cui era responsabile personalmente, sia a quella dell'amianto, di cui si occupava - essendo "concretamente ai vertici decisionali" - il fratello Stephan.
A proposito di quest'ultimo, riferisce che "all'inizio degli anni 80 ha cercato di dissuadere il padre dall'usare amianto perché cancerogeno", ma subito dopo ammette che "la dismissione dell'amianto era difficile perché non si trovava un materiale alternativo con le stesse proprietà".
Medesima ammissione viene poi fatta dal testimone successivo, l'ad dell'Eternit Italia dal 1984 al 1986, ingegner Niederholzer: questi viene ascoltato in regime ex articolo 197 bis del cpp - imputato in un processo connesso (a Siracusa) con sentenza di assoluzione passata in giudicato - e, proprio per questo, viene citato in qualità di testimone.
Nel corso del suo lungo interrogatorio, oltre a quella testé segnalata, conferma alcune affermazioni fatte dai testimoni sentiti nelle precedenti udienze, quali: la dirigenza era a conoscenza sin da almeno il 1976 delle malattie provocate dall'amianto, e le visite del Sil erano tutte programmate, tranne una che fu fatta in una data non prestabilita, anche se non è sicuro se fosse stata o meno preannunciata.
Per concludere ha luogo la testimonianza di un ex manutentore elettrico dello stabilimento di Casale Monferrato, il signor Antoniani, membro del Consiglio di fabbrica in quota Cisl.
Anch'egli illustra le terribili condizioni in cui versava l'ambiente di lavoro - grazie alle quali gli è stata riscontrata l'asbestosi nel 1975 - ed aggiunge un particolare che dimostra con La seduta odierna si apre alle ore 9:30 - con la gradita presenza delle televisioni Rai e Televisione della Svizzera Tedesca - e prevede l'audizione, con l'ausilio di un'interprete, di Thomas Schmidheiny, fratello dell'imputato Stephan, di Niederholzer, e di un teste delle parti civili, il signor Antoniani.
Pur essendo ascoltato in regime ex articolo 210 del cpp - imputato in un procedimento connesso - in base al quale avrebbe la facoltà di non rispondere alle domande del pm, lo Schmidheiny decide di non avvalersene, riferendo parecchi particolari che arricchiscono la conoscenza della storia dell'Eternit e dell'attività della sua famiglia: queste erano legate sia alla lavorazione del cemento, di cui era responsabile personalmente, sia a quella dell'amianto, di cui si occupava - essendo "concretamente ai vertici decisionali" - il fratello Stephan.
A proposito di quest'ultimo, riferisce che "all'inizio degli anni 80 ha cercato di dissuadere il padre dall'usare amianto perché cancerogeno", ma subito dopo ammette che "la dismissione dell'amianto era difficile perché non si trovava un materiale alternativo con le stesse proprietà".
Medesima ammissione viene poi fatta dal testimone successivo, l'ad dell'Eternit Italia dal 1984 al 1986, ingegner Niederholzer: questi viene ascoltato in regime ex articolo 197 bis del cpp - imputato in un processo connesso (a Siracusa) con sentenza di assoluzione passata in giudicato - e, proprio per questo, viene citato in qualità di testimone.
Nel corso del suo lungo interrogatorio, oltre a quella testé segnalata, conferma alcune affermazioni fatte dai testimoni sentiti nelle precedenti udienze, quali: la dirigenza era a conoscenza sin da almeno il 1976 delle malattie provocate dall'amianto, e le visite del Sil erano tutte programmate, tranne una che fu fatta in una data non prestabilita, anche se non è sicuro se fosse stata o meno preannunciata.
Per concludere ha luogo la testimonianza di un ex manutentore elettrico dello stabilimento di Casale Monferrato, il signor Antoniani, membro del Consiglio di fabbrica in quota Cisl.
Anch'egli illustra le terribili condizioni in cui versava l'ambiente di lavoro - grazie alle quali gli è stata riscontrata l'asbestosi nel 1975 - ed aggiunge un particolare che dimostra con che razza di schifosi personaggi avessero a che fare gli operai.
Durante l'unico incontro avuto, come delegazione del Cdf, con la dirigenza belga - e precisamente con tale Pormhouoy, da lui definito 'il belga' - per esporre le problematiche che c'erano sul luogo di lavoro, questo ignobile personaggio trattò peggio della pezze da piedi i delegati, non concedendo loro di parlare ed anzi cacciandoli in malo modo.
Ancora una volta si dimostra la scelta consapevole da parte dell'Eternit di perpetrare un genocidio programmato, poiché non esisteva un materiale alternativo che permettesse ai padroni assassini gli stessi margini di plusvalore, senza creare tutti i danni ambientali ed alla salute dei lavoratori e della popolazione causati dall'amianto.
avessero a che fare gli operai.
Durante l'unico incontro avuto, come delegazione del Cdf, con la dirigenza belga - e precisamente con tale Pormhouoy, da lui definito 'il belga' - per esporre le problematiche che c'erano sul luogo di lavoro, questo ignobile personaggio trattò peggio della pezze da piedi i delegati, non concedendo loro di parlare ed anzi cacciandoli in malo modo.
Ancora una volta si dimostra la scelta consapevole da parte dell'Eternit di perpetrare un genocidio programmato, poiché non esisteva un materiale alternativo che permettesse ai padroni assassini gli stessi margini di plusvalore, senza creare tutti i danni ambientali ed alla salute dei lavoratori e della popolazione causati dall'amianto.

da Stefano ghio - rete sicurezza sui posti di lavoro -torino

pc quotidiano 3-4-5 luglio: ROMPIAMO CON LA RIBELLIONE ORGANIZZATA LA “NORMALITA'” DI UCCISIONI E VIOLENZE CONTRO LE DONNE.

Il 30 giugno, un carrozziere prima ammazza la sua ultima fidanzata, Maria Montanaro vicino Torino e poi va in provincia di Cremona ad ammazzare una altra ex Sonia Balcone, infine si ammazza.
Non sono uccisioni non annunciate. Sonia aveva fatto almeno 7 denunce per le minacce che subiva da quando si erano lasciati, aveva il terrore di incontrarlo; lui era stato rinviato a giudizio, gli era stato revocato il porto d'armi.

Sempre il 30 Giugno a Lecce un uomo strangola il figlio di due anni per punire la moglie.

Il 3 luglio, Novara, viene scoperto il corpo di Simona Melchionda uccisa a giugno dal suo ex fidanzato carabiniere che dopo averle sparato l'ha gettata nel Ticino. “I genitori di lei dicono che lui non voleva rassegnarsi al rifiuto della figlia”.

Ancora 3 Luglio, Cremona, Debora Palazzo viene uccisa dal suo ex fidanzato, lo aveva lasciato a marzo e lui aveva cominciato a perseguitarla. Si ammazza anche lui lasciando un biglietto “O mia o di nessun altro”. Aveva il porto d'armi per “uso sportivo”.

Sempre nei giorni scorsi viene fuori che un uomo per anni ha stuprato una donna con i suoi arnesi da lavoro.

Tante altre donne in questi mesi sono state uccise, hanno subito violenze sessuali. Quasi tutte da ex mariti, da ex fidanzati. Quasi tutte da persone “normali” e anche “per bene” come diceva il datore di lavoro del carrozziere. Sono i “bravi” carabinieri, servitori dell'ordine, sono le “brave persone” che hanno il porto d'armi, perchè ci tengono alla "sicurezza" o per “sport”.
La maggiorparte di questi assassini di donne avvengono nelle province del nord, in cui le “brave persone” coltivano e vengono incentivate a coltivare, da "bravi" rappresentanti di partiti di governo, come da Sindaci di ogni schieramento, da preti come da forze dell'ordine, ecc., una ideologia della proprietà (e la moglie, la fidanzata, è prima di tutto una propria proprietà), della conservazione, un'idelogia oggettivamente, oltre che maschilista, fascista; e chi mette in discussione questo, che siano le donne (o che siano gli immigrati) va eliminata.

MA DOVE E' IL REATO!?
Il 2 luglio la Corte di Cassazione emette una sentenza: “Se la moglie è una donna forte, maltrattarla non è reato”!

Ma c'è un alternativa alle tragedie, che viene offerta sempre ai maschi normali.
“L'Italia detiene il primato del turismo sessuale prevalentemente pedofilo. “primi in Europa sono 80 mila maschi, di cui quasi un terzo pedofili, e più dell'80% eterosessuali. In kenya, Brasile, Thailandia, Cuba, Santo Domingo. “per il Brasile e la Thailandia in certe stagioni partono charter a pieno ritmo... in due settimane il predatore è capace di avere rapporti con venti partner diversi”.
Ci stanno tutti “dal padre di famiglia al parroco... il pedofilo è perfettamente integrato nella società. E' il marito normale, non ha l'aspetto dell'orco” (Il Fatto del 4 luglio '10).

BASTA CON QUESTA “GUERRA DI BASSA INTENSITA'” CONTRO LE DONNE!

ROMPIAMO LA “NORMALITA'”, CON LA “ANORMALITA'” DELLA RIBELLIONE ORGANIZZATA DELLE DONNE.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario.
mfpr@libero.it

5.7.10